Giubileo del 1800, una scoperta del Conte Piola Caselli attraverso documenti inediti del Principe Chigi

In esclusiva al GdI, Carlo Piola Caselli: “Giubileo del 1800, mai emerso nelle mostre allestite sui Giubilei, ma confermato nelle carte del Principe Chigi, custode del conclave, e nell’Enciclica di Pio VII”

Mai si parla del Giubileo svoltosi tra il 1800 ed il 1802, generalmente non registrato nelle cronache, di cui esiste testimonianza nelle carte scovate dal Conte Carlo Piola Caselli. Lo studioso racconta in esclusiva a Il Giornale D'Italia sia del manoscritto del Principe Agostino Chigi, custode e maresciallo del conclave, sia dell'enciclica papale «Ex quo Ecclesiam».

Le varie mostre sui Giubilei allestite in questi ultimi anni ed anche quelle precedenti fanno riferimento al «Bullarium Romanum» e, per questo motivo, non vi è emerso il Giubileo indetto nel 1800. 

Si trattò senza dubbio di un Giubileo celebrato in sordina, perché Pio VII, eletto il 14 marzo 1800 nell’isola veneziana di San Giorgio (ora la Fondazione Giorgio Cini), era potuto entrare a Roma il 3 luglio, trovandosi impegnato a rimettere in sesto lo Stato Pontificio. Egli doveva impiegare tutte le energie a restaurarne le finanze, rese esauste prima dai francesi e poi dai napoletani.

Vi è, però, una testimonianza autorevole nel poco indagato manoscritto del Principe Agostino Chigi, custodito nella Biblioteca Apostolica Vaticana, di cui sono finora state pubblicate solo alcune delle tante pagine. Nella prima pagina del «Diario» del Principe, intitolato «Memorabilia Privata et Publica», il 1° gennaio 1801 si legge: «Oggi il Papa è andato a dar la benedizione a Sant’Andrea della Valle dove predica Mons. Fenaia per il corrente Giubileo, ma il popolo affamato gli ha gridato ‘Pane!’ e ‘Olio!’». Poi, di nuovo, il 2 gennaio: «Il Papa è andato anche oggi a dar la benedizione a San Carlo al Corso per il Giubileo». Esaminando le annate di questo «Diario», si nota l’estrema precisione anche lessicale di Chigi nell’esporre i fatti di cui è stato testimone.

Per fare chiarezza, il Conte Carlo Piola Caselli ha cercato di esplorare meglio questo evento giubilare, generalmente non registrato nelle cronache. Le varie mostre sui Giubilei allestite in questi ultimi anni ed anche quelle precedenti fanno riferimento al «Bullarium Romanum» e, proprio per questo motivo, non è emerso il Giubileo indetto nel 1800. Il Conte ha quindi meticolosamente indagato le encicliche papali e vi ha trovato la «Ex quo Ecclesiam».

Lo strumento dell’Enciclica, spiega il Conte, Έγκύκλιος, era già in uso nell’antichità, come si legge nell’Apocalisse, adottato anche dai vescovi e da San Paolo. Quale mezzo pontificio di comunicazione in epoca moderna venne rimesso in auge nel 1745 da Benedetto XIV.
Morto Pio VI il 29 agosto 1799, nel Delfinato, dove era stato forzatamente tradotto dal Direttorio francese, i cardinali si erano riuniti a Venezia per il conclave ed avevano eletto Pio VII. Però, il cattolico imperatore d’Austria non gli aveva concesso un’incoronazione solenne, avvenuta il 21 marzo a San Giorgio Maggiore. Subito dopo, erano spirati venti di guerra, essendo imminente lo scontro tra le armate imperiali e quelle rivoluzionarie, vinto il 14 giugno dal generale Bonaparte primo console con la battaglia di Marengo. Perciò, nel frattempo, il Pontefice si era limitato a pubblicare, il 24 maggio 1800, dal contiguo monastero, l’interessante enciclica surrogatoria, avente però forza di «Giubileo» a tutti gli effetti.

Spiega Piola Caselli come tale enciclica, verso la metà, reciti così: «Concediamo, come si suole concedere nell’anno del Giubileo, ed elargiamo l’indulgenza plenaria e la remissione di tutti i peccati a tutti e ai singoli fedeli dell’uno e dell'altro sesso, ovunque dimorino, purché: visitino [...] con la dovuta devozione interiore e compostezza esteriore le Chiese» e preghino «Per il trionfo della Santa Madre Chiesa Cattolica». Nel penultimo paragrafo, sono insite tutte le difficoltà che poteva attraversare la sua divulgazione: «Affinché questa nostra Lettera, non potendo essere recapitata in ogni luogo, giunga più facilmente a conoscenza di tutti, vogliamo che agli estratti o alle copie di essa, anche stampati, firmati di mano di un pubblico notaio e muniti del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica, in qualunque luogo e presso tutti i popoli si presti la medesima fede che si presenterebbe alla presente». Nell’ultimo paragrafo, essa si concludeva con queste parole: «Infine tutti coloro che, apertamente o nel loro intimo, avversano la Sede Apostolica, le sentenze e le Costituzioni della Santa Romana Chiesa, sappiano che sono indegni di partecipare alla Grazia e al beneficio del Giubileo».

In questo documento ufficiale pontificio, essendo stata ripetuta due volte la parola «Giubileo», è incontestabile che esso fosse nelle intenzioni del Sommo Pontefice, il quale ha così concesso l’indulgenza plenaria e la remissione dei peccati a coloro che avessero compiuto determinate opere di pietà.
Non è stato un Giubileo solenne come tutti gli altri, ma c’è insito un aspetto modernissimo, non il pellegrinaggio a Roma, bensì opere di devozione ovunque si fossero trovati. Erano contemplati persino i naviganti, che non potevano esser raggiunti in tempo, ed i carcerati. In quest’ultimo particolare di estrema pietà, Pio VII si mostra un precursore di Papa Francesco.

Inoltre, prosegue a spiegare Piola Caselli, la chiarissima valenza delle parole di questa enciclica confuta molti storici, secondo i quali si sarebbe passati dal precedente del 1775 a quello successivo del 1825 e che l’indizione del 1800 (vi è solo qualche rarissimo “fumus”) abbia avuto una valenza nulla.

Il giubileo del 1800 non solo ne aveva tutti i connotati intimamente penitenziali, più che esteriori, ma ha avuto uno strascico, una proiezione, almeno per quanto riguarda la città di Roma, persino nel 1802.
Aggiungere, infatti, il Conte che, da questo «Diario», vien fuori un’altra sorpresa: anche nell’anno dopo, dom. 2 maggio 1802, si legge: «Oggi è cominciato il Giubbileo» (sic!) Che durerà 15 giorni». Poi, stranamente, Chigi, il 2 giugno, annota: «Dopo pranzo sono stato alla Minerva per il Giubbileo». Così deduciamo che esso, ripetutosi a Roma nel 1802, sarebbe durato addirittura almeno un mese, se non di più.

Non risulta altra enciclica papale di questo periodo (infatti le uniche quattro di Pio VII sono del 15 e 24 maggio 1800, del 4 maggio 1814 e del 12 giugno 1817), ma potrebbe essere stato nuovamente confermato, come richiamo, date le vistose difficoltà dell’anno precedente, da un’altra autorità ecclesiastica, alla quale l’enciclica aveva dato mandato.

Il conte Carlo Piola Caselli, esperto di diplomazia pontificia dei periodi di Pio VI e di Pio VII, ha compiuto ricerche storiche nell’Archivio Apostolico Vaticano ed a Parigi. Sulla questione del Giubileo del 1800, gli storici facevano riferimento al “bullarium”, e quindi non vi trovavano questo, poiché esso, non avendo potuto avere i canoni della solennità esteriore, è stato indetto tramite una lettera pastorale od enciclica. Anche nella mostra di tutti i giubilei, fatta nel palazzo del Vicariato vecchio di Roma (in via della Pigna) nel maggio 2016, non vi era la minima traccia di questo del 1800. L’idea di Piola Caselli è stata quella (per aver le prove di quanto scritto dal Principe Chigi nel suo «Diario», conservato nella sezione manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana), di ricercarlo tra di esse.