Futurismo, come prepararsi alla sbornia. Tutto quello che c'è da sapere sulla mostra della Galleria d’Arte Moderna di Roma
Finalmente ci siamo, la tanto chiacchierata Mostra sul Futurismo ha aperto i battenti presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma il 2 Dicembre, giorno della morte del fondatore del Movimento, Filippo Tommaso Marinetti. In assenza di un centenario, di un cinquantenario, di un ventennio – per carità – bisogna accontentarsi di un funerale. Sulle vicende che hanno preceduto l’evento stendiamo un velo pietoso, visto che tra i servizi di Report e i millesettecentoventuno articoli di giornale dedicati alle “sciarre” che hanno preceduto l’evento siamo ormai giunti a sazietà.
Concentriamoci sul Futurismo in sé – prima della sbornia di quadri, sculture, pitture, cinematografie e suppellettili varie che affolleranno, insieme alla folla, naturalmente, le stanze del succitato museo – per prepararci alla valanga di incenso che infesterà l’aria fuori e dentro il palazzo museale, le colonne dei giornali, le piste audio-video dei telegiornali e dei programmi dedicati. Perché sappiamo già, altrimenti tanto clamore non avrebbe avuto senso, che il desiderio di chi ha voluto questa mostra non è tanto quello di raccontare un fatto storico, l’avanguardia futurista, e di inquadrare le sue ricadute sull’arte europea e, più in generale, di tutto il mondo, quanto il bisogno di riconoscere nel futurismo stesso un prodotto della cultura di destra. Ora si dirà che no, la destra non c’entra, e che la mostra vale per se stessa, nessuno motivo politico. E, in effetti, la destra e il fascismo c’entrano poco. Vediamo perché.
Ovviamente non si può negare che Fascismo e Futurismo siano andati a braccetto, né che per molto tempo, durante il ventennio, il Movimento sia stato, di fatto, l’arte del regime: il Marinetti accademico d’Italia è quanto di meno futurista si possa immaginare. Si potrà obiettare che Mussolini in persona non abbia mai voluto “insignire” del titolo di arte di Stato né questo né quello stile, e tuttavia non cambia la sostanza delle cose: Futurismo e Fascismo sono intrinsecamente legati. Per alcuni sarà un vanto, per altri uno stigma, per me non conta niente. Niente, zero, nisba, e da nessun punto di vista, e innanzitutto da quello puramente artistico. L’arte, infatti, ha con la storia un legame di famiglia, di somiglianza, di concomitanza, ma i suoi valori, cioè ciò che l’arte è, non si identifica con nessuna delle parentele vere o supposte. Le opere di Balla, Boccioni, Sant’Elia, Russolo, Dottori et caetera vanno inquadrate certamente nel loro contesto storico, e tuttavia bisogna accostarsi ad esse, e se necessario valutarle, come opere d’arte di per sé, secondo un metro puramente artistico, e cioè per i valori plastici, compositivi, armonici, creativi, spirituali. Perciò, prima della sbornia, prima delle letture ideologiche, varrà la pena ripassare un po’ di estetica e delle categorie proprie della materia. Un lavoro che va fatto a casa, però, prima di perdere la bussola nella nebbia di incenso ideologico. Ma se proprio di ideologia si dovesse parlare, forse è il caso di lasciare da parte il Fascismo.
Il Futurismo ha le sue matrici ideali altrove che nei Fasci Littori, che pure Marinetti ha fondato, o nella Marcia su Roma. Quello che si può leggere in trasparenza nella esorbitante, eccitante, dinamica, poliedrica macchina Futurista è un concetto più profondo, onirico e concretissimo, e che con la destra ideologica non ha nulla a che fare: il sogno palingenetico. No, non è una parolaccia, è un fatto che contraddistingue l’avanguardia in sé, che ne è la matrice e la sostanza, il motore profondo. Che cosa vuol dire, infatti, Futurismo, se non un credo – fideistico e cieco come tutti i credo – nel Futuro, nella Rivoluzione, nel progresso? “Un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia” – scrive Marinetti nel suo Manifesto quando l’automobile era ancora al maschile. Che cosa vuol dire? Vuol dire che il Futurismo, come tutte le avanguardie, nel sognare la palingenesi deve sognare la distruzione del Passato, e deve farlo nel Presente, qui e ora darsi “in pasto all’ignoto” per fare spazio al Futuro che arriva. Nulla di nuovo all’orizzonte: qui c’è il Valhalla, l’escatologia cristiana, la pulsione di morte e la volontà di potenza fuse insieme. Ecco dove risiede la forza di questo movimento e di tutti i movimenti simili che hanno caratterizzato la prima parte del secolo scorso. In questo senso sì, il Futurismo è una pietra miliare, perché contiene e prefigura buona parte dell’arte che conosciamo come alternativa all’arte storica. Qui risiede la sua forza, la sua creatività, la sua proliferazione: l’ebrezza del cupio dissolvi. E sempre qui sta la sua debolezza, il suo limite.
A forza di distruggere, il Novecento non ha lasciato in piedi nulla. Vengono alla mente le immagini del capolavoro di Rossellini Germania anno zero: di fronte alla devastazione della capitale del Reich, al giovane protagonista non resta che gettarsi tra le macerie, rinunciare al futuro e immolarsi al nulla che lo circonda e lo pervade. Perciò, prima della sbornia e dell’esaltazione, la stessa che so, della folla ottusa e festante che a Piazza Venezia accoglieva con un’ovazione l’entrata in guerra dell’Italia fascista, provate a rivedere le immagini di Hiroshima e Nagasaki, della “guerra come sola igiene del mondo”, così avrete accesso gratuito a una sana e duratura profilassi e si sarà evitato l’effetto nauseabondo del post sbornia.
Si potrà dire che no, il, Futurismo non ha solamente distrutto, e anzi ha prodotto a dismisura. E chi lo nega? Il cupio dissolvi è paradossalmente molto produttivo: Van Gogh, per esempio, che ha dissolto se stesso fino a togliersi la vita, ha prodotto circa 900 opere in pochissimi anni. E noi gliene saremo grati per sempre, come lo siamo a Balla o Boccioni. Ma mentre il povero Vincent ha dissolto solamente se stesso, i sogni palingenetici del Novecento hanno dissolto milioni di esseri umani in un inferno di bombe, radiazioni e napalm.
Perciò, senza buttare il bambino con l’acqua calda, lasciamo il Fascismo alla storia, togliamo il Futurismo dalle grinfie dei Mussolini di allora e di adesso, e godiamo delle opere d’arte per se stesse che, esteticamente parlando, non è peccato.