TUTTI MUTI: LO SVUOTAMENTO DELLA CULTURA E NOTE A MARGINE
"La cultura è oggi svuotata del suo significato. La vediamo in tutti i modi e le salse, è proclamata per ragioni che con la cultura non hanno a che fare. Il nostro Paese è un po' impoverito per quello che riguarda la cultura ma non per colpa degli italiani”. Così il Maestro Riccardo Muti pochi giorni fa in quel di Adria, Puglia, città in cui risplende la meraviglia architettonica di Castel Del Monte, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria. Quale che sia stata l’occasione, il Maestro torna su un tema ormai caro, quasi un’ossessione: lo svilimento della Cultura nel nostro Paese. Ne ha parlato, per esempio, a margine del recente concerto pucciniano nell’ambito delle Celebrazioni per il Centenario del compositore toscano, e con toni simili. La colpa non è degli italiani, dice Muti. E di chi, allora? È lo stesso Maestro, in un’intervista durante la presentazione degli appuntamenti della sua Muti Italian Opera Academy, a rispondere: “Non parliamo della casa di Paesiello o di Verdi. Stiamo bruciando i ponti con la cultura italiana. E i media – dice il maestro – ci parlano dei rapper, dei Maneskin o Maneskot”.
Insomma, tutta colpa della tv, delle radio, di internet. E, forse, aggiungeremo noi, di internet un po’ meno, nella misura in cui la fruizione di internet è meno verticale, meno veicolata, orientata cioè più dal navigante che da presunti capitani dell’informazione. Tutto qui? Direi di no. Muti ha ragione, ma forse non vuole vedere fino in fondo le radici del problema che lamenta. Che il valore della Cultura in Italia sia ai minimi storici è una costatazione di fatto. Attribuire le cause di questo disastro ai media è, però, troppo facile e nello stesso tempo assolutorio sia per chi la cultura la fa, sia per chi, come politici, governo, istituzioni, dovrebbe occuparsi di farla conoscere, crescere e prosperare.
Che fare? - direbbe Silone. Bisogna cominciare dal basso, esattamente dagli italiani che il Maestro Muti scagiona, e dalle scuole. È mai possibile, mi chiedo, che un Paese che abbia dato i natali a Puccini, Verdi, Donizetti, Rossini, Vivaldi, dedichi una manciata di ore di studio nei vari cicli scolastici allo studio della musica? È mai possibile che il paese di Fermi, Majorana, Galileo, Torricelli abbia il minor numero di laureati in Europa, in particolare proprio sulle materie scientifiche? E questo solamente per fare degli esempi. Perché la Cultura, inteso come più vasto campo del sapere umano, non possiede confini netti tra materie umanistiche e scientifiche. E se l’Italia ha un suo specifico culturale è proprio nella capacità di unire, di creare legami, di tessere trame di sapere tra diversi materie, forme artistiche, ricerche intellettuali. Pensiamo per esempio alla prospettiva, uno degli elementi caratterizzanti del Rinascimento italiano: lo studio geometrico matematico della prospettiva ha informato la visione della pittura, la costruzione dei teatri all’italiana – esportati in tutta Europa e oltre – la realizzazione di opere architettoniche e urbanistiche. L’Italia è il paese della Summa di San Tommaso D’Aquino, della Commedia di Dante, opere sì italianissime, ma con l’aspirazione profonda all’universalità, al superamento dei confini etnici, nazionali, privatissimi, a favore di una più ampia apertura al Mondo e al Presente. È questo che bisogna comunicare.
La Cultura, altrimenti, è lettera morta. Non sono i Maneskin a distogliere l’attenzione degli Italiani da Bellini, né internet che ne parla, o la sempre terribile e cattivissima televisione. Il problema è che senza strumenti di lettura, di comprensione, di ascolto, non è possibile guardare con piacere neppure una partita di calcio. Se non si conoscono le regole di un determinato gioco, infatti, è pressoché impossibile partecipare né mentalmente né emotivamente al suo svolgimento. Il compito dello Stato, usiamo questo termine per semplificare, è proprio quello di fornire i mezzi ai cittadini per accostarsi alla cultura come un essere vivo, animato, pulsante, e non come un cadavere che porta in giro se stesso e le sue piaghe. Se vogliamo, c’è anche una ragione scientifica a giustificare la necessità di un’educazione artistica: chiunque abbia praticato ballo nella vita, a qualunque livello l’abbia fatto, avrà attivato una parte dei suo cervello che un carpentiere, per esempio, non avrà mai sviluppato.
Questo vuol dire che il carpentiere e il presunto ballerino, davanti a uno spettacolo di danza attiveranno parti diverse del loro cervello, e il piacere che può essere provato dall’aspirante ballerino sarà certamente più intenso di quello sentito dal povero carpentiere. Ci vogliamo occupare di questo oppure preferiamo prendercela con la tv? Vogliamo stabilire a tavolino, e magari imporre, che certa musica non è musica e altra lo è, oppure vogliamo educare le persone all’ascolto di questo e quello, dei “Maneskot” e Nino Rota, lasciandole poi libere di sentire le note con la propria anima e i propri timpani? La strada che propongo è certamente un po’ più lunga. Ma, francamente, non ne vedo altre.