“La Madonna della Pace”, capolavoro italiano del Pinturicchio databile al 1490

Il soprannome di Pinturicchio ("piccolo pintor", cioè "pittore") gli derivava dalla sua corporatura minuta ed egli stesso lo fece proprio usandolo per firmare alcune opere. Giorgio Vasari ne descrisse la biografia in “Le Vite” del 1568

“La Madonna della Pace” è un dipinto (143x70 cm) di Pinturicchio, databile al 1490 circa e conservato nella Pinacoteca civica Tacchi-Venturi di San Severino Marche in Italia.

Bernardino di Betto Betti, più noto come Pinturicchio o Pintoricchio (Perugia, 1452 circa – Siena, 11 dicembre 1513), è stato un pittore italiano. Il soprannome di Pinturicchio ("piccolo pintor", cioè "pittore") derivava dalla sua corporatura minuta ed egli stesso lo fece proprio usandolo per firmare alcune opere. Giorgio Vasari ne descrisse la sua biografia in “Le Vite” del 1568 (Bernardino Pinturicchio) citando nella parte finale anche Nicolò Alunno di Foligno.

Fu un artista completo, capace di padroneggiare sia l'arte della pittura su tavola, che l'affresco e la miniatura, lavorando per alcune delle più importanti personalità del suo tempo - fu' uno degli artisti che dipinse la Cappella Sistina. E' uno dei grandi maestri della scuola umbra del secondo Quattrocento, con Pietro Perugino e il giovane Raffaello.

L'opera, tra le poche ritenute interamente autografe del Pinturicchio in questa fase artistica della prima maturità, venne donata da Liberato Bartelli al Duomo di San Severino Marche. L'uomo, originario di quella città, era protonotaro apostolico e canonico di Santa Maria in Trastevere a Roma e alla fine del 1488 era stato nominato priore della chiesa di San Severino Marche. Verosimilmente in quell'occasione dovette commissionare la pala al Pinturicchio, pittore di spicco della nuova generazione di artisti attiva a Roma in quel periodo, che venne consegnata probabilmente verso il 1490.

Il dipinto, apprezzato dalla quasi unanimità dei critici, mostra la Madonna seduta col Bambino in grembo, che tiene nella mano sinistra il globo simbolo del suo potere sulla Terra e con la destra benedice il committente inginocchiato, rappresentato di profilo con un'attenzione epidermica al dettaglio fisiognomico analitico (le rughe, le vene sulla fronte, la consistenza della pelle rilassata), che rivela uno studio della pittura fiamminga. Il Bambino non è seminudo come nelle coeve rappresentazioni umbre o toscane, ma ha la veste da piccolo redentore, con una ricchissima dalmatica e un pallio che vennero forse visti nei mosaici bizantini a Roma.

I volti sono di una bellezza ideale, rarefatta, con una studiata inclinazione delle teste e dei gesti. I panneggi sono meticolosamente delicati e ricchi di decorazioni eseguite in punta di pennello, come la veste del Bambino che presenta un ricamo perfettamente riprodotto sul petto e bagliori dei riflessi delle perle incastonate sulla manica.

Lo sfondo ha la dolcezza del paesaggio umbro, con colline punteggiate dalla presenza umana che, tra alberi esili e frondosi, sfumano dolcemente in lontananza schiarite dalla foschia mentre a sinistra si vede un arco naturale roccioso, tipica invenzione fantastica dell'autore, reminiscente forse dalla scuola ferrarese. Sotto di esso passano alcuni cavalieri e fanti armati, forse un'allusione all'esercito di Erode e alla strage degli Innocenti.

Di Giovanni Conticelli.