Elena Basile, "L’occidente e il nemico permanente", una lettura necessaria per comprendere il nostro distopico presente

Il saggio dell'Ambasciatrice Elena Basile è un libro da tenere sul comodino e rileggere di tanto in tanto

Elena Basile, con il suo saggio L’occidente e il nemico permanente, si è guadagnata tutta la mia stima. Poca cosa, la mia stima. Ma la riservo a quel manipolo di onesti che, nonostante gli attacchi personali, le calunnie, la diffamazione a mezzo stampa e – nel suo caso – persino la querela a scopo intimidatorio, tengono accesa la fioca luce che svela la mistificazione, il buio della ragione che ottenebra le coscienze. A un passo dall’Apocalisse, persino le parole di un agnostico come me si fanno sermone. “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. (Giovanni, 8,32).

Elena Basile ci racconta la verità, contribuendo al risveglio delle nostre coscienze per rendere più vicino quel Grande Risveglio che – come teorizzato da Monsignor Carlo Maria Viganò – è la nostra unica possibilità di sconfiggere il Great Reset teorizzato da Klaus Schwab. Luce contro tenebra, il male contro il bene: per i cattolici l’Apocalisse cui seguiranno mille anni di regno mariano. Tempi in cui gli orrori ricordano quelli descritti in Cuore di tenebra di Joseph Conrad, o nel monologo del Colonnello Kurtz di Apocalypse now: “Ricordo quando ero nelle forze speciali, sembra siano passati mille secoli. Siamo andati in un accampamento per vaccinare dei bambini; andati via dal campo, dopo averli vaccinati tutti contro la polio, un vecchio in lacrime ci raggiunge correndo, non riusciva a parlare. Allora tornammo al campo, quegli uomini erano tornati e avevano mutilato a tutti quei bambini il braccio vaccinato. Stavano lì ammucchiate un mucchio di piccole braccia, e mi ricordo, che io ho, io ho pianto come, come una povera nonna, avrei voluto cavarmi tutti i denti, non sapevo nemmeno io cosa volevo fare. Ma voglio ricordarmelo non voglio dimenticarlo mai, non voglio dimenticarlo mai. E a un certo punto ho capito, come se mi avessero sparato, mi avessero sparato un diamante, un diamante mi si fosse conficcato nella fronte e mi sono detto: Dio che genio c’è in quell’atto, che genio. La volontà di compiere quel gesto, perfetto, genuino, completo, cristallino, puro. Allora ho realizzato, che loro erano più forti di noi, perché loro riuscivano a sopportarlo.”

Questa è la guerra: vogliamo l’orrore nel futuro dei nostri figli? In questi ultimi anni abbiamo assistito a cose terribili. Nazisti ucraini che sparano a prigionieri inermi e ridono, i cadaveri abbandonati sulle strade di Mariupol mostrati da Vittorio Rangeloni (un cronista di guerra come non ne esistono altri: un ultimo Essere Umano nella tragedia), le stragi di Gaza, dove un esercito regolare che sa di poter contare sull’impunità garantita da Benjamin Netanyahu spara sugli affamati che si contendono una manciata di farina, un Ministro di una Nazione democratica (che discrimina su base religiosa definendosi per legge lo Stato Nazione degli ebrei) che piscia sui cadaveri, estremisti impazziti che invocano la soluzione finale… Elena Basile ci racconta come si sia arrivati a questa apparente esplosione di follia. Con la serietà della storica e lo stile della scrittrice, questa donna straordinaria, sintesi vivente delle doti migliori di noi dissidenti, svela la mistificazione. Nel 1955, Bertrand Russell scrisse il famoso manifesto pacifista insieme ad Albert Einstein.

Da pacifista convinto quale sono sempre stato, non posso che nutrire ammirazione per chi per le proprie convinzioni abbia perso la cattedra a Cambridge dopo la pubblicazione del suo articolo intitolato L'etica della guerra (gennaio 1915). In tale articolo, Russell, formula una teoria sulle guerre e conclude che le guerre di prestigio siano assolutamente ingiustificabili. E cos’è la guerra russo ucraina se non una guerra di prestigio? Elena Basile – che come Russell ha pagato di persona per le sue idee, dando le dimissioni dalla carriera diplomatica – nella prima parte del suo saggio racconta di come la guerra in Ucraina sia il risultato della strategia espansionistica degli Stati Uniti, il suo frutto (se è possibile definire frutto il massacro di 500.000 ucraini, 8.000.000 di profughi e lo smembramento di una Nazione). Ho amato Kiev ed ero a Euromaidan nel 2014: ho visto Victoria Nuland e John McCain promettere un futuro migliore ai miei amici che ora sono morti, al fronte o fuggiti perdendo tutto. Ho ascoltato Victoria Nuland, il suo “Fuck EU”.

I seguaci di Leo Strauss sono così: una banda, “the blob” come li ha definiti John Mearsheimer. La Nuland ha servito sotto sei presidenze prima di dimettersi. E’ stata coinvolta in tutte le guerre per l’esportazione della democrazia, un termine che mistifica, tutto giustifica ma non rivela che l’obiettivo è il mantenimento della supremazia del dollaro (e del petroldollaro), l’allargamento dei mercati per la grande finanza che produce le armi, ma detiene anche partecipazioni in Amazon, Apple, Meta, Microsoft e soprattutto in quel nuovo straordinario strumento di dominio che è l’industria farmaceutica. La gente crede che l’esportazione della democrazia sia una cosa buona e giusta. La gente è manipolabile, comprende la superficie dei fenomeni, segue i pifferai della televisione acriticamente.

In una memorabile intervista rilasciata nel giugno 2016 all’AntiDiplomatico, il giornalista australiano John Pilger rispose così a una domanda: “Secondo Lei l'Italia è una vera democrazia? Il Regno Unito è una vera democrazia? Gli Stati Uniti sono una plutocrazia. Uno scienziato politico cinese ha recentemente dichiarato: "in Cina, il governo non cambia, ma le politiche si. Negli Stati Uniti cambiano i governi, ma le politiche praticamente mai”. E' la semplice verità”. Come ha scritto Roberto Pecchioli, a livello globale, poche personalità influenzano il presente quanto Leo Strauss (1899-1973), pensatore tedesco di origine ebraica emigrato negli Stati Uniti. Il suo pensiero è poco noto, la sua lezione è alla base del movimento neo conservatore e della politica di potenza. Possiamo affermare che gli straussiani – alcune decine di personalità di enorme potere – sono veri e propri architetti della guerra come strumento dell’impero americano. Il crocevia del pensiero di Strauss fu la scoperta – o riscoperta – della cosiddetta scrittura reticente, che non svela ma cela.

Gli straussiani – una minoranza ristretta ma potentissima – sono al potere in Occidente e la menzogna è la forma normale della relazione tra popolo e oligarchia, dominanti e dominati. Qualcuno li considera una setta e in effetti i primi discepoli di Strauss furono un circolo quasi segreto, costituito da giovani di origine ebraica. Ad essi era riservato l’insegnamento più criptico ed esoterico, trasmesso in forma orale, come gli antichi maestri. Inculcava il principio della nobile menzogna, ritenendo moralmente giusto mentire per un fine superiore – il potere – una condotta da applicare all’attività pubblica degli iniziati, a partire dall’agitazione dei suoi seguaci contro le lezioni di docenti di avverso orientamento.

Il fine era una sorta di lotta continua applicata alla geopolitica. Uno Stato deciso a sopravvivere e a esercitare volontà di potenza (Nietzsche fu uno dei riferimenti di Strauss) deve essere permanentemente in guerra. Un coacervo di idee che influisce sulla politica estera americana da decenni, trascinato dall’influenza nell’economia, nella cultura, nei “pensatoi” riservati (think tank). L’intera architettura geopolitica e di guerra ibrida dispiegata dagli Usa dalla caduta del comunismo sovietico è stata impostata e spesso dominata dagli straussiani, presenti in ruoli chiave nelle amministrazioni sia democratiche che repubblicane. Fin dal 1976, il falco straussiano Paul Wolfowitz era giunto alla conclusione che non era sufficiente isolare l’URSS, occorreva farla finita con essa. I neocons divennero artefici di gruppi di lavoro e ONG legate al potere riservato come il National Endowment for Democracy (NED) e l’USIP, dal nome orwelliano di Istituto Statunitense per la Pace. Entrambe, con l’appoggio dell’Open Society di George Soros e delle ricche ONG dei miliardari, furono implicate nel tentativo rivoluzionario cinese di Tienanmen, in tutte le “rivoluzioni colorate “e nella deposizione e successivo arresto del presidente serbo Milosevic; nella rivoluzione delle rose georgiana che provocò la caduta del presidente ex sovietico Shevardnadze e condusse a una guerra. E ancora nella rivoluzione arancione in Ucraina del 2004, con la cacciata di Yuschenko; in quella dei tulipani in Kirghizistan nel 2005; nella rivoluzione che cercò invano di deporre il belorusso Lukashenko; nei disordini antirussi del 2009 in Moldavia.

Il ruolo dei neocons e delle ONG legate alla Cia e ai “filantropi” nei fatti ucraini del 2014, l’azione di Victoria Nuland – esponente democratica, moglie del neocons straussiano Robert Kagan (diventato democratico in odio al “fascismo” di Trump) è noto a chi non legge le veline mainstream. Wolfowitz elaborò nel 1992 un documento nel quale chiedeva una più forte egemonia mondiale americana, anche contro l’Europa. La tesi era che i governi europei non hanno una visione geopolitica globale (è la verità) e che quindi l’impero americano è autorizzato a prendere decisioni unilaterali. Robert Kagan scrisse un libro apertamente anti europeo nel 2003 e un significativo articolo sull’influente rivista Foreign Affairs in cui sosteneva “la benevola egemonia globale degli Stati Uniti”. straussiani di fatto furono esponenti dei governi repubblicani come Dick Cheney e Donald Rumsfeld. Richard Perle fu consigliere del presidente bosniaco musulmano Izetbegovic e trafficò con la strana figura di Osama Bin Laden.

Gli straussiani e i neocons hanno spesso usato l’islamismo per indebolire gli alleati della Russia, pur saldamente ancorati a un sionismo estremista, in nome del quale Perle consigliò nel 1996 l’eliminazione di Yasser Arafat, l’inizio di una guerra contro l’Iraq (avvenuta alcuni anni dopo) e la deportazione dei palestinesi in territorio iracheno. Dopo l’oscuro attentato alle Torri gemelle, fu Wolfowitz l’ispiratore dell’operazione Desert Storm (Tempesta nel Deserto) e i neocons dell’Office of Special Plans gli artefici della propaganda bellica sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Non fecero altro che applicare la strategia della “nobile menzogna” di Strauss ed elaborarono la teoria geopolitica e geoeconomica detta dottrina Rumsfeld-Cebrowski. Questi i punti essenziali: gli Stati Uniti devono garantirsi risorse a basso costo dai Paesi in via di sviluppo; le guerre coloniali convenzionali per conquistare e dominare completamente un paese sono praticamente impossibili o troppo costose. Pertanto i conflitti armati devono essere prolungati in una “guerra senza fine” che lasci sul campo Stati falliti, come la Libia dopo Gheddafi.

Gli Stati Uniti devono promuovere o provocare guerre attraverso organizzazioni o governi fantoccio e prolungarle il più a lungo possibile (Afghanistan, Iraq o Siria). In assenza di uno Stato con cui negoziare, l’estrazione delle risorse (leggi il furto) è molto più facile. Gli insuccessi finali dei conflitti scatenati hanno costretto gli straussiani a cambiare strategia, ma la tattica generale è sempre quella di soffiare sul fuoco per mantenere instabile le aree geopolitiche di interesse. In una visione straussiana, non stupirebbe se la signora Nuland in cuor suo si reputasse un’eroina, per avere provocato una guerra permanente con la Russia, con il risultato di rendere l’Europa dipendente non dal gas naturale russo (che peraltro la Federazione Russa può vendere altrove) ma dal gas di scisto americano, alla faccia della propaganda green e degli interessi della colonia europea. La doppiezza straussiana – agire in termini di potenza mentendo ai popoli – è una delle forme della “grande politica” ignota alla gente comune. Però la chiamano democrazia. Elena Basile ripercorre le tappe più significative della politica americana in Ucraina.

Dalla caduta del muro a oggi, è un susseguirsi di promesse fatte dall’Occidente e non mantenute, di provocazioni portate avanti nella piena consapevolezza delle conseguenze. “The most blatant coup in History”, così George Friedman fondatore dello Strategic Forecasting Inc, di Stratfor ebbe a definire Euromaidan. Un colpo di Stato realizzato dal Dipartimento di Stato USA nonostante l’avvertimento dell’Ambasciatore americano a Mosca che la Federazione Russa avrebbe reagito (come in effetti ha reagito, invadendo la Crimea e annettendola grazie al referendum). Ma l’Occidente - che ha codificato i principi cardine del diritto internazionale - li applica sempre e soltanto se utili alla propria causa: il principio di autodeterminazione dei popoli non vale se in contrasto con gli interessi americani. Si può discutere a lungo se la politica americana in Ucraina sia stata un totale o parziale insuccesso. Di certo, sulla pelle di una Nazione amica, l’America ha spezzato il legame tra Germania e Federazione Russa, minato per sempre la credibilità internazionale delle istituzioni europee e dato ossigeno al comparto dell’industria militare. La Federazione Russa – se pure vincesse sul campo – dovrebbe convivere con l’allargamento della NATO, i missili ai propri confini, le sanzioni permanenti e il terrorismo. Sì, perché l’America si è trasformata in uno Stato canaglia che fa esplodere i gasdotti, copre gli assassini che fanno saltare in aria una figlia (Darya Dugina) davanti agli occhi del padre (Aleksandr Dugin, il teorico del mondo multipolare, che io ho incontrato in occasione di un suo viaggio in Italia) e fornisce i missili con cui – dal 2014 – gli ucraini uccidono civili nella città di Donetsk (altro luogo che ben conosco e ho amato, dove inizia il mio romano Dimmelo domani). E il cattivo esempio ha contagiato noi europei: i generali tedeschi che pianificano al telefono di distruggere il ponte di Crimea non sono forse terroristi?

Lo scrivo da giurista con 35 anni di carriera alle spalle: andrebbero processati: preparavano un attentato! O vogliamo finalmente ammettere che in Ucraina combatte la NATO? La verità emerge in questa semplice frase: “Il conflitto fa bene all’economia statunitense. Il complesso militare-industriale … si nutre di guerre innescate in aree lontane dalla patria americana”. Il DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) - parte del Deep State che nomina i Presidenti in quella che ormai non è più una democrazia ma un suo simulacro – ha avuto un ruolo chiave anche nel COVID-19, dalla fabbricazione del virus chimera (arma chimica con un padre e una madre, Ralph Baric e She Zhengli) alla vaccinazione di massa.

Nella seconda parte del suo saggio, Elena Basile descrive i fatti storici che hanno portato alla nascita dello Stato di Israele, partendo dallo scambio di corrispondenza tra il Ministro degli Esteri britannico Balfour e Lord Walter Rothschild, referente del sionismo. Nella Palestina di inizio XX Secolo, 8/10 della popolazione era di religione musulmana, 1/10 cristiana e 1/10 ebraica. Dopo la Shoah e la decisione delle potenze vincitrici di consentire la nascita dello Stato di Israele, inizia con la Nakba la tragedia del popolo palestinese. L'esodo palestinese del 1948 (in arabo الهجرة الفلسطينية‎?, al-Hijra al-Filasṭīniyya), conosciuto soprattutto nel mondo arabo, e fra i palestinesi in particolare, come Nakba (in arabo النكبة‎?, al-Nakba, letteralmente "disastro", "catastrofe", o "cataclisma"), è l'esodo forzato della popolazione araba palestinese durante la guerra civile del 1947-48, al termine del mandato britannico, e durante la guerra arabo-israeliana del 1948, dopo la fondazione dello Stato di Israele. La Nakba – ancora una volta – fu il risultato di una scellerata decisione americana, la risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU n. 181, che divise la Palestina in due zone: 14.000 chilometri quadrati alla comunità ebraica e 11.000 a quella araba (musulmana e cristiana), nonostante gli ebrei fossero la metà degli arabi. Seguì la proclamazione dello Stato d’Israele da parte di Ben Gurion, il 15 maggio 1948. Da quel giorno in avanti, Israele non ha cessato di espandersi a spese degli arabi. A nulla sono servite le guerre e le oltre 70 Risoluzioni dell’ONU.

Le elenco, giusto per farVi capire che studio la materia da 37 anni (Voi saltate pure alla fine della lunghissima lista): – Risoluzione 194 (1947): profughi palestinesi hanno il diritto di tornare alle loro case in Israele; – Risoluzione 106 (1955): Condanna Israele per l’attacco a Gaza; – Risoluzione 111 (1956): condanna Israele per l’attacco alla Siria, che ha ucciso cinquanta-sei persone; – Risoluzione 127 (1958): raccomanda a Israele di sospendere la sua zona “no man” (di nessuno) a Gerusalemme; – Risoluzione 162 (1961): chiede a Israele di rispettare le decisioni delle Nazioni Unite; – Risoluzione 171 (1962): indica brutali violazioni del diritto internazionale da parte di Israele nel suo attacco alla Siria; – Risoluzione 228 (1966): censura Israele per il suo attacco a Samu in Cisgiordania, allora sotto il controllo giordano; – Risoluzione 237 (1967): chiede con urgenza a Israele di consentire il ritorno dei profughi palestinesi; – Risoluzione 242 (1967): l’occupazione israeliana della Palestina è illegale; – Risoluzione 248 (1968): condanna Israele per il suo attacco massiccio su Karameh in Giordania; – Risoluzione 250 (1968): chiede a Israele di astenersi dal dispiegamento militare (parata) a Gerusalemme; – Risoluzione 251 (1968): deplora profondamente il dispiegamento militare (parata) israeliano a Gerusalemme, in spregio della risoluzione 250; – Risoluzione 252 (1968): dichiara nulli gli atti di Israele volti a unificare Gerusalemme come capitale ebraica; – Risoluzione 256 (1968): condanna del raid israeliano sulla Giordania e delle palesi violazioni del diritto internazionale; – Risoluzione 259 (1968): deplora il rifiuto di Israele di accettare la missione delle Nazioni Unite per valutare l’occupazione dei territori; – Risoluzione 262 (1968): condanna Israele per l’attacco sull’aeroporto di Beirut; – Risoluzione 265 (1969): condanna Israele per gli attacchi aerei di Salt in Giordania; – Risoluzione 267 (1969): censura Israele per gli atti amministrativi atti a modificare lo status di Gerusalemme; – Risoluzione 270 (1969): condanna Israele per gli attacchi aerei sui villaggi nel sud del Libano; – Risoluzione 271 (1969): condanna Israele per la mancata esecuzione delle risoluzioni delle Nazioni Unite su Gerusalemme; – Risoluzione 279 (1970): chiede il ritiro delle forze israeliane dal Libano; – Risoluzione 280 (1970): condanna gli attacchi israeliani contro il Libano; -Risoluzione 285 (1970): richiesta dell’immediato ritiro israeliano dal Libano; – Risoluzione 298 (1971): deplora il cambiamento dello status di Gerusalemme ad opera di Israele; – Risoluzione 313 (1972): chiede ad Israele di fermare gli attacchi contro il Libano; – Risoluzione 316 (1972): condanna Israele per i ripetuti attacchi sul Libano; – Risoluzione 317 (1972): deplora il rifiuto di Israele di ritirarsi dagli attacchi; – Risoluzione 332 (1973): condanna di Israele ripetuti attacchi contro il Libano; – Risoluzione 337 (1973): condanna Israele per aver violato la sovranità del Libano; – Risoluzione 347 (1974): condanna gli attacchi israeliani sul Libano; – Risoluzione 3236 (1974): sancisce i diritti inalienabili del popolo palestinese in Palestina all’autodeterminazione senza interferenze esterne, all’indipendenza e alla sovranità nazionale; – Risoluzione 425 (1978): chiede a Israele di ritirare le sue forze dal Libano; – Risoluzione 427 (1978): chiede a Israele di completare il suo ritiro dal Libano; – Risoluzione 444 (1979): si rammarica della mancanza di cooperazione con le forze di pace delle Nazioni Unite da parte di Israele; – Risoluzione 446 (1979): stabilisce che gli insediamenti israeliani sono un grave ostacolo per la pace e chiede a Israele di rispettare la Quarta Convenzione di Ginevra; – Risoluzione 450 (1979): chiede a Israele di smettere di attaccare il Libano; – Risoluzione 452 (1979): chiede a Israele di cessare la costruzione di insediamenti nei territori occupati; – Risoluzione 465 (1980): deplora gli insediamenti di Israele e chiede a tutti gli Stati membri di non dare assistenza agli insediamenti in programma; – Risoluzione 467 (1980): deplora vivamente l’intervento militare di Israele in Libano; – Risoluzione 468 (1980): chiede a Israele di annullare le espulsioni illegali di due sindaci palestinesi e di un giudice, e di facilitare il loro rientro; – Risoluzione 469 (1980): deplora vivamente la mancata osservanza da parte di Israele dell’ordine del Consiglio di non deportare i palestinesi; – Risoluzione 471 (1980): esprime profonda preoccupazione per il mancato rispetto della Quarta Convenzione di Ginevra da parte di Israele; – Risoluzione 476 (1980): ribadisce che la richiesta di Gerusalemme da parte di Israele è nulla; – Risoluzione 478 (1980): censura Israele, nei termini più energici, per la sua pretesa di porre Gerusalemme sotto la propria legge fondamentale; – Risoluzione 484 (1980): dichiara imperativamente che Israele rilasci i due sindaci palestinesi deportati; – Risoluzione 487 (1981): condanna con forza Israele per il suo attacco contro l’impianto per la produzione di energia nucleare in Iraq; – Risoluzione 497 (1981): dichiara che l’annessione israeliana del Golan siriano è nulla e chiede che Israele revochi immediatamente la sua decisione; – Risoluzione 498 (1981): chiede a Israele di ritirarsi dal Libano; – Risoluzione 501 (1982): chiede a Israele di fermare gli attacchi contro il Libano e di ritirare le sue truppe; – Risoluzione 509 (1982): chiede ad Israele di ritirare immediatamente e incondizionatamente le sue forze dal Libano; – Risoluzione 515 (1982): chiede ad Israele di allentare l’assedio di Beirut e di consentire l’ingresso di approvvigionamenti alimentari; – Risoluzione 517 (1982): censura Israele per non obbedire alle risoluzioni ONU e gli chiede di ritirare le sue forze dal Libano; – Risoluzione 518 (1982): chiede che Israele cooperi pienamente con le forze delle Nazioni Unite in Libano; – Risoluzione 520 (1982): condanna l’attacco di Israele a Beirut Ovest; – Risoluzione 573 (1985): condanna vigorosamente Israele per i bombardamenti in Tunisia durante l’attacco alla sede dell’OLP; – Risoluzione 587 (1986): prende atto della precedente richiesta a Israele di ritirare le sue forze dal Libano ed esorta tutte le parti a ritirarsi; – Risoluzione 592 (1986): deplora vivamente l’uccisione di studenti palestinesi all’università di Bir Zeit ad opera di truppe israeliane; – Risoluzione 605 (1987): deplora vivamente le politiche e le prassi israeliane che negano i diritti umani dei palestinesi; – Risoluzione 607 (1988): chiede ad Israele di non espellere i palestinesi e di rispettare la Quarta Convenzione di Ginevra; – Risoluzione 608 (1988): si rammarica profondamente del fatto che Israele ha sfidato le Nazioni Unite e deportato civili palestinesi; – Risoluzione 636 (1989): si rammarica profondamente della deportazione di civili palestinesi ad opera di Israele; – Risoluzione 641 (1989): continua a deplorare la deportazione israeliana dei palestinesi; – Risoluzione 672 (1990): condanna Israele per le violenze contro i Palestinesi a Haram Al-Sharif/Temple Monte; – Risoluzione 673 (1990): deplora il rifiuto israeliano a cooperare con le Nazioni Unite; – Risoluzione 681 (1990): deplora la ripresa israeliana della deportazione dei palestinesi; – Risoluzione 694 (1991): si rammarica della deportazione dei palestinesi e chiede ad Israele di garantire la loro sicurezza e il ritorno immediato; – Risoluzione 726 (1992): condanna fermamente la deportazione dei palestinesi ad opera di Israele; – Risoluzione 799 (1992): condanna fermamente la deportazione di 413 palestinesi e chiede ad Israele il loro immediato ritorno; – Risoluzione 1397 (2002): afferma una visione di una regione in cui due Stati, Israele e Palestina, vivono fianco a fianco all’interno di frontiere sicure e riconosciute; – Risoluzione dell’Assemblea generale ES-10/15 (2004): dichiara che il muro costruito all’interno dei territori occupati è contrario al diritto internazionale e chiede a Israele di demolirlo.

La risoluzione dell’Assemblea generale del 27 ottobre 2023 - su proposta della Giordania - adottata con 120 voti a favore, 14 contrari e 45 astensioni tra cui quella dell’Italia - è dunque soltanto l’ultima violazione del diritto internazionale in ordine di tempo.

Perché tutte queste risoluzioni? Le parole del Generale e politico israeliano Moshe Dayan sono più utili per inquadrare la questione palestinese di mille ragionamenti: «I villaggi ebraici furono costruiti al posto di quelli arabi. Voi non conoscete il nome di questi villaggi e non ve ne faccio una colpa, perché i libri di geografia non esistono più. Non solo non esistono più i libri, ma non esistono più nemmeno i villaggi. Nahlal sorse al posto di Mahlul; Kibbutz Gvat al posto di Jibta; Kibbutz Sarid al posto di Huneifis; e Kefar Yehushua al posto di Tel al-Shuman. Non c'è un solo posto in questo paese che non avesse una precedente popolazione araba». (Dichiarazione di Moshe Dayan, Ha'aretz, 4 Aprile 1969).

Naturalmente, come ho appena scritto a proposito del referendum in Crimea, l’Occidente - che ha codificato i principi cardine del diritto internazionale - li applica sempre e soltanto se utili alla propria causa. Ma l’analisi storica di Elena Basile va ben al di là della mia elencazione delle Risoluzioni ONU violate: l’autrice descrive la nascita dell’OLP, la guerra dei Sei Giorni, la guerra del Kippur, l’invasione israeliana del Libano e la prima Intifada, gli Accordi di Oslo e la seconda Intifada e la nascita di Hamas. Se mi è consentito esprimere un parere personale, è in questa seconda parte che Elena Basile dimostra tutta la propria preparazione, maturata in una carriera in diplomazia iniziata oltre 35 anni fa e terminata in polemica con la linea acriticamente atlantista e bellicista assunta dalla Farnesina. Con l’acume e il realismo del diplomatico di razza, l’autrice scrive che la Presidenza di Donald Trump non ha mutato la strategia americana di appoggio incondizionato a Israele: “L’appoggio alla strategia della destra israeliana è senza reticenze”. Semplicemente, “L’avvento al potere di Donald Trump nel 2017 rende la politica statunitense più trasparente, brutalmente realistica e priva dei travestimenti ideologici e buonisti, come accade spesso quando i Repubblicani sostituiscono i Democratici al governo.”

La terza parte del saggio, tratta il tema della mistificazione. Nel primo capitolo, L’approccio politico mediatico alle guerre, la critica alla televisione in particolare e al mondo dell’informazione in generale offre al lettore gli strumenti per comprendere i meccanismi grazie ai quali si giunge al consenso utilizzando strumenti di manipolazione delle coscienze. “Si decontestualizzano gli eventi”, si racconta soltanto ciò che è strumentale all’indottrinamento del telespettatore (o del lettore), si demonizza l’avversario, si riduce tutta l’informazione a una fiaba per deficienti, una pagliacciata disneyana, una recita in cui il male e il bene sono assoluti e – naturalmente – il bene deve trionfare. Elena Basile ci avverte che la propaganda è sempre esistita (secondo capitolo): citando Martin Eden di Jack London (una delizia per gli amanti della letteratura, che fa seguito alla citazione di Stefan Zweig in apertura), scrive che “Il merito, il valore, le gerarchie nella società non sono veritiere. La realtà è inventata di sana pianta dai giochi delle classi al potere.”

Con un salto di genere che è indice della sua cultura a 360 gradi, cita poi Edward Bernays, il nipote di Sigmund Freud che ha dedicato la propria vita al tema della fabbricazione del consenso. Propaganda, mistificazione, menzogna (come nel caso degli straussiani) sono armi che consentono al potere di manipolare il pensiero e di ottenere il consenso popolare. Emblematico il caso della Fabian Society, che ha per simbolo un lupo travestito da agnello. “Burocrati, politici e giornalisti, come nel gioco dei quattro cantoni, si scambiano le poltrone in un’allegra danza.” La capillare infiltrazione delle lobby, le necessità economiche necessarie per fare politica (che giungono all’acquisto di canali televisivi, testate giornalistiche, pagamento di motori di ricerca e influencer) minano la democrazia trasformandola in una foglia di fico ormai insufficiente a coprire le vergogne.

La grande finanza è in grado di far cadere governi democraticamente eletti con un attacco speculativo. Nessuno – almeno in democrazia – può mettersi contro gli interessi di BlackRock, Vanguard e dei banchieri che detengono il magico potere di emettere denaro. Qui sta il nocciolo della questione: la banche centrali, istituzioni private incaricate di un pubblico servizio, contano ben più del Presidente degli Stati Uniti e i loro governatori, nominati formalmente dalla politica, sono in realtà banchieri, parte integrale del sistema finanziario a cui rispondono e di cui curano gli interessi. La più grande Nazione democratica del mondo si appresta a scegliere un Presidente tra due candidati ottuagenari, entrambi responsabili di azioni eticamente riprovevoli quando non manifestamente criminali. Gli affari della famiglia Biden (in particolare di Hunter Biden) in Ucraina sono una chiave di lettura dello stato di degrado in cui versano gli Stati Uniti. Per non parlare del ruolo di Donald Trump nella pagliacciata in costume carnevalesco di Capitol Hill. In ogni caso, mai come oggi, in questo presente distopico, il re è nudo. La debolezza mostrata da Donald Trump nello scontro con Anthony Fauci e Big Pharma, le ingiurie rivolte da Joe Biden a Vladimir Putin e persino la difesa a oltranza di Israele da parte di Robert (Bob) F. Kennedy junior sono indizi che il vero potere è dietro le quinte ed è forse quel blob descritto da John Maearsheimer o forse quello che viene chiamato Deep State. In conclusione, forse la rana è davvero bollita, ma forse – volendo essere ottimisti – non è mai stata così vicina al Grande Risveglio.

La mia analisi del saggio di Elena Basile si ferma qui. Non commento la quarta e ultima parte Un mondo multipolare, perché merita una riflessione autonoma e ho già abusato della pazienza del lettore. Tutti i temi che ho cercato di riassumere vengono trattati da Elena Basile con il linguaggio semplice, limpido di chi dice la verità, ma con lo stile della scrittrice di razza, che rende scorrevole e appassionante la lettura. “Nel giorno del giudizio… dalle tue parole sarai giustificato, e dalle tue parole sarai condannato” (Matteo 12:36-37). Le parole di Elena Basile sono lo specchio di una coscienza pura e il frutto di un intelletto vigile, la sintesi di una cultura a 360 gradi. Per noi dissidenti – ma anche per tutti coloro che vogliono comprendere il presente – il saggio L’occidente e il nemico permanente è una lettura necessaria e un’opera da tenere sul comodino, accanto al Trattato del ribelle di Ernst Jünger. di Alfredo Tocchi, 17 marzo 2024