"Sunrise in a fishbowl", Alfredo Tocchi presenta il suo nuovo romanzo : “Esistono coppie di oggetti che sono inseparabili, se si rompe un’ampolla di un’oliera, si getta anche l’altra. Senza di te ero inutile”. Milano Duomo, Libreria Mondadori, 26 febbraio
Autore di cinque romanzi, tutti acquistabili su Amazon libri, Alfredo Tocchi ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra i quali il Premio Cesare Pavese Sezione Narrativa Inedita. L'incontro sarà moderato da Il Giornale d’Italia
Alfredo Tocchi, avvocato, giornalista, editorialista de il Giornale d'Italia, ha scritto Sunrise in a fishbowl nell’autunno del 2021, per “…evadere dal presente distopico in cui tutti noi stavamo vivendo dall’inverno del 2020”. Autore di cinque romanzi, tutti acquistabili su Amazon libri, ha ottenuto numerosi riconoscimenti (Premio Cesare Pavese Sezione Narrativa Inedita, finalista al Premio Guido Morselli e al Premio Mondoscrittura, per tre anni di seguito finalista al Premio organizzato da Zerounoundici Edizioni, menzione di merito a Giallostresa).
La presentazione verrà moderata dal Direttore de il Giornale d'Italia Luca Greco, filmata e trasmessa sui canali social del nostro quotidiano. L'appuntamento è presso la libreria Mondadori di Piazza Duomo alle 18.30.
Di seguito, in anteprima, il discorso:
“Due frasi:
“Il tempo è un’illusione… Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli astri. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata in lontananza da un pifferaio invisibile” (Albert Einstein).
“Anche il peggiore dei casi si avvera di quando in quando. Siamo uomini, dobbiamo tenerne conto, armarci contro questa realtà, e soprattutto avere ben chiaro in mente che riusciremo ad evitare il naufragio nell'assurdo, che per forza di cose risulta sempre più netto e schiacciante, e a costruirci su questa terra un'esistenza abbastanza confortevole, solo incorporandolo tacitamente nel nostro pensiero”. (Friedrich Duerrenmatt).
Una lapide – quella di mio nonno Ingegner Alfredo Sonzini, Presidente dell’ospedale di Cittiglio, Sindaco di Duno, benefattore, gettata in discarica dai nuovi amministratori locali leghisti.
Una musica sublime: la Rapsodia su un tema di Paganini (Capriccio n. 24) per pianoforte e orchestra, op. 43 di Sergej Rachmaninov.
Il lago d’autunno, da solo nella vecchia villa dei miei bisnonni.
Tutto nasce così, come sempre, quasi per caso. Aggiungete il particolare stato d’animo - provocato dalla lunga reclusione domiciliare che ci è stata imposta dal peggiore dei nostri colleghi avvocati violando i nostri diritti costituzionali con DPCM – e, naturalmente, il desiderio di riscrivere la terza parte della mia trilogia, quella sulla nostalgia.
Destino, illusione, nostalgia. Quando iniziai a scrivere nel mese di settembre 2010, non immaginavo di partire per un viaggio lungo 13 anni. Ora che ho tra le mani il frutto di centinaia di giornate passate a scrivere, posso affermare di avere avuto fortuna. La mia voglia di scrivere nacque dopo il risveglio dal coma, quindici anni fa. Per tutto questo tempo ho continuato a costruire il mio castello di sabbia e oggi sono fiero della mia determinazione e del mio coraggio.
Il castello è davanti a me e ne sono soddisfatto: Cinque romanzi pubblicati non hanno fatto di me uno scrittore, più di 200 editoriali pubblicati non hanno fatto di me un giornalista, 35 anni di iscrizione all’Albo non hanno fatto di me un avvocato. Sono iscritto a due albi professionali, ma l’unica definizione in cui mi rispecchio interamente è quella data a se stesso da Hermann Hesse: “Io sono un suchende”, un uomo che cerca.
Soddisfazione e insoddisfazione dipendono soprattutto dalle nostre aspettative. Scrivo da anni con soddisfazione su il Giornale d'Italia in quanto è un giornale libero e indipendente, che mi ha sempre consentito di esprimermi nella più completa libertà, senza mai una censura, e quando il direttore di un altro quotidiano, non basato nella sostanza sugli stessi principi, mi ha scritto che io “getto via il mio talento", provando a tirarmi a bordo, ho declinato senza alcuna esitazione.
Un’agente editoriale mi ha paragonato a André Aciman aggiungendo: “Un André Aciman ancora acerbo, non ancora giunto a completa maturazione… Ma il talento c’è”. Massimiliano Comparin, l’editore / scrittore che sta dietro alla mia fugace scalata alle classifiche di Amazon libri dell’inverno di dieci anni fa, mi definì “Un pazzo di raro talento”.
Io non ho un carattere facile, ne sono consapevole. Le mie aspettative sono sempre state e restano altissime. Ho affrontato da pari a pari agenti letterari, editor di prestigiose case editrici e ho finito per litigare con tutti.
Non sono diventato uno scrittore, ho sprecato il mio talento perché ho peccato di presunzione. Ciò nonostante, io continuo a pensare che se i miei editoriali non compaiono su Il Corriere della Sera o su La Repubblica (dove scrivono deficienti cognitivi che non voglio neppure nominare), se il Premio Strega viene assegnato a Jonathan Bazzi (autore Mondadori) e non a me, la colpa è di chi legge i miei lavori e giudica sempre e soltanto l’uomo, non i lavori. Come se davanti a un’opera di Oscar Wilde un agente letterario si fosse limitato a osservare che era gay. Jonathan Bazzi è gay, è malato di AIDS e vince il Premio Strega. Michela Murgia era soprattutto una persona che odiava il suo prossimo: è stata quasi santificata e un altarino le è stato dedicato proprio qui, all'ingresso. Io sono un riottoso hot blooded Italian, come mi definì la mia relatrice della tesi in Canada dopo l’ennesimo litigio. Difendo sempre e comunque la tesi minoritaria. In una parola, sono elitario e non sarò mai popolare. Proprio come il mio elegantissimo “vicino di casa” Guido Morselli, autore di Dissipatio H.G. - che è uno dei grandi capolavori del ‘900 italiano - morto suicida dopo l’ennesimo rifiuto da parte (anche e purtroppo) di Italo Calvino.
“Io sono un suchende”, un uomo che cerca. La mia vera natura è emersa in tanti momenti della mia vita. Si spiega così il tempo che ho dedicato e dedico ogni giorno alla lettura: io cerco indizi, significati e questa ricerca – ora ne sono certo - terminerà soltanto con la mia morte.
Forse è perché sono agnostico o forse più semplicemente perché sono curioso.
Così, leggendo quelle frasi di Albert Einstein e Friedrich Duerrenmatt, ho voluto scrivere un romanzo in cui la Verità emergesse per caso, dopo essere rimasta nascosta per 50 anni. Una Verità parziale, incompleta, sfumata come sono tutte le Verità umane: perché noi non siamo in grado di comprendere che una minima parte della nostra storia umana, individuale e collettiva e la reazione più comune davanti all’inconoscibile è rinunciare alla ricerca.
Ma non temete, Sunrise in a fishbowl non contiene lunghe riflessioni filosofiche. Ripeto a ogni occasione che quelle le ho concentrate del mio romanzo sul transumanesimo L’éléphant, che non a caso scrivo da esattamente 10 anni ed è destinato a restare inedito, perché rifiutato persino dalla Signora Stefania Lovati, la mia editrice, proprietaria di Zerounoundici, che crede in me da 14 lunghi anni. Grazie di cuore Stefania e te lo dico commosso, perché tu mi hai sempre incoraggiato.
Sunrise in a fishbowl resta uno strano romanzo giallo scritto al ritmo della Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov.
Giulio, il protagonista, è un uomo la cui vita è stata sconvolta dal rapimento e la scomparsa della sorella gemella. Senza di lei si sente incompleto. Le sue riflessioni sono semplici e terribili: “Esistono coppie di oggetti che sono inseparabili: se si rompe un’ampolla di un’oliera, si getta anche l’altra. Senza di te ero inutile”.
Ha una figlia, ma il rapporto con lei a un certo punto si è interrotto, come spesso capita nelle separazioni traumatiche.
Già una persona equilibrata ne soffrirebbe, ma per Giulio la sofferenza è intollerabile, perché è la ripetizione della sofferenza patita da bambino. Così funziona la nostra psiche: i traumi dell’infanzia s’imprimono indelebili e condizionano tutta la nostra vita. L’ho scoperto in analisi: in ipnosi ho rivissuto un trauma vissuto a poco più di due anni e ho pianto per un tempo interminabile, disperato.
Per 50 anni Giulio - l’io narrante del mio romanzo - ha cercato di dimenticare Viola, la sua gemella, ma per tutto quel tempo non ha fatto altro che rivolgersi segretamente proprio a lei, osservare se stesso e il mondo domandandosi cosa avrebbe pensato Viola. Viola è diventata il suo unico giudice, la sua coscienza.
Arrivato a 60 anni, Giulio continua a replicare quello stesso schema: al dialogo con Viola aggiunge quello – epistolare – con sua figlia Celeste, che però non lo legge, non gli risponde, non vuole più avere nulla a che fare con lui.
Così Giulio diventa il mio alter ego, l’alter ego di ogni scrittore, perché la scrittura è un dialogo con l’altro, per l’altro ma senza l’altro, come ha scritto Roland Barthes in Miti d’oggi.
Per raggiungere un equilibrio, bisogna essere in grado di riconoscere e soddisfare i nostri bisogni primari. Quello di Giulio è chiaro: “Tutta la mia vita non ho fatto altro che cercare di essere di nuovo in due”.
Ci riuscirà? Forse sì, dopo 50 anni di fallimenti.
Sunrise in a fishbowl – nonostante sia breve – è un vero romanzo. Ciò che distingue il racconto o la novella dal romanzo è la presenza di personaggi ben delineati e la cugina di Giulio, Cristina, è quasi una seconda protagonista.
Si è ritirata al lago, nella villa di famiglia, dopo avere rinunciato alla musica. Pianista di talento, ha lasciato il marito e i figli ormai adulti per curare sua madre. E’ proprio Cristina che rappresenta meglio le mie ombre: elitaria, fiera, solitaria, ha trovato nella memoria il suo punto di equilibrio ed è proprio lei che svela a Giulio il segreto che ho scoperto anch’io: “Per sopportare il dolore è necessario ricordare”.
Poi ci sono Maurizio e Francesca, fratello e sorella. Il primo, scapolo, ha trovato nell’amicizia la sua valvola di sfogo. E’ lui a pronunciare alcune delle frasi più emblematiche del romanzo, come questa: “La vita sociale delle persone ben educate – ammesso che ne esistano ancora – richiede regole… Anzi, è proprio la conoscenza di un maggior numero di regole, codici di comportamento, usi e costumi antichi e stranieri che fa l’uomo ben educato”.
Francesca è invece enigmatica. Vedova, non vuole parlare del proprio passato: “Se fossimo più giovani, moriremmo dalla voglia di raccontarci tutto; alla nostra età, invece, ci sono cose che è meglio non raccontare. Tristezza e passione non vanno d’accordo”. Manda messaggi attraverso le canzoni, come nel caso di One for the Vine dei Genesis:
Infine, c’è mio zio, il Maestro Luigi Sonzini. Presenza costante in tutti i miei scritti per un motivo molto semplice: senza di lui non saprei cosa significhi essere un artista. Tutto il dolore, la sofferenza, l’isolamento che comporta l’essere artisti.
E’ lui a dire: “Sono un artista, un esteta; sento il bisogno di plasmare il mio mondo. Volevo lasciare la mia impronta anche in questa piccola cosa”.
Questa frase, così semplice, riassume uno dei motivi per cui io scrivo: voglio lasciare l’impronta della mia mano – la mia mano – nella caverna. Voglio costruire il mio castello di sabbia. Anche se sono consapevole che l’impronta verrà subito cancellata. Anche se sono consapevole che la prima onda più forte delle altre raderà al suolo il mio castello, costato 14 anni di duro lavoro. Consentitemi di citarmi:
“Siamo artefici del nostro Destino? Certamente. Ma la vita è un castello di sabbia la cui bellezza dipende dal nostro lavoro e dall’imponderabile forza delle onde”.
Sullo sfondo – naturalmente – il lago. Scritto interamente in autunno, questo romanzo è plasmato dalle atmosfere, dalla malinconia del lago in autunno. Ho voluto che il finale annunciasse l’inverno, un inverno magnifico, che inizia con la fioritura delle camelie sasanqua. Finale perfetto per un film, come sanno i miei amici registi presenti in sala, ben tre!
Chi cerchi in Sunrise in a fishbowl i temi del mio impegno politico, resterà deluso. Ho prestato al protagonista qualcosa di me, ma non ne ho fatto un mio imitatore.
Ho già accennato a uno dei motivi per cui io scrivo: un altro è evadere dalla realtà. La scrittura è il mio personale metaverso. Ho scritto il mio romanzo seduto alla scrivania, quasi sempre prima del sorgere del sole, nel mio studio esposto a Nord da cui vedo il lago e le montagne, con un freddo che mi costringeva a indossare una giacca di Saxony tweed sopra a un maglione di cashmere e una camicia di flanella. Unica compagnia We-go – il mio Lakeland Terrier - accucciato ai miei piedi.
Avevo già iniziato a scrivere editoriali contro il lock down, il green pass e gli obblighi vaccinali ma ho scelto di lasciare fuori tutto questo. Anzi, ho preferito essere realista: come la maggior parte degli italiani, i miei attori credono nella narrazione, si vaccinano (pur con qualche dubbio sull’efficacia) e l’unica ribellione è quella di Maurizio, ma è una ribellione goliardica, uno scherzo fatto al Sindaco e alle autorità locali: annuncia l’arrivo dei gilet arancioni del Generale Pappalardo, seminando il panico.
Io scrivevo – era l’autunno 2021 – e intanto redigevo il parere pro veritate in cui evidenziavo la violazione dell’Art. 32 della Costituzione, intrattenevo rapporti con alcuni tra i più noti protagonisti della dissidenza, studiavo i rapporti periodici della UK Health Security Agency, della CDC statunitense, delle agenzie di farmacovigilanza dei Paese scandinavi e della vicina Svizzera.
Insomma, come tutti i dissidenti, ero consapevole della mistificazione del mainstream, ne soffrivo e scrivevo, ma tra i miei editoriali e il mio romanzo avevo eretto un muro, a tutela soprattutto del mio equilibrio.
Ho molto riflettuto su questa frase: “Il dovere degli intellettuali sarebbe quello di rintuzzare tutte le menzogne che attraverso la stampa e soprattutto la televisione inondano e soffocano quel corpo del resto inerte che è l’Italia” (Pier Paolo Pasolini).
Il mio unico modo di rintuzzare non era (e non è) nei miei romanzi, ma coi miei articoli e col mio lavoro di avvocato.
Vi invito dunque a leggere Sunrise in a fishbowl per cercare un’evasione da questo presente distopico, non per trovarvi le mie idee politiche.
Potrei chiudere qui, ma tornerei a casa con la coscienza sporca. Tra di voi, riconosco molti compagni di lotta. Persone consapevoli, preparate, combattive. Sono vicino a ciascuno di voi: siete la parte migliore dell’umanità.
Proprio a voi io faccio una promessa: sarò sempre free vax, pacifista senza aperture verso chi giudica alcune guerre necessarie, libertario e libero (per quanto ci sia ancora consentito).
I nostri nemici sono gli straussiani, i sionisti, i malthusiani, i transumanisti.
Da free vax denuncio e condanno l’OMS e il progetto di accentrare la sovranità in materia pandemica. Ho ben chiara in mente la lezione di Ernst Jünger: “La maggioranza può contemporaneamente agire nella legalità e produrre illegalità: le menti semplici non afferreranno mai questa contraddizione”. Vivere in democrazia non ci garantisce automaticamente il rispetto della legalità, soprattutto quando le elezioni sono manipolate dalle élite economiche e – con la complicità dei più alti (e gobbi) vertici istituzionali – vengono violati i nostri diritti umani e costituzionali.
Da pacifista invoco la fine della guerra russo ucraina, iniziata come guerra civile nel 2014 dopo il golpe organizzato dagli straussiani – in primis Victoria Nuland – a Euromaidan. Io c’ero. A Kiev in quell’inverno del 2014 e a Donetsk nella primavera 2012 ho scritto due tra i miei racconti migliori.
Da giurista, denuncio e condanno con fermezza due cose completamente diverse: La prima è il silenzio, l’omertà, l’ostruzionismo che medici, magistratura inquirente e giudicante utilizzano come armi contro le vittime più deboli e sfortunate della pandemia: coloro che hanno subito reazioni avverse ai cosiddetti vaccini.
La seconda è il massacro in atto a Gaza. Sono stato tra i primi a chiamarlo col suo nome, che è genocidio. Giuristi ben più autorevoli di me hanno espresso un identico giudizio, una fra tutte Rafaëlle Maison, Professoressa di Diritto Internazionale a Parigi. A questo proposito, esprimo tutta la mia solidarietà all’Ambasciatrice Elena Basile, che è una persona giusta e coraggiosa. L’altra - quella l’ha querelata - non voglio neppure nominarla.
Da libertario, mi permetto di dire sommessamente che non condivido le analisi dei miei colleghi marxisti - primo fra tutti Diego Fusaro – come non condivido il pensiero del Generale Roberto Vannacci, che non a caso con tutta probabilità confluirà in quella cloaca che è la Lega di Matteo Salvini.
Insomma, ormai lo avete capito: cerco nel mio piccolo di restare un uomo libero di fare, dire e scrivere quello che vuole.
Dopo il risveglio dal coma, il Destino mi ha concesso 15 anni. Non li ho completamente sprecati, ed è già molto.
Grazie a tutti e buona fortuna.”