Domenica 25 Luglio 1943 Roma, L’arresto del Duce il Tribuno del popolo
Il Re comunicò a Mussolini la sua revoca da capo del governo, con il Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio in qualità di successore, arrestandolo all'uscita di Villa Savoia, con la motivazione di aver portato il popolo italiano verso la catastrofe, di essersi alleato con la Germania nazista e di essere responsabile della disfatta nell'invasione della Russia e delle perdite coloniali
Sabato 24 luglio 1943 i membri del Gran Consiglio furono chiamati a votare sull'ordine del giorno Grandi: 19 voti a favore (Dino Grandi, Giuseppe Bottai, Luigi Federzoni, Galeazzo Ciano, Cesare Maria De Vecchi, Alfredo De Marsico, Umberto Albini, Giacomo Acerbo, Dino Alfieri, Giovanni Marinelli, Carluccio Pareschi, Emilio De Bono, Edmondo Rossoni, Giuseppe Bastianini, Annio Bignardi, Alberto de' Stefani, Luciano Gottardi, Giovanni Balella e Tullio Cianetti, che il giorno dopo scrisse a Mussolini ritrattando il suo voto); 7 voti contrari (Carlo Scorza, Segretario del PNF, Guido Buffarini-Guidi, Enzo Emilio Galbiati, Comandante della Milizia, Carlo Alberto Biggini, Gaetano Polverelli, Ministro della Cultura popolare, Antonino Tringali Casanova, Presidente del Tribunale speciale, Ettore Frattari, (Confederazione dei datori di lavoro dell'Agricoltura); un astenuto (Giacomo Suardo); Roberto Farinacci, uscì dalla sala, non partecipando al voto. Dopo l'approvazione dell'O.d.G. Grandi, Mussolini ritenne superfluo porre in votazione le altre mozioni e tolse la seduta. Nelle prime ore del nuovo giorno i presenti lasciarono la sala. Domenica 25 luglio, Mussolini si recò a Villa Savoia residenza reale all'interno del grande parco, oggi Villa Ada, per un colloquio con il re che lo avrebbe ricevuto intorno alle 17; accompagnato dal segretario De Cesare, con l'ordine del giorno Grandi e la legge di istituzione del Gran Consiglio, secondo cui l'organismo aveva solo carattere consultivo. Il colloquio fu breve un quarto d’ora circa. Il Re comunicò a Mussolini la sua revoca da capo del governo, con il Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio in qualità di successore, arrestandolo all'uscita di Villa Savoia, con la motivazione di aver portato il popolo italiano verso la catastrofe, di essersi alleato con la Germania nazista e di essere responsabile della disfatta nell'invasione della Russia e delle perdite coloniali. Il capitano dei carabinieri Paolo Vigneri fu incaricato di eseguire l'arresto. Venne convocato telefonicamente con il collega capitano Raffaele Aversa alle ore 14:00 dal tenente colonnello Giovanni Frignani, il quale espose loro le modalità di esecuzione dell'ordine di arresto spiccato nei confronti del Duce. Vigneri ricevette ordini duri per la consegna a ogni costo del tribuno del popolo e si avvalse, oltre che di Aversa, di tre sottufficiali dei Carabinieri (Bertuzzi, Gianfriglia e Zenon), autorizzati a usare le armi. I carabinieri si recarono presso la villa e rimasero in attesa, fuori dall'edificio. Nel tardo pomeriggio Mussolini, accompagnato da De Cesare, uscì dalla villa e fu fermato da Vigneri, che in nome del re gli chiese di seguirlo per “sottrarlo ad eventuali violenze della folla”. Ricevuto un secco rifiuto, Vigneri prese per un braccio Mussolini ed eseguì l'arresto facendolo salire energicamente su un'ambulanza militare per procedere in incognito attraverso le strade della capitale. Mussolini fu quindi condotto prima nella Caserma Podgora di Trastevere e dopo alcune ore tradotto nella caserma della Scuola allievi carabinieri a Prati, in via Legnano. Probabilmente se l’imperatore avesse agito in tal senso almeno quattro o cinque anni prima, Il Regno d’Italia, di Albania e Impero di Etiopia avrebbe avuto una parabola storica e politica simile alla Spagna reale di Franco, risparmiando gravi lutti, macerie fisiche e morali e amputazioni geopolitiche ed economiche agli italiani.