Danza d'amore (gli svassi)

Un racconto inedito di Alfredo Tocchi

Somewhere your fingerprints remain concrete
And it's your face I'm a looking for
On every street
(Dire Straits, On every street)
E’ l’alba. Da dietro la montagna alla mia destra, i primi raggi del sole svelano i contorni del piccolo mondo dove mi sono rifugiato. Apro le ante di vetro: fa fresco. Il giardino, questa notte silenzioso, è tutto un cinguettio. Mi stiro gambe e braccia, sbadiglio. Non mi sento stanco, anche se ho scritto per quasi otto ore. Il mio studio era la terrazza della villa dei bisnonni. Ora è una veranda chiusa da finestre su tre lati. Circondato dai vetri, mi sembra di essere in una fishbowl, una boccia di vetro per i pesci. Sunrise in a fishbowl, sussurro parlando da solo. Sono vivo, nonostante tutto sono vivo e ancora capace di riconoscere l’harmonia caelestis.
Amo l’alba, è sempre stato così. L’alba di Milano, il grigio della nebbia, le sensazioni attenuate, rarefatte, la malinconia di una notte che termina umilmente con l’arrivo dei camion della nettezza urbana. Sono sempre stato un solitario vero, un uomo che ha vissuto i suoi sessant’anni anni con la leggerezza di una piuma, desideroso di starsene in un angolo d’ombra, al riparo dalla “dolorosa concitazione della vita.”
“Il gruppo mi opprime
La solitudine mi possiede
La folla mi spia”.
Non è un caso se l’incipit del racconto che dà il titolo alla mia raccolta, Uomo, descrive un’alba:
“All’alba del primo giorno di primavera del 1973, un uomo osservava l’isola di Stromboli dal ponte della vecchia motonave Eolo. I primi raggi obliqui del sole svelavano il profilo del vulcano. Perso in quel mare, stanco e un po’ stordito dalla notte trascorsa nel sacco a pelo, dal rumore costante dei vecchi motori diesel e dall’odore di fumo, l’uomo pensò che era il suo ultimo viaggio ed ebbe nostalgia dei viaggi fatti e di quelli che non avrebbe fatto, perché stava per morire. Dopo di lui ci sarebbero state altre albe e altri uomini e in un istante intuì la semplicità della vita e la fragilità dell’uomo. Ma era un duro: avvolse il sacco a pelo, lo legò al grande zaino militare che si era scelto per l’ultimo viaggio e si preparò a sbarcare”.
Non è un caso se l’addio a Masha, in Dimmelo domani, si svolge all’alba, in una krusciovka di Donetsk.
Chi non si sia risvegliato dal coma non può capire cosa significhi chiudere gli occhi nella certezza di non riaprirli mai più e invece riaprirli, inaspettatamente essere di nuovo un uomo. Ogni alba assume un significato, diviene epifania.
We-go mi fissa: sa che tra poco spegnerò il computer e lo porterò giù in strada. Infilo una vecchia giacca di tweed e un paio di Chelsie boots e scendo i due piani di scale. Uno scoiattolo corre sul filo della luce, verso il ponticello pedonale che chiude questa via senza uscita. Lo seguo e lo osservo mentre salta sul cedro del Libano dei vicini.
We-go percorre i pochi metri di sentiero che conducono alla spiaggia e svolta a sinistra, il nostro solito tragitto. Ora il sole illumina fino a mezza costa le montagne della sponda piemontese. A pochi metri da noi emerge un primo svasso e, subito dopo, un secondo. E’ primavera, la stagione dei corteggiamenti. Si mettono uno di fronte all’altra e incominciano la loro danza d’amore. Il maschio scuote velocemente la testa poi la gira a destra e la femmina fa lo stesso. Passo dopo passo, perfettamente speculari. Alzano e abbassano il collo, nuotano in circolo per ritrovarsi uno di fronte all’altra. Poi, silenziosamente, si immergono insieme e nuotano sott’acqua, invisibili.
Non vedrò mai cosa accada sotto la superficie, nel loro mondo del silenzio. La loro vera collaborazione è celata ai nostri occhi. Quella danza sincrona ha lo scopo di saggiare l’attitudine a collaborare alla cattura dei piccoli pesci.
Per gli svassi, come per tutti gli esseri viventi, l’unico scopo apparente della vita è la prosecuzione della propria specie. La lotta per la sopravvivenza richiede la scelta di un partner adeguato: alcune specie affidano la mansione di riproduttore unicamente al maschio alfa, il migliore. Altre – come gli svassi – si affidano a coppie composte da animali che si scelgono in base al rituale di corteggiamento: la danza d’amore ha una finalità precisa, stabilire il grado di affinità.
Non ho mai ballato, nonostante la mia prima moglie fosse una ballerina classica. Troppo timido, ho sempre invidiato chi sapesse ballare. Ricordo lo stupore davanti alla danza descritta nel mio racconto Gorkij Park: “Alzando la testa, mi accorgo che è arrivato un personaggio straordinario: un vecchietto che sotto alla maglietta bianca a righe azzurre che indossano tutti porta pantaloni bianchi a zampa di elefante e scarpe leggere di cuoio intrecciato, pure bianche. Balla da solo - benissimo - e ride. È magro, dinoccolato e si muove perfettamente a tempo, agilissimo. Ora suonano una marcia patriottica e lui mima i movimenti dei soldati, si finge portabandiera e canta. La gente inizia a fotografarlo e lui è felice, li ringrazia, fa battute e continua la sua danza. Artista di strada, ex ballerino del Bolshoi, esibizionista non fa differenza: la sua è la felicità dell’artista, quella che si prova a essere ammirati dal pubblico. Non ho mai invidiato nessuno – lo ripeto spesso – ma prima di morire vorrei essere, solo per un attimo, come lui in questo momento. E lo so che per raggiungere quella perfezione ci vogliono talento e infinite ore di allenamento, che dietro agli applausi ci sono i fischi, che la vita non è una danza. Voglio esserlo da molto tempo ormai e non ci sono ancora riuscito. Magro bilancio alla mia età. Voglio esserlo perché in quella dedizione totale alla propria arte (camminare sul filo, danzare, scrivere…), in quella ricerca del proprio limite io credo che si possa trovare la felicità, soprattutto se riconosciuti artisti, se applauditi.”
Danza come momento di gioia. Apparentemente inutile - come l’arte – eppure così necessaria.
Sono vivo. Sono arrivato a 60 anni senza mai ballare. Ho sbagliato. Come molti solitari, ho idealizzato l’essere in due e stigmatizzato la mia condizione: “La solitudine è un anticipo di vecchiaia”, “essere soli è allenarsi a morire”, “non c’è peggior disgrazia della solitudine”… Tuttavia, per scrivere occorre essere soli. Perché scrivere è una strana forma di comunicazione: con gli altri, ma senza gli altri.
Ci sono tanti tipi di solitudine: ci si può sentire soli nel mondo anche se in mezzo alla gente o si può essere soli al mondo. Ho pianto leggendo Dissipatio H.G.: ho intuito l’abisso di solitudine che spinse Guido Morselli a scriverlo, per poi suicidarsi subito dopo, esausto per i rifiuti degli editori (e, spiace dirlo, per le critiche di Italo Calvino).
Ciascuno di noi si costruisce la propria prigione e io non ho fatto eccezione. Ricordo tutti i singoli rarissimi momenti in cui ho provato la gioia di essere in due: due matrimoni non hanno alleviato il peso della mia solitudine.
So tutte queste cose ma non smetto di credere che “A restare saranno gli amori: platonici o sensuali, teneri o violenti. Null’altro, soltanto gli amori”.
Non ho più nulla da offrire, nessuna chance di cambiare le cose. Ho avuto l’amore in casa e non ho saputo riconoscerlo, ho perso mille occasioni, sono caduto mille volte senza rete.
“Ho sempre paura delle ragazze, finché non le ho baciate”.
“In matematica e in fisica l’equilibrio è ciò che rimane stabile dentro un sistema in cui si producono delle variazioni di tempo, di spazio e di velocità. Ognuno è alla ricerca di un equilibrio. Di un punto fermo. Di qualcosa dentro di sé che resti fisso e riconoscibile al di là delle variazioni continue e inesplicabili che avvengono attorno. La nostra vita intera è una lunga peregrinazione alla ricerca dell’equilibrio. Chi cerca un equilibrio nell’oscillazione fra maschio e femmina è un equilibrista, un saltimbanco, un acrobata che oscilla nel mondo aggrappato al trapezio dell’incertezza. Il suo punto di equilibrio sarà mobile, instabile, costantemente a rischio di essere perduto e perennemente da ritrovare. Una distrazione, un attimo di pigrizia e la caduta sarà inevitabile”.
L’illusione di un amore può sconvolgere le nostre vite ben più di un tradimento.
Illudersi è necessario, è un tema ricorrente nei miei scritti. Così, mi sono illuso che questa nostra danza, che già da mesi balliamo per l’altro, ma senza l’altro, sia una danza d’amore.
Lei posta una frase e io la completo. Io una canzone e lei un’altra. Giorno dopo giorno impariamo a conoscerci e ci illudiamo di essere fatti l’uno per l’altra. Un sogno di felicità in due, di nuovo in due, finalmente in due. Scrivere ed essere letto. Sapere che lei esiste e mi capisce. Stabilire un nostro privato canale di comunicazione: cos’è l’inizio di un amore se non questo?
Sia quel che sia, è una splendida danza.
E io la sto ballando.