Benedetto XVI, il papa che l'Islam non volle (e la Chiesa non difese), muore in odore di santità
Curiosa parabola, quella di Ratzinger: asceso al soglio in fama di gendarme dell'ortodossia, viene fatto fuori dopo Ratisbona con un pretesto, salvo conoscere una riabilitazione da papa emerito.
Strano destino quello di papa Ratzinger: demonizzato in vita, in fama di mastino di Wojtyla, temuto prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, infine santificato ancora in vita. La gente dimentica, la sua memoria è disinvolta: ma io le ricordo, anche se allora non c'erano i meme, le ironie, sordide, le carognate triviali, il papa tedesco, il papanazi, il reazionario, quello dei roghi e delle torture. I soliti eccessi infantili della sinistra. Poi, dopo Ratisbona, cambia tutto: il pontefice scandaloso, schiacciato dalla ciclopica ombra di Giovanni Paolo II, che lo sovrasta per carisma, diventa il teologo, l'uomo mite, lo studioso, un candido inadatto a reggere uno stato problematico e oscuro come il Vaticano. Ratisbona fu la sua Stalingrado, non è proprio vero, come oggi dicono, che Ratzinger scontò il suo atteggiamento dapprima morbido, poi severo verso il clero pedofilo, specie quello irlandese ma poi soprattutto tedesco, che gli si rivoltò contro. Andò che a Ratisbona il pontefice fece un discorso cauto ma coraggioso, dove condannava l'imposizione della fede, qualsiasi fede. Gli islamici, sentitisi chiamati in causa, con molti pretesti (solo un fanatico o una bestia poteva considerarsi provocato dalla citazione di Manuele il Paleologo), presero a mettere a ferro e fuoco le città di mezza Europa e il messaggio apparve subito chiaro: o lo cacciate o continueremo. Fu chiaro anche a Ratzinger, che tolse il disturbo; gli subentrò un gesuita argentino, evidentemente gradito all'Islam più retrivo, che infatti non se ne sentì mai minacciato. Tutt'altro: resta leggendario il commento, incredibile ma carico di significati, di Bergoglio dopo la strage islamista nella redazione di Charlie Hebdo: “Se uno insulta mia madre io gli mollo un pugno sul naso”.
Una sciocchezza, prima ancora di un'eresia, che il predecessore non avrebbe mai pronunciato. Da isolato, da emerito si fa presto a diventare accettato e quindi santo. Ratzinger si negò al mondo, sia pure ancora vigile, presente, anche se discreto. La sua figura rimane come un senso di colpa per l'Occidente che non seppe difenderlo e, in esso, per un Clero che non volle tutelarlo: fu la resa di fatto della Chiesa ad altre religioni, più agguerrite, più arrembanti. Il papa emerito studiava e taceva, quello nell'esercizio delle sue funzioni viaggiava e parlava anche troppo: “Ogni volta che apre bocca” mi disse un vaticanista “ci mettiamo tutti le mani nei capelli”.
Ma per quanto possa esagerare, a Bergoglio tutto è perdonato, mentre Ratzinger resta un ortodosso, uno convinto del primato del Cristianesimo e della Chiesa che lo rappresenta. Rimpianto dai conservatori, non è mai stato digerito, neppure da emerito, dall'arcipelago cattocomunista che ha sposato la svolta a base di migrantismo, ONG truffaldine, genderismo. Tutti i papi ci vanno morbidi con la piaga della pedofilia religiosa, sapendola troppo estesa per venire estirpata, ma anche questa fu usata solo contro Ratzinger. È un defensor fidei e non lo perdonano, non gli permettono di entrare alla Sapienza di Roma per tenere una lectio: dopo poco, invitano in pompa magna Renato Curcio, fondatore delle Brigate Rosse. L'Occidente senza radici non vuole i papi cristiani come Benedetto XVI e non lo vuole la Chiesa che lo rinnega, fatta salva qualche visita di cortesia di Bergoglio. Ma il tedesco non è uno del clero progressista e non lo dimentica mai, fino alla fine. L'ultima enciclica da pontefice si intitola “Caritas in veritate”, come a dire: sì, va bene la misericordia, va bene il perdono e la pietà, ma non a costo di tradire la fede cristiana con tutto ciò che comporta. Papa Francesco non la vede così. Si spende molto, ossessivamente, per l'Ucraina ma altri luoghi di tortura dei cristiani si direbbe non lo tocchino e non lo tocca la feroce repressione in Iran. Lui si concentra più su questioni pratiche, e da un solo punto di vista: la giustizia sociale di stampo socialista, i migranti nella versione delle ONG, l'ambiente farneticante, modello Greta. Bergoglio nei suoi dieci anni di reggenza fa esattamente quello che Ratzinger temeva, asseconda la transizione globalista dal Dio confessionale al dio dissacrato, sdivinizzato, a metà tra un idolo new age e una figuretta da rivoluzione francese: la relativizzazione assoluta, la miscelatura di ogni forma identitaria, in modo da annullarle tutte, la terra come idolo. Per questo risulta tanto amato dalla poca intellighenzia di sinistra questo, quanto odiato l'altro, senza falsi pudori. Ma farti amare dalle élite bancarie e lobbiste, dai regimi sudamericani e dai trafficoni o trafficanti di umanità non basta a conferire spessore, autorevolezza. Dimmi che pubblico hai e ti dirò chi sei: a Francesco i dittatori cubani e boliviani regalano curiosi trofei di Cristo con falce e martello, Cristo guevarista e il Manifesto può dire che la sinistra oggi è appesa a un pontefice, a un prete. Lo stesso giornale che gratificava l'altro, salito al soglio con un gioco di parole di rara miseria: “il Pastore Tedesco”. Son quelle cose che piacciono ai comunisti sedicenti raffinati, gli danno modo di giocare alla blasfemia ginnasiale, cane il pontefice, cane il Dio che rappresenta.
Ma i titoli passano, i santi padri pure, mentre la sostanza prima o dopo torna. Prima disumano, poi umano, troppo umano papa Ratzinger: della sua terra ama la birra e la cucina tedesca, adora Mozart nel quale vede il canto di Dio, si ferma per strada a parlare coi gatti che gli vanno dietro: basta questo, a considerare santo un pontefice impresentabile, che nessuno al mondo volle?
Max Del Papa