Milano, la "fabbrica del Duomo" tra navate, fregi e vetrate racconta la storia della città

Nemmeno il bombardamento del 6 Agosto 1943, a fascismo già caduto, è riuscito a scalfire questo meraviglioso gigante

Milano è al centro del sistema Italia ed è guardata da un numero sempre maggiore di media e di operatori, quale centro economico, culturale, scientifico e turistico di interesse internazionale.

La moda, le innumerevoli fiere di settore, la settimana del mobile, le mostre a Palazzo Reale e non solo, i convegni economici, tecnici e culturali, con sempre al centro l’attrazione universale rappresentata dal Teatro alla Scala, che ha ripreso la leadership della lirica mondiale, hanno consolidato negli anni la concretezza della sua immagine.

L’attuale realtà di Milano non rappresenta però un fungo, che è sgorgato all’improvviso dal terreno.

Nella storia del Duomo, la cattedrale cattolica più vasta ed oserei dire più autorevole, a parte San Pietro, che esista al mondo, si racconta anche la lunga storia della crescita e dello sviluppo della città.

Il custode che la gestisce e che in qualche modo la protegge è la Veneranda Fabbrica che, dal lontano 1387, per volere di Gian Galeazzo Visconti, Duca di Milano, ne ha curato la costruzione, la valorizzazione, la conservazione ed il restauro, con un cantiere funzionante in maniera permanente. Caso assolutamente unico, il Visconti, per assicurare la continuità costruttiva e l’omogeneità architettonica del complesso, aveva fatto subito dono alla Fondazione, dell’utilizzo della cava del marmo di Candoglia, che da oltre seicento anni ha garantito la realizzazione delle 135 Guglie, delle migliaia tra archi e capitelli e delle 3000 statue, che la ornano. 200 persone di altissima professionalità, operanti a tempo pieno, ne garantiscono quotidianamente il suo splendore e la sua integrità. Un Consiglio di Amministrazione, presieduto da Fedele Confalonieri, un milanese doc, ne indica gli indirizzi e le strategie.

In quelle navate, in quei fregi, in quelle sculture, in quelle vetrate, in quel Museo ed in quegli archivi è raccontata tutta la storia di Milano e non solo quella. In quell’immenso monumento, sono descritte, durante seicento anni di storia, le peripezie, le difficoltà, le epidemie, le carestie, ma anche i successi e le conquiste della città che, sotto il simbolo del Duomo, hanno consacrato la propria immortalità. Condottieri, artigiani, artisti, imprenditori, banchieri, mecenati, letterati, musicisti, filosofi, sacerdoti, vescovi, diventati anche Papi, sportivi, tecnici, scienziati, un’immensa comunità che, durante i secoli, all’ombra della loro Cattedrale, hanno divulgato Milano nel mondo.

Nemmeno la tragedia della seconda guerra mondiale, con il devastante e martellante bombardamento aereo inglese del 16 Agosto 1943, a fascismo già caduto, è riuscita a scalfire questo meraviglioso gigante, che ha superato quell’attacco terroristico, subendo danni marginali. Insieme alla salvezza della sua Cattedrale, Milano ha salvato i suoi valori: il coraggio, il sacrificio, il senso del dovere, il rischio ed il merito, ma soprattutto la permanente e pertinace fiducia verso il futuro: l’ottimismo.

Perché questa descrizione? Perché va ricordato che questa importante realtà, che si rinnova continuamente, che vede al lavoro a tempo pieno, nelle sue strutture esterne ed interne, squadre di uomini e di donne, in sei secoli di vita, non ha mai chiesto aiuti a nessuno. Le proprietà ottenute con i lasciti e con le donazioni, i due milioni e mezzo di visitatori all’anno, i vari sponsors, permettono infatti al Duomo di mantenere la propria solennità e la propria smagliante immagine. Alla Fabbrica del Duomo, nessuno ha mai sentito parlare di aiuti di Stato, regionali o comunali, nessuno ha mai sentito, nemmeno sussurrare, la parola assistenza. “Milan col coeur in man”, è sempre il motto di attualità.

La “Madunina” di Giuseppe Perego, troneggiante con la sua alabarda, sulla cima della guglia maggiore, dai suoi 108,50 metri di altezza, con le braccia aperte per implorare la benedizione di Dio, guarda verso l’infinito, l’infinito verso cui è sempre stata proiettata la nostra città.

Di Pierfranco Faletti