L’artista Francesco Mori: “La sinistra ha fatto male all’arte italiana”
Il celebre pittore, scrittore e insegnante si appresta a dare lezioni di scrittura dantesca i prossimi 30 ottobre e 1 novembre a Bevagna (Pg) e ci racconta cosa non va nella cultura artistica contemporanea
Francesco Mori, classe 1975, inizia il suo percorso artistico come autodidatta. Negli anni universitari (laureato nel 2001 in Storia dell’arte medievale all’Università degli studi di Siena, conseguendo nel 2005 il dottorato di ricerca nella stessa materia con una tesi sulla scuola giottesca umbra, sotto la supervisione del prof. Luciano Bellosi) sente l’esigenza di affidarsi alla guida di alcuni “maestri”, da frequentare “a bottega”, in un rapporto personale e diretto. Nel 2006 ha ricevuto dall’Opera Metropolitana di Siena l’incarico di dipingere una riproduzione della celebre vetrata realizzata nel 1288 da Duccio di Buoninsegna per l’oculo absidale della cattedrale di Siena, copia che ha sostituito l’originale ora musealizzato (Siena, museo dell’Opera). Nel luglio del 2009, gli sono state commissionate le vetrate per la ricostruita cattedrale della città di Noto (SR). Nel 2017, vince il concorso internazionale per la realizzazione di quattro nuove vetrate per il battistero del Duomo di Pisa, indetto dall’Opera Primaziale pisana. Nell’ A.A. 2020/2021 ha ricoperto il ruolo di docente del corso, “disegno per la decorazione” presso l’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia
Alla sua attività di pittore di vetrate artistiche ha inoltre sempre affiancato la produzione di tavole e tele a olio e tecniche miste, avvicinandosi anche all’incisione. Da circa 12 anni è impegnato come docente in corsi d’arte (storia dell’arte, affresco, disegno, pittura a olio). Da queste competenze è scaturita anche la decennale attività di consulente storico per le rievocazioni dei mestieri medievali del “Mercato delle Gaite” di Bevagna (PG). L’artista, attualmente, vive e lavora a Grosseto, sua città d’origine.
Perché un corso per scrivere come Dante Alighieri?
«Le prime copie manoscritte della “Divina Commedia” hanno un fascino estetico oltre che letterario. La grafia utilizzata merita di essere conosciuta e valorizzata, essendo quella che anche Dante avrà impiegato per i suoi versi. Vorrei far tornare le persone a scrivere in modo unico e irripetibile. Federico da Montefeltro, grande mecenate di Piero della Francesca e possessore della più vasta biblioteca del Quattrocento, aveva vietato l’introduzione addirittura dei primi testi stampati nella sua libreria. Per lui la dignità del libro era talmente alta da contemplare solo la collezione d ricchi manoscritti miniati. Pensiamo a quando i nostri figli e nipoti ci chiederanno delle lettere scritte alla persona amata e noi, invece di tirare fuori pacchi di fogli odorosi, vergati con una grafia personale e inimitabile, faremo spallucce, dimentichi in quale memoria di un perduto smartphone siano sepolte parole scritte con un carattere uguale a quello di miliardi di dispositivi simili.»
Quali strumenti utilizzerete?
«Quelli impiegati dagli scrittori XIV secolo: penna d’oca, inchiostro ferro-gallico e pergamena animale. Posso assicurare che nel tracciare i caratteri pare di fare un viaggio nel tempo: un’immersione nel Medioevo.»
Quanto è ancora importante Dante nella cultura contemporanea?
«Oltre che descrivere una vasta gamma di idee e di sentimenti umani il capolavoro dantesco ci descrive un mondo in cui tutto veniva interpretato alla luce dell’eternità. Anche gli antichi volumi in cartapecora erano fatti per durare nel tempo e per affascinare i lettori con il loro misterioso splendore.»
A proposito contemporaneità, un suo accenno su questo tipo di visione dell’arte.
«Ai tempi di Dante le categorie estetiche erano esemplate in funzione del Bello, del Giusto e del Vero. Oggi gli assoluti estetici paiono essere divenuti il nuovo, l’originale e la moda corrente. Pare addirittura che il sovvertimento stesso di ciò che è più sacro e più universalmente accolto come naturale sia il fine stesso della ricerca artistica, tanto da rendere calzante il termine di “arte rivoluzionaria” per descrivere questa tendenza, inauguratasi con le ricerche delle prima avanguardie novecentesche. L’Alighieri ci tramanda la fiducia dell’uomo medievale di poter comprendere con la fede e la ragione l’essenza eterna del mondo, sia terreno che ultraterreno.»
È pensare comune che l’arte e la cultura italiana appartengano alla sinistra. È così?
«Essendo ormai capillarmente diffusa la concezione di arte come strumento per sovvertire lo stato esistente della realtà, si comprende come gran parte del movimento rivoluzionario marxista abbia usato, soprattutto negli anni ‘60 e ’70, questa visione estetica come strumento di dissoluzione di ogni tradizione, identificata come espressione del cosiddetto “mondo borghese”. Tramontato il sogno del socialismo reale è rimasta comunque la tendenza a far coincidere con le uniche forme artistiche e culturali degne di rappresentare lo spirito moderno quelle germogliate in quest’area culturale.»
Quanti danni ha fatto la cultura sinistroide nel nostro paese?
«Mi dispiace dirlo, ma questa concezione si è allargata a macchia d’olio anche su mondi culturali diversi da quelli che la hanno originata. Il termine stesso di “arte contemporanea”, nell’accezione quasi universalmente accolta, ne è la riprova. In nessun manuale di storia dell’arte novecentesca trovano diritto di cittadinanza grandissimi artisti figurativi quali i pittori Ottavio Mazzonis, Pietro Annigoni, Riccardo Tommasi Ferroni o lo scultore Pietro Canonica. Come se il termine “contemporaneo” avesse perso il suo connotato cronologico e fosse diventato un marchio ideologico che identifica, come uniche forme artistiche degne di rappresentare l’oggi, una serie di espressioni gradite alla critica ufficiale di matrice “rivoluzionaria”.»
Pittore, scrittore, insegnante: Francesco Mori cosa vuole fare da grande?
«Mi pacerebbe iniziare a fare opera di “restauro”, riportare all’originario splendore le nostre città e i nostri borghi, i paesaggi e la natura feriti da questa ondata ormai centenaria di delirio tecnicista e di iconoclastia istituzionalizzata. Per questo inizio dall’insegnare ai miei allievi e ai partecipanti ai miei corsi piccole cose, quali sono le lettere di un alfabeto dimenticato, affinché si ritorni al bello anche nei particolari, nei dettagli, a un’arte che ridivenga capace di descrivere e nutrire l’oggi, attingendo alla natura e alla lezione della grande stagione classica dell’arte italiana, di cui Dante è sintesi e cantore. Tra l'altro, sarò in mostro dal 18 al 30 ottobre alla Galleria Il Quadrivio, in Viale Sonnino 100, a Grosseto.»