I racconti di Giulio. Capitolo VII: L'Intesa

Giulio stava attraversando un periodo piuttosto negativo dal punto di vista del lavoro. L’azienda con la quale aveva collaborato negli ultimi anni, non gli dava più stimoli. il management, completamente rinnovato, sembrava aver dimenticato i meriti di chi, in passato, aveva contribuito al successo dell’azienda. anche nell’animo di tanti suoi colleghi c’era malumore, delusione e risentimento... Il settimo capitolo de "I racconti di Giulio - Frammenti"

Giulio stava attraversando un periodo piuttosto negativo dal punto di vista del lavoro. L’azienda con la quale
aveva collaborato negli ultimi anni, non gli dava più stimoli. il management, completamente rinnovato, sembrava
aver dimenticato i meriti di chi, in passato, aveva contribuito al successo dell’azienda. anche nell’animo di tanti
suoi colleghi c’era malumore, delusione e risentimento. Per
queste ragioni Giulio cominciò a pensare seriamente alla
possibilità di lasciare il gruppo e accettare altre proposte di
lavoro. negli anni passati, grazie alla sua capacità comunicativa, Giulio si era costruito la fama di buon venditore:
preparato, professionale e non da ultimo produttivo. Queste peculiarità gli avevano permesso di scalare rapidamente l’organigramma e diventare un manager di vendita,
con l’incarico di gestire le risorse umane della rete di vendita a lui affidata. Pertanto, riciclarsi nel mondo del lavoro
non sarebbe stato un problema.
Le cose nella vita a volte accadono senza che la nostra
volontà abbia merito alcuno. il caso, il destino, la volontà
divina, il momento e il posto, le nostre distratte scelte, tutto
contribuisce a far succedere le cose, magari insignificanti e
banali episodi che nemmeno ricordiamo, ma le cui conseguenze, a volte, ci cambiano radicalmente l’esistenza. E fu
così che quella mattina Giulio si ritrovò casualmente in
quel bar dalle parti di San Donato, alla periferia sud di Milano, per un’improvvisa voglia di caffè.
“Pagato!”, sentì dire alle sue spalle mentre era in fila alla
cassa; Giulio riconobbe immediatamente la voce baritonale
dall’accento partenopeo del suo vecchio e inseparabile collega Luciano. Da buoni meridionali si lasciarono andare ad
abbracci, baci, pacche sulle spalle, che inevitabilmente attirarono l’attenzione dei compassati avventori. non si vedevano da qualche anno, da quando l’amico, anziano
venditore e formatore, aveva messo su una piccola struttura attraverso la quale proponeva alle aziende attività di
formazione professionale sulle tecniche di vendita e comunicazione. ideava i corsi secondo le direttive e gli obiettivi
dei suoi clienti e, al contempo, pur avvalendosi di alcuni
collaboratori, s’impegnava egli stesso in ore di formazione
in aula. avrebbero passato tutta la mattinata a raccontarsi
storie e aneddoti degli anni precedenti, ma i rispettivi impegni di lavoro li attendevano e pertanto dovettero interrompere la goliardica rievocazione e parlare del presente.
Luciano gli chiese del suo lavoro, del rapporto che aveva
adesso con la loro vecchia comune azienda. Giulio sfogò
con l’amico il suo malumore, manifestandogli la sua intenzione di rimettersi in gioco e cercare un nuovo lavoro.
“Capiti a proposito” disse l’amico diventato di colpo
serio e concentrato, “e sei anche fortunato, sembra ti abbia
mandato qualcuno da lassù a risolvermi un problema”,
continuò; “ascolta bene Giulio: un caro amico, titolare di
un importante azienda che opera nel mio stesso settore, sta
cercando un formatore free-lance cui affidare la gestione di
alcuni corsi. L’ha chiesto a me, ma purtroppo in quelle date
sarò occupato e non posso impegnarmi, ma tu potresti benissimo fare al caso suo. Chiamalo, di che ti mando io e
fagli presente che sei un commerciale”. Mentre Luciano era
impegnato a scrivere su un foglietto il nome e il telefono
della persona che avrebbe dovuto chiamare, Giulio, preso
alla sprovvista dalla proposta, un po’ confuso, dubbioso,
gli manifestava le sue perplessità nell’accettare un ruolo
che non aveva mai ricoperto a un livello così professionale.
“Luciano, se dovessi fallire, non ci faresti certo una bella figura nemmeno tu, e non desidero che questo accada”.
Disse Giulio con la massima franchezza. “Smettila… stai
tranquillo… non ti sottovalutare… sei perfettamente in
grado di fare bene questo lavoro. Chiamalo stamattina
stessa perché la cosa è urgente”, lo incoraggiò Luciano; un
ultimo abbraccio e tante promesse di rivedersi per una
cena. Percorrendo l’affollata autostrada, incapsulato nell’abitacolo fumoso della sua Rover, Giulio iniziò a valutare
il significato di quell’incontro; considerò le prospettive e le
difficoltà che comportava quell’incarico, i rischi di un insuccesso clamoroso, ma anche la possibilità di mettersi alla
prova, di scoprirsi nuove capacità. Giulio amava le sfide,
non era uno che si tirava indietro, era uno che in ogni caso,
ci provava. E poi il corrispettivo era molto invitante e poteva valere il rischio di un fallimento. avrebbe fatto affidamento sulle sue doti comunicative, sulla sua dialettica
fluida e chiara, sulla conoscenza dell’animo umano e sulla
sua fantasia. in ogni caso, pensava, avrebbe dovuto sostenere un colloquio prima di porsi il problema, superare un
esame d’idoneità, avere le caratteristiche richieste, quindi
non era ancora sicuro di ottenere l’incarico. Giulio era uno
che con i dubbi non ci sapeva proprio convivere, l’impazienza s’impadroniva spesso di lui quando si trovava costretto a non poter agire, a dovere attendere gli eventi.
Posteggiò l’auto sulla prima piazzola di sosta, cercò il foglietto con il nome e il numero di telefono del Dottor Soncini, si accese una sigaretta e prima di chiamare impostò
mentalmente i vari passaggi della telefonata che avrebbe
fatto. Soncini gli avrebbe certamente fissato un appuntamento per il colloquio, quindi agenda e penna pronti per
annotare recapiti e indirizzi. La conversazione fu di brevissima durata, spartana, pochi i convenevoli, giusto il tempo
delle presentazioni, poi il suo interlocutore gli comunicò
una data, un orario e un indirizzo, dove presentarsi per il
colloquio: Venerdì, ore undici, nella sede centrale della
Banca, in via Mercanti. Giulio prese nota sul blocco degli
appunti che ripose nella borsa, salutò il suo interlocutore
e, mentre si accendeva una sigaretta, chiamò l’amico Luciano per aggiornarlo. “Bene, Giulio, fugati tutti i dubbi?
Fatti sentire dopo il colloquio, così mi farai sapere. Un abbraccio”.
Venerdì sarebbe arrivato presto, solo due giorni per riflettere su ciò che gli stava accadendo. Un certo scetticismo
sull’esito del colloquio frenava le sue fantasticherie, quella
voce al telefono aveva un qualcosa che metteva soggezione
e che gli faceva immaginare una persona con una forte personalità. L’avrebbe dovuto incontrare, esporgli le sue competenze e capire se potevano essere adatte al ruolo. Giulio
aveva già avuto modo di stare in aula e gestire i corsi di
formazione che l’azienda promuoveva con una certa frequenza alla propria rete vendita; i partecipanti ai corsi
erano quasi tutti colleghi o suoi agenti, quindi con un rapporto di conoscenza e, a volte, di confidenza tale che non
gli faceva pesare il fatto di dover parlare a una platea di
una decina di persone. in questo caso il discorso sarebbe
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stato diverso, molto più professionale e per nulla confidenziale. Parlare per ore e ore, sempre al centro della scena, a
dei perfetti sconosciuti, che ti osservano, ti studiano, pronti
alla critica se non addirittura allo sfottò, è una cosa diversa
che avere a che fare con amici e colleghi, e questo Giulio lo
sapeva perfettamente. Ci sarebbe riuscito? o, preso dal panico, avrebbe fatto scena muta?
alle 10,55 di venerdì, Giulio fumava l’ultima sigaretta
prima di varcare il portone della Banca in cerca del Dottor
Soncini. Si sentiva stranamente tranquillo e per nulla emozionato, avrebbe sostenuto il colloquio a fronte alta, descrivendo i suoi trascorsi lavorativi e i suoi skills, con onestà,
senza alcuna enfasi. avrebbe accettato qualunque esito del
colloquio, anche uno negativo: un rifiuto, in fondo, avrebbe
cancellato quel senso di ansia per la paura di fallire e lo
avrebbe sollevato vigliaccamente dal problema.
L’idea che mentalmente Giulio si era costruito dell’uomo
nel corso della telefonata, corrispondeva perfettamente alla
sua immaginazione; il Dottor Soncini era un uomo imponente, sia nella statura sia nel portamento ed eleganza.
Sulla settantina ma giovanile, capelli candidissimi, aveva
trascorsi di aD in un grosso gruppo industriale italiano.
Personalità eclettica e di grande cultura, dialettica forbita
e fluida, era l’autore dei temi oggetto dei corsi che la Banca
gli aveva commissionato per un progetto di unificazione
formativa rivolto ai funzionari di livello delle filiali dell’italia settentrionale. Dopo i saluti di rito Giulio, curriculum
in mano, si aspettava di dover affrontare un colloquio approfondito, durante il quale il Dott. Soncini avrebbe scandagliato fra le sue esperienze lavorative e, solo allora,
avrebbe deciso se affidargli l’incarico. Giulio provò quasi
un senso di delusione quando comprese che tutto il colloquio, dopo tre sole secche domande, era finito, privandolo
così della possibilità di parlare di se, di dare sfogo al suo
narcisismo. tre sole domande: “Lei è un commerciale? è
un free-lance? il suo corrispettivo è di 400 euro a giornata?”. Giulio si adeguò ai modi diretti e senza fronzoli del
suo interlocutore e rispose con un sì, ripetuto tre volte,
quindi l’uomo gli chiese di seguirlo in un ufficio dove, da
una cassettiera, prelevò un faldone che consegnò a Giulio;
conteneva una ventina di slides, un po’ stropicciate e il timing del corso. “Lunedì alle 8.30 dovrà trovarsi nella nostra sede di Pordenone, per tre giornate di aula. al suo
rientro si metta in contatto con noi. Buon lavoro.”
Entrò nel bar di fronte la banca; aveva bisogno di bere
un caffè, fumare qualche sigaretta e ragionare sul breve ma
proficuo incontro con il Dottor Soncini. Seduto a un tavolino, mentre beveva il suo sospirato caffè, era quasi contrariato con se stesso per l’atteggiamento passivo che aveva
tenuto nel corso del “colloquio”, e che lo aveva coinvolto
in qualcosa forse più grande di lui. il fumo della sigaretta
scacciò questi pensieri negativi dalla sua testa, tirò fuori
dalla valigetta il faldone che aveva ricevuto per studiare
quella ventina di lucidi e lo stampato con il timing. Pensò
immediatamente e non senza ansia, che con quel poco materiale avrebbe dovuto riempire tutti i tre giorni del corso
e che, a un primo studio, non gli dava nessuna idea dell’argomento trattato. Sarebbe stata veramente un’impresa, per
un esordiente come lui, occupare tutto quel tempo con quel
modesto supporto e con le sue parole, evitando momenti
di vuoto mentale e conseguenti attacchi di panico. Riuscire
ad arrivare alla fine del corso con dignità era la sfida da
vincere. a questo punto non poteva certo fare marcia indietro, non era da lui, non era una cosa che il suo orgoglio
avrebbe potuto mai accettare. Ci sarebbe riuscito, si disse,
in un esubero di autostima, avrebbe fatto affidamento sulla
sua fantasia, sulle sue esperienze e alla sua essenza naif.
aveva ancora due giorni abbondanti per studiare il programma del corso, capirne gli obiettivi e trovare una soluzione, un’idea che gli potesse dare quella padronanza
necessaria a gestire il tempo e le persone.
arrivò a Udine poco prima di cena. il lungo viaggio in
auto, nella solitudine dell’abitacolo, lo aveva utilizzato per
concentrarsi mentalmente sull’impegno della mattina seguente. nel week end aveva letto e riletto quelle venti slides in cerca di passaggi che potevano dargli lo spunto, tra
una proiezione e l’altra, per allungare i tempi e farli coincidere con quelli del timing. il primo fondamentale e critico
obiettivo che Giulio si poneva, sarebbe stato quello di arrivare indenne al primo coffee break: avrebbe gestito quei
novanta minuti per conoscere i partecipanti al corso, e per
individuare, tra quelle persone, due figure importantissime: quelle che in ogni corso di formazione non mancano
mai e che Giulio avrebbe dovuto gestire con particolare attenzione: il primo era il contestatore, quello che del corso
non gliene fregava niente, che generalmente aveva motivi
di risentimento nei confronti dei vertici della banca, sui
loro sistemi, sui carichi di lavoro... la quintessenza dell’eterno scontento! L’atteggiamento negativo di questi personaggi rischiava sempre di condizionare l’attenzione di
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tutta l’aula, di ostacolare il suo lavoro e di innescare una
vera bagarre di recriminazioni e lamentele. Giulio avrebbe
dovuto isolarlo, rintuzzando i suoi attacchi e le sue provocazioni. L’altro soggetto era il suo opposto; era quello entusiasta, aziendale, quello che non si perdeva una parola,
un concetto, che prendeva appunti, quello che, magari per
vanagloria, cercava, a ogni occasione, di mettersi in mostra,
ponendo domande, chiedendo spiegazioni, intervenendo
con spirito collaborativo. Era quello che più possedeva le
caratteristiche del leader.
alle 8.30 nonostante la notte insonne spesa a studiare
una proficua strategia idonea a condurre con successo quei
tre giorni, puntualissimo faceva il suo ingresso in un’aula
ancora deserta. Sistemò le sue carte, con il timing in primo
piano, le diapositive sistemate in ordine progressivo accanto al proiettore, si avvicinò alla candida lavagna a fogli
mobili, strappò una pagina scarabocchiata e, con un pennarello rosso, scrisse a caratteri maiuscoli il suo nome e cognome. il corso era destinato a un gruppo d’impiegati che
la direzione aveva deciso di trasferire allo sportello, quindi
a contatto con il pubblico. L’obiettivo era di cercare ogni
occasione per vendere qualche prodotto finanziario. L’aula
si riempì presto di una quindicina di persone, in maggioranza uomini; Giulio li accoglieva sulla porta con
un’espressione distesa e sorridente, tutto l’opposto di quell’ansia enorme che, invece, ancora lo attanagliava.
alla prima pausa caffè Giulio ci arrivò che ancora non
era finito il giro delle presentazioni, e la cosa contribuì a
cancellargli buona parte della sua apprensione. Era anche
riuscito a individuare uno dei due soggetti, quello
“buono”, quello che avrebbe dovuto fargli da spalla, dandogli la parola, nei momenti più ostici del programma, con
delle domande aperte e, come alleato, contro l’eterno scontento. Man mano che le ore della giornata si consumavano,
interrotte dalle attese pause caffè, Giulio sentiva crescergli
dentro una ritrovata sicurezza in se stesso e nelle sue capacità. Già alla ripresa era riuscito a individuare l’altro soggetto, l’eterno scontento, che, con l’aiuto della sua spalla,
avrebbe dovuto isolare e addomesticare. Gli altri giorni del
corso scorsero tranquilli e senza intoppi; Giulio aveva acquistato una tale scioltezza e sicurezza nella conduzione
del programma, che quasi ci aveva preso gusto; in quei tre
giorni, infatti, era sempre stato in primo piano e questo gratificava il suo protagonismo; tra una diapositiva e l’altra,
prendendo spunto dall’argomento, inseriva, come esempio
pratico, il racconto di una delle sue numerosissime e variegate esperienze di vendita e quell’esempio concreto di
un’esperienza reale, contribuiva ad alzare il livello di attenzione dell’aula, questo gli permetteva di allungare i
tempi a suo piacimento e gli dava una grandissima soddisfazione.
i tre giorni passarono veloci e Giulio arrivò alla fine del
corso senza quasi accorgersene. Quell’attività, superata la
parte apprensiva che l’aveva preceduta, lo aveva coinvolto
totalmente. Era riuscito a gestire il tempo, le obiezioni, le
distrazioni di qualcuno con la massima padronanza e
senza panico. alla fine l’esperienza gli era anche piaciuta,
aveva tanti aspetti positivi: innanzitutto appagava il suo
desiderio di protagonismo, gratificando il suo narcisismo;
non aveva più lo stress della vendita, con suoi guadagni
sempre incerti e il corrispettivo per quei tre giorni di lavoro, poi, ripagava in pieno il suo impegno.
Lo stato d’animo di Giulio, sulla strada di ritorno a Milano, era totalmente opposto a quello che lo aveva accompagnato all’andata. Si sentiva, sereno, soddisfatto, allegro
e gasato dal successo. La grande paura del fallimento era
finita e adesso, invece, si ritrovava consapevole di essere
in grado di affrontare anche queste prove, ed era stata
anche per lui una sorpresa, la facilità con la quale le sue parole venivano fuori dalla sua bocca: fluide, scorrevoli e
ininterrotte. Era una capacità alla quale trovò origine negli
anni lontani della sua gioventù quando, alla nascita delle
prime radio libere e grazie alla sua passione per la musica,
si ritrovò davanti ad un microfono, solo con i suoi dischi,
a parlare a migliaia di sconosciute persone. anche allora
aveva dovuto superare momenti di vero panico per diventare padrone della situazione. Peccato però che questa
esperienza fosse già finita, il giorno dopo, infatti, avrebbe
incontrato nuovamente il Dottor Soncini per restituirgli il
materiale ricevuto, le schede compilate dai corsisti con le
valutazioni complessive del corso (aveva sbriciato e con
piacere aveva notato che il punteggio sulla performance
del formatore era molto alta) e la consistente fattura concernente il suo compenso.
Soncini, contravvenendo ai suoi modi spartani, lo accolse con un inaspettato sorriso e con i complimenti per la
conduzione del corso; certamente era stato informato in
merito alla sua attività e le referenze dovevano essere state
positive, poi, ritornando al suo originario aplomb, invitò
Giulio a partecipare a una riunione di lavoro, fissata per il
giorno successivo alle dieci. nessun’altra informazione. Si
ritrovò il giorno seguente, dopo una notte di sonno profondo, rinvigorito e curioso di sapere il perché di quella
convocazione. nella sua testa si andava materializzando il
pensiero, forse la speranza, che potessero affidargli un
nuovo incarico, una nuova possibilità per proseguire la
strada che aveva appena percorso. Questo lo avrebbe
senz’altro gratificato, ma, soprattutto, la prospettiva di
guadagno era così allettante che gli avrebbe risolto una
serie di problemi.
alla riunione, oltre al Soncini, partecipavano altri due
distinti signori, che gli furono presentati come responsabili
della Banca. La riunione era iniziata con qualche anticipazione e dopo le presentazioni di rito, era continuata approfondendo l’oggetto dell’incontro. inizialmente Giulio non
comprendeva quale fosse il motivo della sua presenza,
ascoltava, silenzioso e un po’ a disagio, ma intanto memorizzava e cercava di capire. Poi intuì che si discuteva sulla
struttura di due differenti nuovi corsi di formazione, che
sarebbero stati erogati a destinatari diversi da quelli che
aveva gestito di recente. ascoltava attento, quasi intimorito, fin quando, tra un concetto e l’altro, trovò il modo di
esprimere un suo punto di vista. Soncini si zittì di colpo,
sembrava essersi accorto della presenza di Giulio solo in
quel momento, lo guardò in silenzio per qualche secondo,
mentre Giulio tremava al pensiero di avere proferito
un’enorme castroneria, poi, inaspettatamente, si complimentò per l’osservazione azzeccata, accompagnando con
un gesto della testa la sua approvazione. alla fine della riunione Giulio si ritrovò con un nuovo incarico che lo
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avrebbe impegnato per i prossimi tre mesi e che comportava la gestione di due differenti corsi della durata complessiva di cinque giorni!
nelle settimane e i mesi che seguirono l’inizio della sua
nuova attività, Giulio cambiò radicalmente i ritmi e il senso
delle sue giornate; senza la tensione e l’incertezza che accompagna la vita di ogni venditore professionista, era ripagato, invece, dal feed-back positivo che l’aula gli
restituiva e dal concreto e sicuro corrispettivo che la docenza generava. Giulio era cosciente che stava vivendo un
periodo magico.
tutte le mattine, dal lunedì al venerdì, percorreva l’autostrada che portava sul lago Maggiore, sulle cui rive sorgeva una grande struttura formativa, di proprietà
dell’istituto; decine di aule attrezzate, laboratori, alloggi
per il soggiorno dei corsisti che giungevano da tutte le regioni del nord, la mensa, che sfornava piatti da gourmet,
un magnifico parco e tanta efficienza. Sin dal primo giorno
di lavoro, condito da una certa dose di apprensione, Giulio
aveva preso l’abitudine di fermarsi nell’ultimo bar prima
del Centro. “Buongiorno signorina, un caffè ristretto... grazie”. Prima ancora che finisse la settimana di lavoro,
quando, intorno alle otto, entrava in quel solito bar, non
aveva più la necessità di ordinare; la ragazza, dopo averlo
riconosciuto e salutato con un fuggevole sorriso, di rimando gli chiedeva: “Ristretto, vero?”. “Come sempre,
grazie”, rispondeva Giulio ricambiando il sorriso. non era
stata la qualità del caffè a fargli scegliere quel particolare
bar, tanto meno la vicinanza alla sede. Ciò che cercava, invece e che, di proposito, aveva volutamente costruito i quei
primi giorni, era ricevere quella simbolica carezza che la
ragazza, riconoscendolo, gli regalava tutte le mattine e che
non lo faceva sentire più un anonimo cliente del quale, un
attimo dopo, non ricordi più nemmeno la faccia. ne aveva
bisogno, come tutti, per sentirsi vivo, esistente: quella simbolica carezza era un pieno di energia, di sicurezza, di calore che gli permetteva di iniziare la dura giornata
lavorativa con spirito positivo. il lunedì lo attendeva un
nuovo gruppo di una quindicina di dipendenti, tutti gestori di portafogli privati; il corso durava due giorni, poi,
dal mercoledì al venerdì, un altro programma destinato a
gestori aziendali. il suo cliché ormai era quello collaudato
a Pordenone: giro tavolo di presentazione, occasione per
provocare una piccola bagarre di lamentele e rivalse, che
Giulio sfruttava soprattutto per allinearsi con il timing e
per individuare i due soggetti, gli stereotipi del “buono” e
del “cattivo”, che avrebbe dovuto gestire e controllare.
L’aula era ormai diventata un palcoscenico sul quale Giulio
si esibiva con una padronanza da attore consumato; soprattutto era cosciente di cosa quelle persone si aspettavano da
lui, non semplici concetti teorici, a volte inapplicabili e utopici, e allora quelle stesse teorie le traduceva in esempi pratici, attingendo a un campionario di aneddoti, di episodi,
di esperienze di vendita e di vita che Giulio aveva accumulato in anni di attività; si divertiva, giocava, faceva cabaret, ogni tanto lanciava una delle sue battute che
scatenava una risata generale. il risultato era un livello
d’attenzione sempre alto e partecipativo. a ogni fine corso,
salutava personalmente ogni partecipante, raccogliendone
a caldo le impressioni e anche qualche gradito complimento per la sua performance. “Per la prima volta non mi
sono annoiato e, divertendomi, ho anche appreso qualcosa
che potrà essermi utile nel mio lavoro”. Questo era il tono
generale dei commenti che riceveva al momento del commiato, qualcuno gli chiedeva anche qualche testo inerente
ai temi trattati. Fu in uno degli ultimi corsi prima della
sosta natalizia che, tra i partecipanti, riconobbe immediatamente dall’accento familiare, un suo concittadino che da
anni viveva e lavorava in Lombardia. Fraternizzarono
senza difficoltà, rievocando luoghi, tradizioni, e prelibatezze culinarie. il venerdì, secondo e ultimo giorno di
corso, al termine di un’esercitazione le cui finalità non
aveva mai capito, giusto prima della pausa pranzo, la porta
dell’aula si spalancò e apparve, inaspettatamente, il Dottor
Soncini! Era una cosa davvero insolita, che mise Giulio in
uno stato di apprensione. il perché di quell’improvvisa irruzione riportò alla memoria di Giulio un episodio accaduto la settimana precedente durante uno degli abituali
corsi. L’aula dove aveva svolto il programma, non era una
delle solite dove aveva operato fino a quel momento, con
il classico tavolo a U; era invece un piccolo anfiteatro, con
le sedute di un cupo legno che degradavano verso l’alto;
tra i partecipanti c’era un piccolo gruppo d’impiegati molto
giovani e che avevano occupato i posti più in alto, isolandosi dal resto dei colleghi. Distratti, maleducati, non partecipativi e a volte irriverenti, creavano disturbo e
contribuivano a far calare l’attenzione di tutta l’aula. Giulio, con pazienza, aveva usato tutte le sue tecniche e le sue
capacità per addomesticare e coinvolgere quei ragazzi; tentativi vani, rintuzzati in malo modo fin quando la tensione
sfociò in un breve battibecco. Giulio collegò immediatamente l’apparizione di Soncini a quella piccola diatriba; sapeva di essere sotto esame e che quella visita avrebbe
potuto avere conseguenze deleterie sulla sua attività.
Soncini, dopo essersi presentato e averlo salutato, rivolgendosi all’aula, iniziò a sciorinare tutta la sua istrionica
dialettica esponendo gli obiettivi e le finalità del corso; Giulio non seguiva le sue parole, perché era impegnato a gestire l’attacco di panico che lo aveva assalito. Quando
Soncini esaurì il suo intervento, gli domandò a che punto
del programma si trovasse, Giulio, vincendo il nodo che
iniziava a stringergli la gola, lo informò dell’esercitazione
che i partecipanti avevano appena svolto e del seguente dibattito. “Benissimo, prosegua pure con il programma, faccia conto che io non ci sia”. Se Giulio avesse potuto fuggire da quell’aula, lo avrebbe
fatto senz’altro, troppo era l’imbarazzo nel sentirsi studiato, valutato, il panico gli aveva definitivamente bloccato
la parola e privato di ogni reattività. Cosa fare? Si chiedeva;
come poteva tirarsi fuori dall’impiccio, salvare la faccia e
il lavoro?
il caso volle che il suo concittadino, fin dal giorno precedente, avesse occupato il primo posto alla sua sinistra, a
brevissima distanza; girò lo sguardo verso di lui, quasi a
chiedergli aiuto e conforto e, per una frazione di secondo,
il loro occhi s’incrociarono. Bastò quello. Si erano parlati...:
in quella frazione di tempo Giulio gli aveva espresso tutto
il suo disagio e chiesto aiuto. “Dottore, potrei porle una domanda?” esordì il corsista un attimo dopo. aveva capito
tutto! L’onda di panico che aveva bloccato Giulio e che
quello sguardo gli aveva trasportato, gli fece capire quanto
avesse bisogno del suo aiuto, ma, soprattutto, aveva compreso la natura istrionica del dott. Soncini, la sua necessità
di esibirsi, di sfoggiare la sua dialettica, di essere protagonista. Con una semplice domanda, infatti, innescò un’altra
raffinata e lunga dissertazione che fini solo con lo scoccare
dell’ora e l’inizio della pausa pranzo. Giulio tirò un lungo
sospiro liberatorio e, uscendo dall’aula, dissimulò con Soncini la tensione che ancora lo accompagnava, fintamente
dispiaciuto per non aver potuto soddisfare la sua richiesta.
Soncini lo salutò affabilmente e lo convocò in sede per il
giorno seguente. Pranzò con il suo salvatore, al quale Giulio non risparmiò la sua riconoscenza e con il quale dissertarono su quella peculiarità, tipica del popolo siciliano, di
capirsi con un semplice sguardo.