Arianna Porcelli Safonov in Fiaba-Fobia il 7 aprile al Teatro Martinitt di Milano

"Fiaba-fobia è stata scritta per ridere e per pensare. Sperando che non ci sia nessuno che abbia paura di ridere di pensare". L'intervista de Il Giornale d'Italia

Al Teatro Martinitt di Milano, giovedì 7 aprile, Arianna Porcelli Safonov andrà in scena con Fiaba-Fobia, collana di racconti ispirata alle paure che attanagliano le persone e ne influenzano la vita. 

"Fobia vuol dire paura e “Paura” include nella propria radice l’indoeuropeo -pat che vuol dire percuotere, abbattere.

Potremmo dire che le paure ci abbattono e che veniamo giornalmente percossi dalla fobia. Non è un buon inizio per un monologo comico. La risata però è il linguaggio che serve per entrare dentro ad uno degli argomenti più attuali, impegnativi e meno discussi di questo momento storico: la paura come timone sociale. Siamo passati dal “Non abbiate paura” di Giovanni Paolo II al “Restate a casa” in un batter d’occhio, da “Andrà tutto bene” alla vigile attesa. Sin dai tempi dell’ Uomo Nero, ogni anno viene prodotto un nuovo soggetto che dovrà farcela fare sotto.

Quando ero piccola si doveva aver paura di Chernobyl, poi c’è stata la Mucca Pazza, l’arsenico nell’acqua, i testimoni di Geova. Poi sono arrivati i musulmani e dopo il 2001 se vedevi un arabo che avesse fatto la sciagurata scelta di comprarsi una cartella Invicta, eri in grado di allontanarti con un record da far piangere Usain Bolt (record mondiale 100 metri ndr). Dopodiché sono arrivati gli immigrati ma ora non se li fila più nessuno perché ci sono il virus, la peste suina e, se non bastasse, una bella guerra. Ma non ci bastano le paurose proposte dai suggeritori mediatici: vogliamo di più! Ed anche grazie anche al clima di terrore mondiale ci spertichiamo in fobie personalizzate che ci percuotono con mille bastoni: dai serpenti, ai ragni, all’aereo, alle malattie veneree, ai batteri di ogni tipo che potrebbero aggredirci al tavolino del bar, dalla fobia degli uomini e delle donne con cui potremmo riprodurci a quella dell’acqua alta e molto altro di pauroso e di ridicolo che viene giustificato con “Scusa, è che c’ho la fobia!”

Fiaba-fobia è una collana di racconti che indaga sulle fobie che accompagnano la nostra persona, a volte per tutta la vita, a volte più dei parenti. Fiaba-fobia è stata scritta per ridere e per pensare. Sperando che non ci sia nessuno che abbia paura di ridere di pensare"

L'intervista de Il Giornale d'Italia a Arianna Porcelli Sofonov: "Fiaba-Fobia, una passeggiata scherzosa che contiene una provocazione sull'attualità"

VIDEO- L'intervista de Il Giornale d'Italia a Arianna Porcelli Sofonov: "Fiaba-Fobia, una passeggiata scherzosa che contiene una provocazione sull'attualità"

In Fiaba-fobia porti in scena una collana di racconti che indaga un sentimento istintuale come la paura, un sentimento ambivalente perché da un lato ci fa scappare da situazioni pericolose, ma dall’altro potrebbe trasformarsi appunto in fobia, ansia e anche avversione, soprattutto se l’oggetto che provoca il timore non si conosce a fondo. Ecco di cosa abbiamo paura?

Fiaba fobia è forse uno spettacolo che esiste già, che qualcuno avrà già fatto ma che mi interessava fare perché temo che la parola ‘paura’ sia la parola di questo millennio. Alle fobie attribuisco anche in un significato simpatico: sono tutte quelle paure schizofreniche che fanno parte delle nostre abitudini e di tutto ciò con cui conviviamo.  

Dopodiché ci sono le paure che sono risposte e conseguenze legate a qualcosa che non si conosce. La paura in questo ultimo ventennio è utilizzata come ingrediente per gestire la società. Questa è un po' la provocazione che Fiaba-Fobia vuole fare: una passeggiata scherzosa tra tutte queste paure e soprattutto la provazione che mi piacerebbe offrire al pubblico legata al momento attuale. Sono nata con la paura di Chernobyl, poi è arrivata la Mucca Pazza, poi il mussulmano con lo zainetto, adesso con il Covid abbiamo avuto la conferma che attraverso la paura diventiamo dei bravi cittadini e questo è insopportabile.

Potremmo quindi dire che la paura sia contagiosa?

Non solo, è un costume che rischia diventare abitudine. Mi fa strano vedere persone che fanno jogging con la mascherina pensando di morire anziani. Ma non è una colpa, la colpa e di chi fomenta questo tipo di atteggiamento perché funziona.

Il tuo spettacolo va in scena dopo la pandemia, dopo un evento che ci ha messo tutti a dura prova e ha anche in qualche modo alla prova le nostre piccole e grandi paure di esseri umani. Lo spettacolo al Teatro Martinitt di Milano previsto per Giovedì 7 aprile è già sold out. Ecco come ti senti a incontrare nuovamente il pubblico?

Per me è cambiato veramente poco, lavorando in rete non ho mai staccato davvero il rapporto con il pubblico. L’esperienza teatrale è la cosa più bella che c’è però l’incontro con il pubblico è qualcosa che non dipende dal luogo nel quale ci si incontra, è la vicinanza di quando si scrive qualcosa e si spera che venga letto. Persino nei libri incontro il pubblico ed è uno scambio di amorosi sensi che ha poco a che fare con il luogo. In questi anni ho maturato tanti posti diversi perché lo spirito di adattamento non mi ha abbandonato.

In questo momento storico veramente difficile, dove vige anche un po' questa idea distopica di catastrofe, l’ironia che permette anche un rovesciamento della realtà, che ruolo narrativo può avere in questo momento la comicità?

Io mi adatto a quelle che sono sempre state le leggi dell’esercizio della comicità, che in questo momento sono messe a dura prova. Mi occupo di qualcosa che somiglia alla satira, dato che nel nostro paese non esiste più, e ci sono tantissimi testi che si possono sfruttare per trovare il senso della satira e della comicità nel costume sociale. La satira è un campanello di allarme, le analisi del sangue della società. Ci siamo tutti accorto che l’umorismo viene sempre più messo in discussione, bisogna invece avere cura del proprio senso dell’umorismo e questo vuol dire non offendersi ma prenderla come un medicinale omeopatico. Questo avviene poco nel nostro paese, che è molto simile agli Stati Uniti sotto questo aspetto, dove ridiamo tutti ma non ride nessuno, dove in tv viene proposta sempre la stessa comicità che è una proposta spensierata, ma la comicità deve impensierire semmai.

Potremmo quindi dire che anche se tutte le paure e le fobie sono legittime non può esserlo aver paura di pensare…

Magari fosse solo paura. Credo che sia frutto della nostra ignoranza, niente più. La censura marrone, come la chiamo io, accade spesso quando ti dicono ‘questa cosa il pubblico non la capisce’. Pensiamo che il pubblico sia più sciocco di quello che è. Non credo che sia una censura quello che sta avvenendo nei costumi sociali, credo che sia peggio probabilmente, cioè un movimento di indifferenza nei confronti di tutto ciò che crea spessore al nostro pensiero. È un momento storico difficoltoso e tutte le volte che scappi da un pericolo scappi in mutande, scappi con quello che hai a disposizione e ti alleggerisci.