Un Concerto imperdibile a Bergamo segna la Primavera la pianista Emanuela Piemonti e il violinista Mauro Loguercio
la Società del Quartetto di Bergamo inaugura la stagione con la Trascrizione per violino e pianoforte di H. Sitt Lunedì 21 Aprile, Sala Piatti, via San Salvatore 6, Bergamo, ore 20.30
dal mio diario...
Una delle cose delle quali vado più orgoglioso sono i miei natali: mia nonna paterna era una ragazza ribelle di inizio secolo scorso, e mia nonna materna un’impavida “mula” triestina.
Dai cassetti di quest’ultima ho ereditato pacchi di trascrizioni di musica.
A quei meridiani era uso, dopo cena, sedersi in salotto ognuno con uno strumento in mano, e insieme comunicare, raccontandosi quelle storie meravigliose che avevano scritto dei signori che avevano abitato quegli stessi meridiani in tempi più o meno passati: Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert, Schumann, Brahms.
Ma ovviamente, per quanto estese fossero le famiglie a quell’epoca (a casa della mia bisnonna erano in 14 fra fratelli e sorelle...), e per quanto ognuno suonasse più di uno strumento, le amate sinfonie dei suddetti erano un sogno irraggiungibile.
Né c’erano grammofoni o radio, e le serate erano lunghe.
E allora il nonno tornava a casa passando dal negozio di musica in via Felice Venezian, portava l’ultima trascrizione arrivata, che subito veniva posta con trepidazione sul leggio; e, con passione e ardimento, nonni, zii, nipoti, cugini, fratelli e cognate si sedevano imbracciando un qualche strumento vibrante, dando inizio alla conversazione. Non importava se le vibrazioni fossero esattamente quelle richieste dalla partitura: 440 Herz potevano essere 435 o 445 - mi immagino - ma erano di una vitalità straordinaria, e messaggere di un amore sconfinato.
Vi immaginate come possa essere pensabile il trascrivere anche solo una sinfonia di Haydn? Un buon numero di violini, un paio di viole, violoncelli e contrabbassi, un paio di oboi, flauti, clarinetti, fagotti, corni, trombe, timpani, il tutto condensato in un trio col pianoforte o per due persone che sedevano allo stesso pianoforte? Che capacità di collante umano avevano queste partiture? Quanto dovevano amare una partitura coloro che si mettevano a trascriverla: un foglio di musica davanti, la partitura originale a lato, cercando con maggiore o minore sapienza di condensare la storia raccontata immaginando un nuovo colore. Che ricordasse sì la tavolozza originaria, ma soprattutto che riuscisse a trasmettere quei valori universali che quei grandi avevano travasato nelle loro partiture!
Certo, c’erano dei virtuosi che si impossessavano delle partiture alla moda per poter far mostra delle loro doti di virtuosi: Listz e Sarasate ne facevano, il primo col pianoforte e il secondo col violino, delle vere armi di seduzione.
Ma c’era anche chi si impegnava in queste imprese per il solo bisogno di viverle dall’interno suonandole col proprio strumento.
Herr Professor Hans Sitt (Praga, 21 settembre 1850 – Lipsia, 10 marzo 1922) era uno di questi: non sazio della sua attività come direttore, violinista e didatta (è stato insegnante anche di Franco Alfano, colui che terminò la Turandot di Puccini), per puro amore della musica si accinse a trascrivere varie sinfonie: Mozart, Schubert e - appunto - Beethoven.
Ma in quella che ascolteremo questa sera si spinse oltre alle umane possibilità (dove volano le aquile, per così dire): come si può pensare di trascrivere un’opera quale la Nona sinfonia di Beethoven (orchestra poderosa, e in più coro, e in più quattro voci soliste!!!) in un brano per violino e pianoforte? Si deve reinventare tutto, rendere il tutto il più trasparente possibile, condensare e distillare il messaggio altissimo, in modo che arrivi in modo il più diretto possibile, trovare la sintesi ardita fra complessità e chiarezza.
Non vi è dubbio, difatti, che la Nona costituisca una nuova visione epica del concetto di Sinfonia, che fa da spartiacque nella storia antropologica della musica, vista in senso lato: nella Nona avviene il suggello della scrittura per l'Umanità.
E, appunto, la trascrizione di Sitt è un omaggio epico e drammaturgico alla prima musica universale e cosmopolita, assolutamente lontana dall’uso salottiero e riduttivo in cui si pongono tante trascrizioni dell’epoca: niente viene concesso al violino o al pianoforte, bensì le loro possibilità tecnico-espressive vengono portate ai limiti estremi. Non sono un violino e un
pianoforte, che suonano; questi due strumenti, nella lettura di Sitt, vengono ridotti all’etimologia del loro nome: due strumenti, appunto. Strumenti per trasmettere il messaggio di amore, umanità e ideali che permeano questo sommo monumento.
GUIDA ALL'ASCOLTO
La Nona nella trascrizione per violino e pianoforte di Hans Sitt: una dimensione nuova
Mentre aspettate che Emanuela Piemonti e io si esca sul palcoscenico e si incominci ad accordare i nostri strumenti, vi prego: cercate di spogliarvi dal ricordo plastico degli ascolti precedenti della Nona! Non ve la ripassate mentalmente, non cercate di rivivere le stesse emozioni, non aspettatevi il suono dell'oboe o quello poderoso degli ottoni, bensì cercate di arrivare vergini al primo tremolo sulla dominante di Re, alle eco di quinte vuote con le quali inizia questo capolavoro,
La musica da camera, difatti, ha delle leggi diverse dalla musica sinfonica, ha accenti più intimi, meno roboanti, non gioca su sonorità poderose bensì su colori più raffinati, ma non per questo meno emozionanti.
Lasciatevi sorprendere da questi nuovi suoni, come se vedeste un monumento che conoscete benissimo, ma che questa volta guardate da altre angolazioni. La nostra ricerca, il nostro sforzo, la nostra ciclopica scommessa è stata quella di cercare di trovare la verità nella musica, distillando i fantasmagorici colori che un'orchestra può avere, e arrivando alla purezza della linea.
Scoprite con noi quanto il piccolo possa essere grande, quanto un disegno di Leonardo non sia meno della Gioconda, quanto una sola parola possa emozionare più di un intero discorso. Una specie di Haiku (la poesia giapponese fatta di pochissime strofe), in cui la grandezza è fatta dalla sintesi. Penso, con immodestia, che i nostri due piccoli strumenti abbiano delle sfumature di espressione che nessuna orchestra, anche se condotta dai più grandi direttori, potrà mai avere.
Mai, per nessun altro lavoro violinistico, ho studiato tanto come per questa Nona: dall'interesse iniziale per un'opera sconosciuta, e dalla gioia di trovare scritta per il violino una delle composizioni che più mi sono vicine, all'ardire di chiedere a Emanuela se avesse voglia di provare a cimentarsi, dallo sbigottimento seguito alle prime prove (mi sembrava una cosa impossibile....), all'affiorare della speranza di potercela fare.
E, da qui in poi, alla assunzione della responsabilità che ciò comportava: cimentarsi con un tale capolavoro, e con dei mezzi assolutamente impari rispetto all'originale, mettendosi sullo stesso campo di gioco di Furtwaengler, di Toscanini, di Karajan, di Bernstein, di Abbado. Sì, ci doveva per forza essere una componente di grande incoscienza e immodestia.
Ma solo se si sogna si può volare. Buon ascolto.
ML