Teatro Alla Scala, quando riaprì al pubblico l'11 maggio del 1946

Il concerto di Arturo Toscanini alla Scala quando il Teatro riaprì in seguito ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale

Teatro Alla Scala, dal concerto della Liberazione di Arturo Toscanini alla riapertura post-covid

Era di maggio quando sulle terze pagine del 1946 si leggeva il resoconto di una serata che con la leggerezza di un soffio si erse sopra gli orrori della guerra. Una vera festa del popolo alla quale tutta Milano voleva partecipare.

Una folla di famiglie, bambini, operai, bottegai, artigiani e gente di ogni classe sociale si accalcava in Piazza Scala, illuminata dalla luce dei lampioni che disegnavano le ombre dei passanti con gli occhi un po' ludici ad ammirare il loro storico Teatro, ricostruito dopo il bombardamento del 16 agosto del 1943.

L'interno del Teatro dopo il bombardamento del 1943 (Wikipedia)

Sotto le bombe cadde il tetto, la volta e lunghi tratti dei quattro ordini dei palchi, i magazzini dei costumi, i camerini, le sale di studio del coro e di ballo e i laboratori scenici.

Ci vollero due anni per ricostruire l’edificio, ma l’11 maggio 1946 il Teatro riapre. “Ecco la Scala”, si narra disse Toscanini quando la vide per la prima volta ricostruita testandone la propagazione del suono. “Ecco la Scala” è un’esclamazione che sa di ritorno alla vita, di speranza perché non tutto è distrutto.

Ma fu lui, Arturo Toscanini, tornato in patria dopo il suo esilio, a infondere nuovamente la vita in quel Teatro bombardato. Accanto al Maestro una giovanissima Renata Tebaldi, soprano dalla “voce d’angelo”.

Il leggero chiacchiericcio che animava gli spalti, le platee e le logge cessò. Silenzio. Poi, con un solo tocco di bacchetta, la Scala rinacque.  La “Gazza Ladra”, l’ouverture di Rossini è la melodia della rifioritura; Poi il coro dell’Imeneo, il Pas de six, la Marcia dei Soldati dal “Guglierlmo Tell”, la preghiera dal Mosè in Egitto, l'ouverture e il coro degli ebrei dal Nabucco e nei cuori palpitava la frase “Oh mia patria sì bella e perduta”.  Poi ancora  l'ouverture de “I vespri siciliani”, il “Te Deum” di Verdi, l'intermezzo ed estratti dal 3° atto Manon Lescaut, il prologo ed alcune arie dal “Mefistofele”.

Oggi è lontana quella sera leggendaria che le cronache del tempo con fervore raccontarono. La nostra contemporaneità non conosce la terribile distruzione della guerra, ma ne presagisce più di prima le paure, il depauperamento, l’instabilità. 

Le strade vuote, i luoghi della cultura improvvisamente abbandonati, la guerra silenziosa del virus combattuta negli ospedali. Come allora, lo sappiamo, dobbiamo ricostruire. Oggi, come allora, il Teatro alla Scala vuole essere simbolo di questa nuova primavera per la città di Milano. 

Presto le prime riaperture al pubblico, una notizia che, come allora, si concilia con un nuovo progetto di costruzione. E’ stata infatti ieri posata la prima pietra del nuovo edificio progettato da Mario Botta che sorgerà in via Verdi, opera essenziale prevista come complementare al necessario ampliamento della sede storica del Teatro alla Scala già al momento dell’acquisto della palazzina stessa, avvenuto nel 1997.

Rendering-Mario Botta

L’architetto Mario Botta, insieme allo studio dell’Architetto Emilio Pizzi, si era già occupato dell’importante intervento di restauro e ristrutturazione della sede storica del Teatro e dell’area tecnica della torre scenica realizzata tra il 2001 e il 2004.  Geometrie precise, alternanza di pieni e vuoti e cura nel rivestimento animeranno il nuovo edificio, secondo i gusti del tempo.

Tuttavia, come allora, nonostante le tragedie che solcano il tempo, per usare le parole di Pietro Grassi: "Il Teatro resta quello che è stato, nell’intenzione profonda dei suoi creatori. Il luogo dove una comunità liberamente riunita si rivela a sé stessa"