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Intelligenza artificiale, sì al progresso ma con regole a tutela del valore umano che non può essere riprodotto o sostituito

L'intelligenza artificiale è una straordinaria opportunità. Penso alla ricerca, alla medicina, all’utilità nello smaltire i processi della burocrazia ma resta uno strumento. Non ha valori, non ha coscienza, non ha reputazione, noi sì

18 Dicembre 2025

Intelligenza artificiale, sì al progresso ma con regole a tutela del valore umano che non può essere riprodotto o sostituito

Fonte: imagoeconomica

L’intelligenza artificiale corre veloce. Più veloce delle leggi, più veloce della consapevolezza collettiva e, spesso, più veloce della nostra capacità di comprenderne fino in fondo le conseguenze. È già ovunque: nei telefoni che rispondono alla nostra voce, nei social network che suggeriscono cosa guardare, nelle app che studiano al posto nostro e nei software capaci di creare immagini, video e voci quasi indistinguibili da quelle reali.

Ma mentre la tecnologia accelera, cresce una domanda cruciale: quali sono i limiti e chi protegge le persone, quando l’intelligenza artificiale viene usata senza regole? Uno dei terreni più delicati in questo senso è quello della riproduzione non autorizzata di volti e voci. Oggi bastano pochi secondi di un video o di un audio per “clonare” una persona digitale. I cosiddetti “deepfake” sono una realtà accessibile, spesso gratuita, e potenzialmente devastante. Per un adulto è già un problema serio. Per un minore può diventare un trauma. Video falsi, voci manipolate, immagini create senza consenso possono trasformarsi in strumenti di cyberbullismo, ricatto, umiliazione pubblica e violazione dell’identità personale. Una ferita digitale che non si cancella con un clic. Per non parlare dei danni alla reputazione, che l’intelligenza artificiale non ha e non subisce, ma noi sì.

Il punto è chiaro: ’identità non è un dato replicabilel. Non lo è il volto, non lo è la voce, non lo è la persona. Di fronte a questi rischi, la regolamentazione è una necessità. Le istituzioni, soprattutto in Europa, stanno cercando di costruire un quadro normativo che stabilisca limiti precisi: protezione dei dati personali, divieto di utilizzo non autorizzato di immagini e voci, maggiore tutela per i minori negli ambienti digitali. Il principio dovrebbe essere semplice e invalicabile: se non c’è consenso, non c’è utilizzo. E quando si parla di minori, la soglia di protezione deve essere ancora più alta. Le piattaforme digitali e chi sviluppa sistemi di intelligenza artificiale non possono limitarsi a offrire strumenti potenti senza assumersi la responsabilità di come questi vengono usati.

Nel dibattito sull’intelligenza artificiale si parla spesso di produttività, molto meno di creatività. Eppure la creatività è uno dei pilastri della comunicazione, della cultura e dell’educazione. L’intelligenza artificiale può generare contenuti, imitare stili, rielaborare dati esistenti. Ma non ha immaginazione, esperienza, vissuto emotivo. A tal proposito, quando degli artisti hanno provato a dialogare in maniera sperimentale con l’intelligenza artificiale, per capire l’eventuale contributo nell’arte digitale, essa si è definita “compagno di riflesso” nel senso che agisce come un riflesso delle nostre idee rimodulandole e offrendo nuove prospettive. Ma nulla di nuovo viene creato e ce lo dice lei stessa interrogata sulla questione. Il processo creativo nasce dall’errore, dall’intuizione, dal dubbio. È una dinamica di sviluppo profondamente umana. Pensare di sostituirla con una macchina significa impoverire il pensiero e omologare il linguaggio. L’intelligenza artificiale e i vari tools di applicazione possono affiancare il processo creativo, non rimpiazzarlo. Il rischio di non utilizzare i processi mentali per apprendere dall’errore sarebbe l’inizio di un’involuzione del cervello umano poiché, come la scienza ci insegna, meno si stimola e meno cresce nella sua espansione di collegamento. C’è però un rischio più sottile, meno visibile ma altrettanto pericoloso: l’idea che l’intelligenza artificiale possa sostituire il giudizio umano. Non può. E non deve. L’intelligenza artificiale, certo, può analizzare dati, ottimizzare processi, suggerire soluzioni. Ma non possiede coscienza, empatia, senso etico. Non distingue ciò che è giusto da ciò che è semplicemente possibile. Affidare alla tecnologia scelte che incidono sulla dignità e sul benessere delle persone significa rinunciare a una responsabilità che spetta solo agli esseri umani. I valori umani come il rispetto, la responsabilità, finanche il senso del limite, non possono essere appaltati a un algoritmo. Delegare alla tecnologia decisioni che incidono sulla dignità delle persone significa rinunciare a una parte essenziale della nostra umanità e della nostra leadership. In questo scenario, le istituzioni hanno una responsabilità centrale. Non possono limitarsi a inseguire l’innovazione quando i danni sono già avvenuti. Devono anticipare, stabilire regole chiare, investire in controlli efficaci e sanzioni proporzionate. Spetta alle istituzioni garantire che la tutela dei minori sia una priorità, che l’uso dell’IA sia trasparente e che i cittadini siano messi nelle condizioni di comprendere rischi e opportunità della tecnologia. Servono campagne informative, formazione per docenti e famiglie, e un dialogo costante con le aziende tecnologiche per responsabilizzarle.       

Che sia chiaro: l’intelligenza artificiale è una straordinaria opportunità. Penso alla ricerca, alla medicina, all’utilità nello smaltire i processi della burocrazia ma resta uno strumento. Non ha valori, non ha coscienza, non ha reputazione, noi sì. Quella è una responsabilità umana, collettiva e istituzionale. Insomma, l’intelligenza artificiale non è di certo un nemico da temere. Ma non è nemmeno il giudice, l’artista o la coscienza della società. Deve restare ciò che è: uno strumento. Potente, utile, innovativo ma guidato da regole chiare e, soprattutto, da valori umani che nessun dispositivo o strumento artificiale potranno mai replicare.

Di Tiziana Rocca

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