05 Dicembre 2025
Antonio Marano Fonte: LaPresse
Le parole di Antonio Marano risuonano come un monito preciso: “le big tech stanno danneggiando i media italiani, controllando parte dell’informazione senza investire nel Paese”. Il presidente di Confindustria Radio Tv, intervenuto su RTL 102.5, denuncia una situazione che rischia di alterare il pluralismo e il corretto funzionamento del mercato editoriale. Un allarme che riguarda radio, televisione, stampa e tutto l’ecosistema dell’informazione nazionale. Marano chiede regole uguali per tutti, perché senza interventi il settore rischia un declino strutturale.
In apertura del suo intervento, Marano torna al principio costituzionale che regge l’intero sistema: “Partiamo da una premessa: il concetto di fondo è cosa sono gli editori? L’articolo 21. Se voi in questo momento siete in onda, se i cittadini hanno dell’informazione è perché vi è in Italia la possibilità per radio, tv, giornali, carta stampata, libri di poter essere pubblicati e di poter contribuire a una conoscenza e all’informazione”.
Il presidente sottolinea come questo equilibrio si stia incrinando a causa del peso crescente delle Big Tech: “Tutto questo sta purtroppo avendo un forte prelievo economico da parte delle big tech, che non investono sul territorio… è difficile essere competitivi con chi non paga l’autostrada, fa il pieno di benzina e non paga neanche quella”. Una metafora che fotografa la distorsione del mercato: piattaforme globali che distribuiscono contenuti senza sostenere i costi dell'ecosistema editoriale e senza contribuire alla filiera nazionale.
Marano richiama poi un tema spesso ignorato nel dibattito: il rischio che la mobilità – primo luogo di ascolto della radio – venga progressivamente sottratta agli editori tradizionali. “Le auto le stanno costruendo, le stanno importando senza le radio in auto… con il fatto che lasceranno solo il collegamento IP… saranno loro a poter controllare quello che i cittadini e gli ascoltatori possono sentire”. Un campanello d’allarme che riguarda non solo il settore radiofonico ma, più in generale, l’accesso stesso ai contenuti informativi.
Il nodo, ribadisce con forza, è l’asimmetria regolatoria: “La loro forza è la distribuzione dei contenuti agli altri senza che vi sia una responsabilità di un giornalista… senza nessuna responsabilità e nessun costo da un punto di vista di carattere editoriale o personale”. Mentre gli editori tradizionali rispondono civilmente e penalmente dei contenuti trasmessi, le piattaforme si sottraggono a obblighi e verifiche, anche quando diffondono materiali violenti o lesivi. “Se lo fate voi, lo fa la RAI, lo fa qualsiasi emittente immediatamente viene sanzionato”, ricorda Marano.
Da qui l’appello a ristabilire parità di condizioni: “Non è che stiamo chiedendo contributi… chiediamo che chi viene nel nostro paese… si comporti e rispetti le regole che facciamo noi”. Un richiamo che vale per ogni segmento del mercato, anche alla luce delle sproporzioni economiche: “Meta in Italia fattura 2.2 miliardi e ha 24 dipendenti… per loro è soltanto una raccolta e non un investimento”.
Il presidente di Confindustria Radio Tv evidenzia inoltre il divario che penalizza la radiofonia italiana rispetto ai principali mercati europei: “Il mercato italiano pubblicitariamente… è un terzo di Francia e Germania… perché non vi è una tutela di quello che è il costo contato, che è la valorizzazione”. A ciò si aggiungono le minacce crescenti delle fake news e dei contenuti generati tramite intelligenza artificiale, capaci di alterare la percezione del reale: “Oggi l’informazione… è uno dei capisaldi di ogni paese democratico. Ma qui stiamo falsificando la verità e la verità si tutela con la responsabilità”.
Per Marano, il rischio è chiaro e riguarda la tenuta democratica: “Il controllo diretto e uniforme di chi controlla certe piattaforme diventa un valore politico, commerciale, di realizzazione culturale di intere generazioni… Non è una cosa secondaria”.
Un monito, quello del presidente di Confindustria Radio Tv, che invita la politica a prendere coscienza dell’urgenza. Per evitare che – come lui stesso avverte – “l’Italia rischia di essere una colonia”.
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