Morte Anna Laura Braghetti, quando il carcere diventa una seconda opportunità: ricordando la carceriera delle Br, un incontro che non dimenticherò
Quello che mi colpì di Anna Laura, quando la incontrai, fu una scelta che potrebbe sembrare paradossale: dopo aver scontato la pena, dopo aver riconquistato la libertà, lei scelse di restare nel mondo carcerario
L'ho conosciuta anni fa, in uno di quei congressi sul mondo carcerario dove io portavo la mia esperienza di volontario (cosiddetto ex art.17, per gli addetti ai lavori) e lei il suo essere donna che aveva attraversato il sistema penitenziario dall'interno e dall’esterno, una volta scontata completamente la sua pena. Anna Laura Braghetti non cercava attenzione, non amava i riflettori.
La lunga strada dalla prigionia alla libertà
Era diversa da come me l'aspettavo. Forse perché quando pensiamo agli ex terroristi immaginiamo rabbia irrisolta, giustificazioni, tentativi di riscrittura della storia. Lei invece portava una consapevolezza dolorosa e matura, quella di chi ha guardato in faccia le proprie responsabilità e ne ha fatto il punto di partenza per una vita nuova. Anna Laura Braghetti era stata l'intestataria dell'appartamento di via Montalcini a Roma, il covo dove nel 1978 Aldo Moro fu tenuto prigioniero per 55 giorni prima di essere ucciso. Una delle pagine più buie della storia italiana, un trauma collettivo che ancora oggi non si è del tutto rimarginato. Condannata all'ergastolo, aveva trascorso molti anni in carcere, scontando interamente la sua pena ridotta. Ma il carcere, per lei, non fu solo punizione. Fu anche il luogo dove iniziò un percorso di trasformazione profonda. Durante la detenzione scrisse "Il prigioniero", un libro di memorie che ricostruiva quei 55 giorni dal punto di vista di chi stava dall'altra parte della porta blindata. Un libro doloroso, necessario, che non cercava assoluzioni ma provava a restituire la verità di quei giorni terribili.
Restare, non fuggire
Quello che mi colpì di Anna Laura, quando la incontrai, fu una scelta che potrebbe sembrare paradossale: dopo aver scontato la pena, dopo aver riconquistato la libertà, lei scelse di restare nel mondo carcerario. Non come detenuta, ma come operatrice sociale, come volontaria, come persona che metteva la propria esperienza al servizio di chi stava vivendo quello che lei aveva vissuto. Organizzò cooperative di sostegno ai detenuti, partecipò a progetti di reinserimento, si dedicò alle persone più fragili, a chi non aveva protezione. Come scrissero gli amici dopo la sua morte: "Eri sempre col pensiero a cercare di risolvere i problemi degli altri, a trovare un posto protetto per chi non aveva protezione".
Io, che ho organizzato corsi di scrittura creativa in carcere, che ho portato musica e concerti dentro quelle mura, che ho visto quanto sia difficile costruire ponti tra dentro e fuori, capisco il valore di quella scelta. Restare significa non voltare pagina come se nulla fosse stato, non dimenticare, ma trasformare il peso della memoria in qualcosa di utile per gli altri.
Il coraggio di guardare indietro per andare avanti
Negli anni ho partecipato a molti congressi sul tema carcerario, come relatore e come organizzatore, anche in funzione del mio ruolo di membro effettivo dell’allora “Consulta permanente del Comune di Roma per le problematiche penitenziarie”. Ho visto tante persone impegnate nel mondo della detenzione: magistrati, educatori, operatori sociali, docenti, volontari, ex detenuti. Ma non tutti avevano la stessa credibilità morale di Anna Laura quando parlava di reinserimento, di seconda opportunità, di percorsi di cambiamento. Lei sapeva cosa significava essere ridotti a un reato, a un'etichetta. Sapeva cosa vuol dire scontare anni dietro le sbarre e sapeva soprattutto quanto sia difficile ricostruirsi una vita dopo. Per questo il suo impegno non era retorico, non era ideologico. Era concreto, pratico, quotidiano.
Una memoria scomoda ma necessaria
Anna Laura Braghetti è morta a 72 anni, dopo una lunga malattia. I giornali, inevitabilmente, l'hanno ricordata prima di tutto come "la carceriera delle BR", come "l'intestataria del covo di via Montalcini". È giusto che sia così: la storia non si cancella, le vittime non si dimenticano. Aldo Moro, Vittorio Bachelet, e tanti altri, TUTTE le persone colpite dal terrorismo – di destra o di sinistra che sia - meritano che la memoria resti viva e dolorosa. Ma forse è possibile tenere insieme due verità: ricordare chi è stata e riconoscere chi è diventata. Ricordare che ha fatto parte di una delle pagine più buie del nostro Paese e riconoscere che ha dedicato la seconda parte della sua vita a cercare di costruire qualcosa di diverso, a partire dal fondo del sistema penitenziario. "Diranno e scriveranno di te all'indietro, dove già non eri da tanto tempo", hanno scritto gli amici nel messaggio d'addio. È vero: è più facile fermarsi al 1978, all'immagine della giovane brigatista. Ma chi l'ha conosciuta dopo, chi ha lavorato con lei nelle cooperative, chi l'ha vista dedicarsi ai detenuti più fragili, sa che c'era molto altro.
Il senso di una vita
Io credo nel valore del sistema penitenziario quando riesce a essere quello che dovrebbe: non solo punizione, ma anche e soprattutto possibilità di cambiamento, come già ci indicava Cesare Beccaria nel 1764 con il suo “libretto dei delitti e delle pene” o come ci ammonisce Erving Goffman nel suo “Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell'esclusione e della violenza”. Credo nei percorsi di rieducazione, nella scrittura come strumento di consapevolezza, nella cultura come ponte tra dentro e fuori. E credo che storie come quella di Anna Laura Braghetti, per quanto controverse e dolorose, abbiano qualcosa da insegnarci. Ci insegnano che il passato non si cancella, ma che il futuro non è scritto. Ci insegnano che scontare una pena può essere l'inizio di qualcosa, non solo la fine. Ci insegnano che la responsabilità più grande è quella verso chi verrà dopo di noi, verso chi sta vivendo ora quello che noi abbiamo vissuto. Anna Laura Braghetti ha scontato interamente la sua pena. Poi ha scelto di restare, di non fuggire, di mettere la sua esperienza al servizio degli altri. Non è stata un'eroina, non cercava redenzione pubblica. Era semplicemente una donna che aveva capito che la sua storia poteva servire a qualcosa, se messa nelle mani giuste. Ciao, Anna Laura. Il mondo del volontariato carcerario perde una persona che sapeva cosa voleva dire stare dall'altra parte del muro.
Di Eugenio Cardi