All’Università la libertà di parola è sotto assedio: tra slogan, spritz e pensieri annegati
Il caso Fiano alla Ca’ Foscari riaccende il dibattito: l’Università è ancora un luogo di confronto o solo di rumore?
Le Università dovrebbero custodire il sapere, ma sempre più spesso sembrano aver smarrito la chiave. Sono laboratori di idee e, insieme, rifugi di studenti fuori sede che imparano la città prima dei libri, il disincanto prima del mestiere. Gli atenei italiani, oggi, sono un miscuglio di ambizioni e contraddizioni, dove lo studio convive con la militanza, la scoperta e la disillusione.
Tra le aule e i cortili, un tempo, la parola era un’arma: si discuteva, ci si divideva, ma si ascoltava. Ora, invece, sembra basti gridare più forte per sentirsi nel giusto. Le minoranze rumorose, come sempre, dettano il ritmo, e il dialogo affoga nell’eco dei cori. Non è un fenomeno nuovo — lo ricorda l’episodio del 2007, quando Benedetto XVI fu costretto a rinunciare alla visita alla Sapienza — ma oggi il clima appare più velenoso.
Alla Ca’ Foscari, l’ex deputato Emanuele Fiano è stato zittito prima ancora di parlare. Il motivo? Essere ebreo, dicono i suoi contestatori, ignorando che lo stesso Fiano guida un’associazione che sostiene il riconoscimento della Palestina. Paradossi di un tempo che brandisce la causa ma disprezza la complessità.
Protestare è un diritto, ma pensare è un dovere. Venezia, si dice, ha sostituito le sinapsi con lo spritz. Forse è una battuta, ma nel rumore delle piazze universitarie suona come una triste verità.