17 Ottobre 2025
La notizia dell’attentato a Sigfrido Ranucci mi ha colpito profondamente. Non mi ha spaventato, mi ha lasciato perplesso, perché non succedeva niente del genere da anni.
Ok, le minacce sono sempre esistite: lettere minatorie, proiettili, teste di cavallo. Insomma, il catalogo degli strumenti per la minaccia è vasto, ma nulla di più. Ora però la cosa si fa seria.
Dalla letterina alla bomba, la musica cambia: diventa frenetica, assordante, spacca timpani, di fatto inquietante. Non è sicuramente bella.
Allora c’è da chiedersi chi e perché vuole vedere Ranucci morto, o almeno spaventarlo a tal punto da farlo tacere. Le ipotesi sono tante, ma la prima che escludo personalmente è la mafia.
Gli inquirenti, ovviamente, sono partiti dalla pista mafiosa — un classicone — ma è un percorso che non ha senso. La mafia, che oggi non è più quella stragista, che interessi avrebbe a far puntare su di lei i riflettori? Quali interessi rischierebbe di scalfire Report? Di fatto Sigfrido non parla mai di certi argomenti; magari fa dei cenni, ma la sua trasmissione si occupa più che altro di scandali e malaffare nella cosa pubblica.
È più ovvio pensare che la mente dietro questo attentato sia squisitamente politica: di quale parte dell’arco parlamentare è difficile a dirsi, ma politica. Perché la politica, quella corrotta, quella criminale, è il bersaglio delle sue inchieste.
Ultima ipotesi, ridicola ma non per questo da scartare: qualche matto che, preso dal clima d’odio crescente nutrito dal Governo, ha dato di matto e si è riscoperto “esplosivo”. Ripeto: è un’ipotesi folle.
Di sicuro questo episodio ci catapulta indietro di decenni, agli oscuri anni Settanta, quando uccidere i giornalisti d’inchiesta era uno sport all’ordine del giorno e i morti si contavano a mazzi.
Parafrasando un pensiero di Edgar Allan Poe, il miglior modo di nascondersi è sistemarsi tra la gente, alla luce del giorno e in bella vista. Se volete trovare il colpevole, aprite gli occhi.
Di Aldo Luigi Mancusi
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