Domitilla e le altre, specchio infranto della crisi bestiale della sinistra moralista e velleitaria

Sono personaggetti che suppliscono alla latitanza del talento con la smodata presunzione, gente di buona famiglia, senza il problema di svolgere una occupazione che non coincida con le sue pretese.

Si fa un certo parlare, forse non abbastanza e non nel modo appropriato, di una qualche Domitilla, scrittrice e attivista, che avrebbe coperto di mazzate un fidanzato regista che poi l'ha querelata. Una di quelle storie di attrazione fatale, capricciosa, con lei, secondo accuse da giudicare, che sviluppa una morbosità pericolosa e si accanisce sfasciando la faccia e gli arredi di lui, attribuendogli donne in ogni dove e “porco ti ammazzo, me la paghi” con temporali di sputi, telefonate per così dire anonime, messaggi truccati, perfino uno intestato al sindaco fauno di Milano, il povero Sala che ormai lo tirano dentro per la qualunque. Se ne parla poco e male perché la cronaca scade in aneddotica, in ridicolo, mentre la faccenda se non grossa è per lo meno esemplare di certo milieu di sinistra: la Domitilla Shaula di Pietro dal nome evocativo essendo una militante dei diritti, quali? Per definizione, quelli delle donne, contro il patriarcato, il maschismo tossico, i narcisisti patologici maschi, il bianchismo occidentale e giù con il corredo completo del conformismo della sinistra ludica e consumistica che ha perso per strada la rappresentanza della classe operaia, il collegamento col sindacato, non più cinghia di trasmissione del partito verso le masse quanto antagonista in senso massimalista, utile ad effimeri scopi di rappresaglia.

La figuraccia, mortificante, grottesca della Domitilla paladina delle donne che mena l'uomo sottomesso è paradigmatica della evanescenza della sinistra. Non che a destra siano messi meglio, ma per il momento comandano e possono esorcizzare, possono nascondere i loro guai sotto la coperta del potere. La sinistra invece inanella scoppole elettorali e mortificazioni etiche, perfino culturali. E lo è, problema culturale, anche culturale, per la semplicissima ragione che questa sinistra ha perso tutti i suoi testimonial di una qualche autorevolezza, magari gonfiata, magari millantata, ma ancora indiscutibile, sostituite con le figurine di un presepe mortificante al limite dell'incredibile. Gli Zerocalcare, le Greta, le influencer da sbarco, le imprenditrici digitali che passano dall'Ambrogino d'Oro al processo sono tutto quello che rimane a una sinistra immatura, petulante, viziata, la cui segretaria, di rara inconsistenza, è divorata dal'ambizione visionaria, dall'alto dei suoi tracolli punta a fare il capo del governo e si circonda di consiglieri quali Chiara Valerio, una che come apre bocca è il fuggi fuggi generale. Proprio Valerio aveva invitato a un festival sulla questione femminile, sulla difesa delle povere donne vessate e schiacciate dal patriarcato – non da Hamas che vieta la musica, internet, la libera uscita, il volto, il sorriso alle donne: dal patriarcato italiano – uno di quegli apprendisti culturali, un divulgatore filosofico di quelli che con quattro formule da imbonitori sbarcano il lunario: non passavano 24 ore che il filosofetto femminista veniva condannato per pesanti molestie a una ex, definita nell'epiteto più carino “vacca da latte”.

Sono personaggetti che suppliscono alla latitanza del talento con la smodata presunzione, gente di buona famiglia, benestante, facoltosa quando non spudoratamente ricca, senza il problema di svolgere una occupazione che non coincida con le loro giocose, capricciose pretese: voglio fare l'attrice, la regista, il filosofo, la scrittrice, lo stupor mundi e il viatico è spacciarsi per militanti, attivisti, paladini delle cause perse e pretestuose. Faccette bellocce, molto curate, di chi passa del gran tempo al salone di bellezza, però in modo consapevole, inclusivo. Gente che senza il traino del familismo non lascerebbe traccia e invece finisce per rappresentare, suo malgrado, la crisi e profonda crisi della koinè politica di cui fa parte. Poi, certo, si potrà parlare di relazione tossica, che è uno dei grandi must della nostra società ipocrita, una di quelle definizioni passepartout che tutto risolvono, ma resta il fatto che questa pletora di Giovanne d'Arco, di Lancillotti di cartone è insopportabile nelle sue spocchie, nelle sue incoerenze, nelle sue inconsistenze morali, culturali. Bambini viziati che più crescono, più invecchiano e meno maturano; se mai conclamano le loro lacune nella pretesa che tutto sia loro dovuto. “Ti ammazzo, ti spacco tutto” è la logica teppistoide della sinistra fanciullesca quando non riesce a spuntarla. Senonché, come diceva il vero filosofo Mick Jagger, “non puoi sempre avere ciò che vuoi”. E buttarla sul patriarcato bianco tossico occidentale reazionario sovranista capitalista è peggio che patetico, è miserabile. Ma la sinistra sottoculturale dei fumetti militanti e dei filmetti da frigorifero, dei romanzetti incomprensibili, delle installazioni bambinesche non impara dalle sue miserie, non può, non sarebbe sinistra, convinta sempre di avere ragione, di non essere tenuta alla coerenza minima, di non doversi confrontare con la prova della realtà: come diceva quel “ciarlatano stupido e goffo” di Hegel, da cui risale l'idea dell'ideologia suprema, totalitaria, “se i fatti con coincidono con la teoria, tanto peggio per i fatti”. Come finirà la triste storia di Domitilla Shaula, della quale oggi tutti ci spiegano chi sia e dire che risulta “scrittrice, regista, pittrice, attivista, militante” e chi più ne ha più ne inventi, tanto basta percepirsi? Nell'oblio virtuoso e, tra un po', con una candidatura nella sinistra delle Lelle e delle Chiare. Ovviamente in compensazione, per avere subito lo sputtanamento non della realtà – tanto peggio per lei – ma di chi gliel'ha messa davanti come allo specchio di se stessa.