Il caso Marche, una regione di confine, terremotata, misconosciuta, dove la campagna elettorale scorre carsica
Crisi economica, endemica, sulla quale si è abbattuto il terremoto di 9 anni fa e infine gli sciagurati lockdown. L'affare della ricostruzione è enorme ma non basta un pnrr a scuotere una mentalità.
Si vota tra due settimane, ma nelle Marche la campagna elettorale non la vede nessuno, corre sottotraccia e per ragioni, per strategie inverse: a destra si sentono fiduciosi e confidano nel “cheta non movere”, che va bene così, a sinistra sembrano rassegnati e non sanno cosa “movere”, qui il campo largo non è neppure una ipotesi: l'arrogante Ricci, l'antipatico Ricci è stato calato dal PD ma anche senza inchieste erano pochi a volerlo votare, lui ha accentrato tutto su Pesaro e, nel disprezzo di tutte le Marche “sporche” che vanno da Loreto a San Benedetto, da Macerata ad Ascoli, e si è messo contro quelli di Ancona, il capoluogo di regione: “Piuttosto voto quell'altro”.
Quell'altro è lo scialbo Acquaroli, l'anonimo Acquaroli che passa per moderato ma lo è come lo sono gli esecutori; in regione a contare davvero è il meloniano Castelli, politico esperto, abile, che ha il controllo dei quindici, venti miliardi del pnrr da destinare alla ricostruzione e li fa pesare. Meloni è convinta, forse non a torto, bastino le sue apparizioni di tanto in tanto: “Marche Ohio d'Italia”. Frase surreale fino al demenziale, messale in bocca chissà da chi, ma le frasi elettorali passano e vanno. Le crisi però restano e qui la Crisi dura da 30 anni, parla di un comparto di microaziende – l'Ohio, appunto – scomparso quando la globalizzazione si è fatta dura e i duri marchigiani l'hanno cavalcata sul surf della finanza, come Della Valle, come Nero Giardini, mentre gli altri, i minimi, le famiglie mascherate da fabbriche, affondavano in strage, i cinesi che da terzisti diventano imprenditori e assumevano a cottimo i marchigiani, il cui benessere poco e male assimilato si esauriva da cui il ricorso all'usura, alle mafie calabrese, campana che qui ha il controllo dell'edilizia, anche quelle balcaniche, etniche. Ci sono posti decaduti, come Porto San Giorgio, dove gira di tutto, armi, passaporti, soldi da riciclare e il giro degli albanesi sorveglia il gioco d'azzardo che rimane, quello russo ha prosperato sulle puttane da sbarcare coi voli charter per vent'anni.
Poi sulla crisi endemica ha infierito il terremoto che ha cancellato l'entroterra per il quale non c'è futuro: piccoli magnifici desolati inutili borghi e villaggi immediatamente spopolati, i giovani in diaspora chi sulla costa chi fuor dai confini, i vecchi a morire di crepacuore e dopo 9 anni il vento canta la sua canzone di morte sugli eterni ponteggi, sui rattoppi per le chiese, le case, i teatrini. Infine la sciagurata politica repressiva, concentrazionaria in pandemia che ha stroncato anche la costa, dove non c'è quasi più commercio, dove il turismo è quasi solo nominale e quest'anno mai così in agonia, si salvavano giusto le eccezioni modaiole di Numana e Sirolo, nell'Anconetano dei ricchi, e San Benedetto del Tronto che è l'unica a saperlo fare il turismo.
Cheta non movere, che gli indicatori sono in crescita. Sì, ma è facile crescere da una situazione annichilita, da un contesto peggio che desolato. Le Marche tradiscono enormi problemi di innovazione, di sviluppo, hanno una immigrazione, come altrove, sbandata e violenta, il 2% del traffico della droga passa di qui, e sembra poco e non lo è in una delle Regioni minime, fra le più piccole, appena un milione e mezzo di abitanti; le Marche subiscono uno stato dei collegamenti, dei trasporti faticoso, macchinoso, lo scalo di Falconara pare una stazione del metrò e non è collegato bene, specie per le Marche “sporche”, il traffico ferroviario incide per il 2%, uniche stazioni per i “Freccia”, San Benedetto e Ancona, ma le coincidenze sono lunghe e quasi sempre saltano. Esistono, insistono almeno due luoghi infernali della immigrazione disintegrata che nessuno sa e vuole affrontare, bonificare: l'Hotel House a Porto Recanati e Lido 3 Archi a Fermo. Qui si punta a mungere appunto il pnrr che però non potrà bastare per tutto e non potrà bastare a sviluppare una mentalità diversa. Non dove negozi e locali chiudono a Ferragosto, come 50 anni fa, “perché anche noi abbiamo diritto a riposare”. Non dove le località turistiche alle 8 di sera si spopolano, dove se a una famiglia nasce un pargolo invece di rilanciare chiude bottega. Mentalità preimprenditoriali, dove si preferisce il passeggio e la raccolta delle olive agli investimenti virtuosi. Poi si potrà dire che si vive meglio così, ma non è vero e questa è una regione in molti sensi, in tutti i sensi depressa. Non vitale, non dinamica. Triste, un po' incarognita, di quella grettezza contadina, quel lamentarsi invincibile che era dei nonni, dei trisavoli. Ma cheta non movere, che va bene così, tanto a quell'altro, il Ricci, non lo votano e se passiamo di qua, in questa regione piccola, in crisi tra due crisi, quella circolare del nord e quella endemica del sud, magari ce la caviamo anche altrove. Poi chi lo sa, tutto può succedere, ma è un fatto che qui anche la campagna elettorale è moscia, morta, inabissata, per ragioni diverse ma esangue. Fatta di manifesti con le facce geneticamente immodificate dei candidati che qui chiamano “cuntadì”. Cheta non movere e niente si muove, qui siamo cauti, moderati, concreti, ma in cosa? Questa regione è leopardiana nella stanchezza, nel languore disilluso, più arreso che romantico. Però allegri, che nella decaduta Porto San Giorgio, dove persiste una bolla immobiliare assurda, alimentata da speculatori dalle ombre lunghe, al teatrino fanno la decaduta Miss Italia, per una settimana si sta al centro del mondo modaiolo o così almeno piace pensare, e poi qui c'è il mare, anche se il mare d'inverno è inservibile e d'estate, questa estate, pochi l'hanno visto, raggiunto, piaccia o non piaccia sentirsi dire la verità.