A Cernobbio va in scena l’ennesima rappresentazione pro Zelensky: la presenza del leader ucraino a cosa è servita? Ipocrisia assoluta
Se pure al Forum accettano di dover battere sul registro della retorica politica anziché provare a fare delle analisi, allora a che serve pagare fiori di soldi per la partecipazione. Del resto non sono nemmeno così sicuro che i nostri imprenditori siano tutti così intrisi di retorica
Il Forum TEH Ambrosetti di Cernobbio fa la doppietta della retorica: Zelensky e Mattarella. Il nostro presidente (intendo Mattarella) ha solfeggiato sull’alto valore morale dell’Europa e del suo essere baluardo contro le guerre. Lascio perdere: ormai siamo davvero alla grammatica onirica di fronte a un mondo che - ci piaccia o meno - sta cambiando passo. Macron ormai si è deciso, in barba all’unanimità della Ue, di mandare i suoi soldati a Kiev nel solco di una Nazione che tutte le volte che si è mossa fuori dai propri confini ha combinato solo in guai: domandate in Africa (non solo in riferimento alla Libia di Gheddafi) per avere conferme o smentite. La Francia vuole confermare di essere per l’Europa in politica estera e militare quel che la Germania è stata in economia: colei che dà le carte, in forza del suo status di unica potenza nucleare dell’Unione. Ora, se la Francia si muove in direzione dell’Ucraina e quindi entra in una dinamica di conflitto, è normale che Putin la tratti come alleata di Zelensky, ergo che la veda come un obiettivo militare. Era esattamente quel pezzo di escalation che avremmo voluto evitare, ma che - per le posizioni assunte in Europa - mi pare inarrestabile. Lo ripeto per l’ennesima volta: fintanto che l’Europa non capirà che Putin non è l’orco o il mostro ma è - al netto dei nostri ipocriti giudizi morali - il presidente della Russia, un paese che sviluppa relazioni internazionali come abbiamo visto prima in Alaska nel vertice con Trump (vertice che il presidente non può rinnegare: ormai lo ha fatto e lo ha consumato con un protocollo persino molto amicale in alcuni momenti).
E veniamo allora a Zelensky e alla sua partecipazione a Cernobbio. Serviva? No. E lo spiego. Questi appuntamenti, che proprio per le caratteristiche comuni a certi “club” impongono la segretezza degli incontri, avrebbe potuto analizzare le dinamiche geoeconomiche con maggiore distacco e valutarle per le ricadute a medio-lungo atterraggio. Invece no, gli organizzatori hanno preferito la retorica pacifista, tra l’altro a senso unico visto che si sono ben guardati dal fare le stesse valutazioni improntate sullo schema buoni/cattivi, aggressori/aggrediti, rispetto a quel che avviene a Gaza, che ovviamente in questa sponda del lago di Como resta il luogo del quale Israele e Netanyahu possono fare la macelleria che vogliono. Ipocrisia assoluta.
Eppure quando il Forum era sotto la piena regia di Alfredo Ambrosetti (verso il quale non ho mancato di fare polemiche per il troppo neoliberismo assunto negli anni duemila ma del quale ho altresì riconosciuto lungimiranza) poteva capitare che Arafat (capo dell’Olp) e Peres si dessero la mano: era il 1996. Ma Valerio Demolli non è Alfredo Ambrosetti, e l’allievo non ha per nulla superato il maestro (sotto ogni punto di vista).
I fatti sul tavolo rispetto al conflitto in Ucraina e rispetto alla Russia sono abbastanza nitidi se si guardano nel loro insieme. In primis va ricordato che Mosca, ancora oggi, è il secondo fornitore di energia per l’Europa e per quanto ne abbiamo ridotto la capacità di acquisto siamo ben lontani dal poter affermare che arriveremo a zero forniture entro il 2027. Scriveva recentemente Rampini sul Corriere: “C’è una narrazione dominante secondo cui l’Unione avrebbe chiuso i «rubinetti russi», e sia pure a costo di sacrifici avrebbe cancellato la propria dipendenza energetica da Mosca. E poi c’è la realtà. Le importazioni di energie fossili dalla Russia non sono mai cessate, tre anni e mezzo dopo l’aggressione all’Ucraina e l’annuncio delle sanzioni. L’anno scorso l’Unione europea ha versato a Putin ben 23 miliardi di euro, solo per comprare carburanti fossili. E quella cifra – ufficiale – non include le abbondanti importazioni europee che transitano da paesi terzi… come l’India (…) che si è specializzata anche nella raffinazione del greggio russo che rivende agli europei sotto forma di carburante per auto (…) Alla fermezza dei discorsi ufficiali corrispondono ambiguità e compromessi a non finire. Col risultato che il fronte degli 'amici di Kiev' non ha mai smesso di finanziare le armi di Putin”.
Aggiungo le riflessioni di Franco Bernabé sulla Stampa: “Il metano continuerà a rappresentare una fonte energetica molto importante fino alla fine del secolo e la Russia continuerà a essere uno dei primi produttori di metano mondiali. Quindi l'Europa non potrà accedere al gas russo nemmeno in uno scenario di risoluzione del conflitto attuale? Francamente la troverei una scelta autolesionista”.
Se pure al Forum accettano di dover battere sul registro della retorica politica anziché provare a fare delle analisi, allora a che serve pagare fiori di soldi per la partecipazione. Del resto non sono nemmeno così sicuro che i nostri imprenditori siano tutti così intrisi di retorica: molti di loro hanno aggirato le sanzioni e sono arrivati sul mercato russo triangolando con Paesi medio rigidi. E ci sono fior di multinazionali - anche su questo abbiamo abbondantemente scritto - che non hanno mai abbandonato la Russia.
Nonostante l'embargo, a inizio anno erano ancora quasi 2.300 le multinazionali presenti sul territorio russo. Secondo le stime del Kse Institute, ovvero la Scuola di Economia dell'Università di Kiev, un soggetto certamente non neutrale in questa vicenda ma certamente molto attento e interessato, nel solo 2023 le imprese straniere presenti in Russia hanno versato a Putin ben 21,6 miliardi di dollari che salgono a 41,6 considerando pure il 2022, cifra che equivale a poco meno di un terzo del bilancio militare stimato della Russia per il 2025, "il che – sottolinea lo studio del Ksde - evidenzia l'importante contributo finanziario che queste aziende straniere continuano a dare all'economia russa".
Si tratta di 808 società americane, 463 tedesche, 294 inglesi, 271 cinesi, 185 francesi, 181 giapponesi, 170 svizzere e - udite udite - 144 imprese italiane attive per lo più nel campo dei beni di largo consumo, del credito, dell'elettronica, dell'energia e del petrolio e dell'Information technology. Qualche nome? Eccoli: i maggiori contributori del bilancio russo sono i colossi dei beni di consumo Mars, Nestlé, e Procter & Gamble, Philip Morris , Japan Tobacco International, PepsiCo , Mondelez e Coca-Cola. E poi ci sono le banche: Citi o Raffeisen. C’è Big Pharma: Novartis, Astra Zeneca e la francese Sanofi.
Quanto alle aziende italiane, troviamo Unicredit (operativa nonostante l’annuncio di ritirarsi, come pure hanno detto di fare Pirelli, Tenaris, Lavazza e Menarini) e marchi come Barilla, Ferrero, De Cecco e Parmalat; ci sono i gruppi Marcegaglia, Mapei, De Longhi, Smeg, Campari, Recordati, Safilo, Benetton e Calzedonia. E - aggiungo - hanno fatto bene perché non mi risulta che l’Italia sia in guerra contro la Russia. O almeno non ancora.
Di Gianluigi Paragone