Patti prematrimoniali e natura del vincolo coniugale: perché la Cassazione non convince

"La recente pronuncia della Corte di Cassazione (n. 20415 del 21 luglio 2025), favorevole a un’apertura verso i patti prematrimoniali, segna un possibile cambio di rotta nella disciplina dei rapporti familiari. Tuttavia, proprio tale svolta impone una riflessione critica sulla compatibilità tra contratti di questo tipo e la natura giuridica del matrimonio.
Il matrimonio, in termini tecnici, è un negozio giuridico, ossia un atto di volontà di due soggetti dal quale derivano effetti giuridici. Non è, però, un contratto in senso proprio: i contratti rappresentano una specie del più ampio genus “negozio giuridico” e sono strutturati per soddisfare interessi reciproci, mediante un equilibrio tra prestazioni e controprestazioni. Il matrimonio, al contrario, non nasce per realizzare un interesse patrimoniale, ma per fondare una comunione di vita, basata sulla donazione di sé all’altro coniuge. È, forse, l’unico negozio in cui una persona si obbliga a servire l’altra gratuitamente, in una logica di reciprocità e gratuità che non si ritrova in alcun altro rapporto giuridico.
Questa gratuità, però, non equivale a irrilevanza economica. Il matrimonio ha, inevitabilmente, una dimensione patrimoniale — case, redditi, beni mobili e immobili ne sono coinvolti — ma non si stipula un matrimonio senza accettare di investire e rischiare su un progetto di vita comune, anche a costo di rinunce personali. Il vincolo coniugale è un munus, un compito reciproco: il o della prole. Al contrario, le clausole contrattuali, proprio perché fissate ex ante, definiscono condizioni, limiti e possibili cause di cessazione degli obblighi. Introdurre nel matrimonio un simile schema significa trasformarlo in un rapporto condizionato, in cui l’impegno di donarsi non è pieno ma subordinato a parametri giuridici di convenienza.
Se un coniuge sottoscrive un patto prematrimoniale che salvaguarda determinati beni dall’impegno familiare, ciò denota una riserva mentale: la volontà di “donarsi” è limitata e condizionata. Il matrimonio, invece, presuppone un impegno incondizionato e irrevocabile: il rapporto non può essere equiparato a un contratto a tempo indeterminato, risolvibile in base alla soddisfazione dei propri interessi.
Il paragone con la donazione è illuminante: nella donazione, il donante si impoverisce a favore del donatario; nel matrimonio, invece, il dono arricchisce una comunità di cui il donante stesso è parte. Per questo le prestazioni matrimoniali non possono essere oggetto di coercizione o modulazione contrattuale preventiva: non esiste un modello astratto di famiglia a cui legare obblighi patrimoniali ex ante.
In definitiva, il matrimonio non è stipulato per ricevere beni o servizi, ma per offrirli; non è finalizzato a durare fino a quando conviene, ma “finché morte non ci separi”. Introdurre logiche contrattuali preventive significa alterarne la natura, riducendolo a un accordo di reciproca assistenza e cura, privandolo della sua essenza di dono e di impegno senza condizioni". Lo scrive in una nota il Forum delle Associazioni Familiari.