Dal Canal Grande al Tirreno, quando il turismo non basta più: Venezia e Tropea, due casi emblematici di Overtourism all'italiana
Overtourism in Italia: da Venezia a Tropea, la sfida della convivenza. Due città, due modelli da ripensare
L’Italia è un Paese che vive (anche) di turismo, ma che sempre più spesso si trova a farci i conti. Non tanto per la scarsità dei flussi, quanto per la loro intensità, concentrazione e, soprattutto, gestione. Siamo la quinta
destinazione mondiale e ci si aspetta, secondo ISTAT, un +1,4% di presenze rispetto al 2024, pari 465 milioni di persone, di cui il 54% stranieri. Negli ultimi anni, assistiamo a un fenomeno crescente che coinvolge tanto le metropoli quanto i borghi più piccoli: l’overtourism, ovvero il sovraccarico turistico che genera squilibri economici, ambientali e sociali. Da nord a sud, casi come Venezia e Tropea dimostrano come l’overtourism non sia solo un problema di numeri, ma di modelli, regole e visioni strategiche. In entrambe le città esplode il conflitto tra residenti e visitatori, senza contare le diatribe sui social network, tra sostenitori delle esigenze economiche e difensori della qualità della vita. Ma se i contesti sono diversi, la tensione è analoga: possiamo permetterci un turismo che svuota ciò che riempie?
Venezia e il paradosso del lusso inaccessibile
Venezia è da tempo uno dei simboli mondiali dell’overtourism. Con i suoi 50.000 residenti a fronte di milioni di presenze annue, la città lagunare vive un paradosso permanente: sopravvive grazie al turismo, ma soffoca
per il turismo. La recente polemica nata dalle parole del Presidente dei Commercianti di Piazza San Marco, il gioielliere veneziano Setrak Tokatzian— che ha criticato i “turisti poveri”, accusandoli di camminare senza spendere e di “non lasciare nulla” — ha acceso un dibattito su scala nazionale. Le sue parole hanno messo in luce un nodo strutturale: che tipo di turismo vuole (e può sostenere) Venezia?
Molti residenti denunciano da anni una progressiva espulsione della vita locale dal centro storico: affitti alle stelle, attività commerciali tradizionali scomparse, supermercati sostituiti da negozi di souvenir, bar e
ristoranti dal pricing spesso inaccessibile. In questo contesto, è legittimo domandarsi: davvero è colpa del turista se non spende in una città dove un piatto di pasta può costare 40 euro?
D’altro canto, i commercianti lamentano una forma di turismo che si traduce in “flussi di passaggio”, senza valore aggiunto. Di qui l’idea — già in discussione da tempo — di introdurre un ticket d’ingresso dinamico,
ovvero un prezzo variabile per accedere alla città, in base al giorno, all’affollamento e al profilo del visitatore. Una misura che solleva questioni etiche, oltre che logistiche, ma che fotografa la tensione esistente: la città
non regge più, e chi ci abita cerca un equilibrio tra sopravvivenza economica e dignità sociale.
A fare da sfondo c’è una trasformazione antropologica della città, dove l’abitare viene progressivamente sostituito dal “transitare”. Venezia non è più solo un luogo da visitare: è diventata un’esperienza da consumare. E come tale, anche i suoi abitanti rischiano di essere considerati alla stregua di comparse o fornitori di servizi, invece che protagonisti di una comunità urbana viva.
Tropea tra caos e identità: il lato calabrese dell’overtourism
A centinaia di chilometri da Venezia, ma con problemi sorprendentemente simili, c’è Tropea. La cittadina calabrese, emersa negli ultimi anni come uno dei principali poli balneari del Sud Italia, è oggi al centro di un
confronto acceso sul modello turistico da perseguire. La polemica esplosa questa estate tra residenti esasperato dalla malamovida e operatori preoccupati da possibili limitazioni mostra la fragilità di un equilibrio
mai costruito davvero tra sviluppo e vivibilità.
Nei mesi estivi, il centro storico di Tropea si trasforma in un’arena a cielo aperto. Un territorio comunale di appena 3,5km quadrati, accoglie fino a 50.000 presenze giornaliere con locali pieni, musica ad alto volume,
gente fino a tarda note: uno spettacolo che richiama migliaia di turisti ma che rende difficile, se non impossibile, la convivenza con chi nel centro storico ci vive tutto l’anno. Le lamentele si moltiplicano, così come le denunce per rumori molesti, disordini e violazioni del regolamento comunale.
Nel frattempo, sui social si scatena il dibattito. Alcuni residenti parlano di “diritto al sonno e al rispetto delle regole”, mentre molti commercianti difendono i due mesi di alta stagione come unica occasione di
sostentamento in un territorio dove le alternative economiche sono scarse. “Non siamo Ibiza, ma nemmeno un ospizio”, scrive qualcuno; altri propongono ironicamente di trasferirsi nei paesi vicini per sopravvivere
all’estate. La tensione, in realtà, riflette una mancanza di pianificazione strategica: Tropea si è trovata, quasi suo malgrado, a gestire un boom turistico senza dotarsi di strumenti per regolarlo.
La sfida allora non è limitare il turismo, ma regolarlo in modo intelligente. Questo significa definire zone, orari e modalità di fruizione dello spazio urbano; creare percorsi alternativi; incentivare un’offerta culturale e
gastronomica che non sia solo “rumore e cocktail”; ma anche educare turisti e operatori a una cultura dell’accoglienza consapevole.
Due città, due modelli da ripensare
Venezia e Tropea, distanti geograficamente e per storia, sono oggi unite da un destino comune: l’urgenza di ripensare il turismo oltre i numeri. Accomunate non tanto dal volume dei turisti, quanto dall’assenza di una
regia unitaria e di un modello sostenibile. Senza un piano chiaro, le città rischiano di reagire con misure tampone, alimentando tensioni sociali e polarizzazioni dannose. La vera sfida oggi è ripensare il turismo non
come un’invasione da contenere, ma come una relazione da gestire, con rispetto, equità e lungimiranza.
L’overtourism non è solo una questione di affollamento, ma di modelli economici sbilanciati, di relazioni sociali interrotte, di spazi pubblici contesi tra chi vive e chi visita.
La sfida è costruire un equilibrio dinamico e sostenibile tra redditività e vivibilità, tra attrazione e appartenenza. Per farlo, servono politiche locali lungimiranti, ma anche una nuova cultura del viaggio e dell’ospitalità. Perché il turismo, se mal gestito, può impoverire le comunità che promette di arricchire.
Solo così, dal centro storico di una piccola cittadina calabrese in riva al Tirreno alle sponde del Canal Grande, l’Italia potrà continuare a essere accogliente senza smettere di essere abitata.
di Nicola Durante