Il nuovo sistema Milano è la mer*a lasciata da finanza e classismo; poi ci sono gli appalti e (forse) la corruzione

Milano non ha più nulla di ambrosiano, ha perso il suo senso solidale, ha smantellato il sogno di potersi riscattare dagli inciampi della vita. Milano l’hanno trasformata in una capitale cinica, falsa, ipocrita, sospesa tra gli emiri e i maranza

Non lo so se questa inchiesta che coinvolge Palazzo Marino, l’immobiliarista Manfredi Catella, l’archistar Boeri e vedremo chi altri, starà in piedi fino alla fine oppure se sarà una delle tante bolle che esplodono nei Tribunali: onestamente ne abbiamo viste abbastanza nei Tribunali e preferisco stare abbottonato, non per fanatismo garantista - non ne ho il pedigree - ma per nausea verso un potere giudiziario che può rovinare le altrui vite di innocenti senza pagare pegno (un tempo lo chiamavano ius vitae ac necis e attribuiva ai sovrani il diritto di vita o di morte sulle persone: persino a loro fu tolto in nome della ripartizione dei poteri; ai magistrati chissà come mai, invece, nella sostanza resta. Ma questo è un altro discorso; forse).

Torniamo a Milano. C’è un sistema corrotto nel senso di illegale? Lo vedremo. C’è un sistema corrotto in senso sociale, politico, culturale? Sì, eccome se c’è. E puzza come la merda dei cani che calpestiamo per strada per colpa di padroni cafoni che se ne fottono, tanto nella zona Ztl quanto nelle aree che via via si allontano dal centro: l’unica cosa che cambia sono i gadget con cui si portano in giro i cani (dai cappottini alle borse come cuccetta per andare in giro, passando per i passeggini); per il resto l’idea che la collettività debba farsi carico delle cacche è comune.

Ecco, il sistema Milano è questa merda qui. E a lasciarla per strada sono un po’ tutti e cambia a seconda della razza e della taglia del “cacante”: la politica (sinistra, destra, centro), la finanza, la borghesia, i nuovi cafoni. Milano non ha più nulla di ambrosiano, ha perso il suo senso solidale, ha smantellato il sogno di potersi riscattare dagli inciampi della vita. Milano l’hanno trasformata in una capitale cinica, falsa, ipocrita, sospesa tra gli emiri e i maranza.

Nulla di personale contro Beppe Sala ma egli rappresenta l’intercambiabilità dei ruoli: da manager di Pirelli e Telecom a direttore generale dell’allora sindaco Letizia Moratti, per poi arrivare alla scelta politica di candidarsi col centrosinistra. Sebbene piacesse anche al centrodestra, tant’è che in questi anni non la Lega del milanese Salvini, non Forza Italia berlusconiana e non la Fratelli d’Italia a trazione La Russa/Santanché hanno mai voluto - e ripeto voluto - costruire una alternativa forte, vera, autentica. Il mandato di Beppe Sala a Palazzo Marino non ha avuto resistenze e basta guardare chi era lo sfidante scelto dal centrodestra l’ultima volta: era un signore di cui oggi nessuno ricorda nemmeno il nome. Io stesso, che pure mi candidai arrivando terzo, devo guardare su Internet. (Ecco, si chiama Luca Bernardo).

Beppe Sala passa per essere il rappresentate delle nuove istanze: ecologista, apertissimo ai nuovi diritti lgbt+, orientato alle rivoluzioni digitali. E ovviamente attento ai progetti di riqualificazione, una espressione fantastica per dire cantieri, costruzioni, cemento (di quelli nuovi, green…). Sala è restato manager, il manager della Milano da smontare e rimontare come bolla di chi ha soldi, veri e falsi da pulire e far girare. È lo stesso sistema della Gintoneria: tutti sapevano ma nessuno se ne preoccupava.

Se si mettono in controluce i protagonisti di questa inchiesta ma anche i progetti delle giunte Sala si capisce che la nuova linfa è appunto la linfa di una Milano che non include ma esclude la gente veramente in difficoltà; e in questa operazione di switch ti vuole convincere pure di essere dalla parte giusta, perché Sala è il campione di questa nuova borghesia milanese ipocrita, che si preoccupa di mettere il cappottino rosa al cagnolino ma non se il cagnolino caga sul marciapiedi.

Sala è quello dei nuovi diritti di gay, lesbiche e dintorni o degli extracomunitari, ma della giungla che è diventata Milano non ha conoscenza: gli è bastata la nomina dell’ex capo della polizia Franco Gabrielli per mettere a segno il punto nella comunicazione. La politica fatta di glamour, di simboli, di immagini, di apparenza: le piste ciclabili “alla c…o” in corso Buenos Aires e altrove, il divieto di fumo in centro e cose così. In linea con la scelta della Schlein di rilasciare la prima intervista a Vogue e parlare dell’armocromista. Tutto si tiene nel cantiere della sinistra con la erre moscia.

Tutto apparenza in questa Milano senza più il suo cuore vero: la borghesia alla Boeri impegnata nelle battaglie che piacciono ai lettori di Repubblica, una borghesia raggrinzita, indurita dalla sua incapacità di sapersi confrontare perché tanto hanno ragione sempre loro. E così una bella mattina dalla Procura arrivano arresti e avvisi di garanzia esattamente su quelle trasformazioni che hanno messo Milano fuori dallo spirito ambrosiano e dentro i fondi del Qatar, fuori dai cortili e dalle ringhiere e dentro cantieri ecosostenibili e soprattutto sostenuti da petroldollari (se va bene).

A proposito. Siamo sempre stati convinti di Milano capitale delle finanza, adesso che il romano Caltagirone scorrazza nei salotti buoni un tempo milanesi o triestini e lo fa pure con la benedizione padana di Giorgetti e Salvini?

di Gianluigi Paragone