"Essere o non essere Carabiniere": la domanda che si pone ciascun carabiniere quando deve assolvere, senza se e senza ma, alla sicurezza del cittadino e dello Stato
E quando il Carabiniere sceglie di essere Carabiniere, come sicuramente avviene nel 99,9% delle varie esigenze operative, ecco che scattano i guai se qualcosa non va come vorrebbe il mainstream
Le decisioni adottate dal PM sul caso della morte di Ramy Elgaml, secondo cui anche il Carabiniere alla guida dell’auto di servizio sarebbe responsabile della sua morte per aver tenuto una insufficiente distanza di sicurezza dal motomezzo inseguito, rispetto a quella che sarebbe stata indicata dai periti, ha riportato immediatamente alla mia mente il saluto di commiato di fine corso rivolto dal Generale Pietro Oresta ai neo promossi marescialli al termine del lungo corso formativo, immediatamente prima di essere avviati ai reparti operativi.
Un fatto completamente diverso da quello del caso Ramy, ma che è strettamente connesso al primo perché attiene alla preparazione psicologica e professionale che sta alle fondamenta dell’essere Carabiniere! "Essere o non essere Carabiniere" è la domanda che si pone ciascun carabiniere quando deve affrontare l’ignoto davanti a situazioni imprevedibili come quella del caso Ramy o dell’eroe Carlo Legrottaglie, per assolvere, senza se e senza ma, alla sicurezza del cittadino e dello Stato.
E quando il Carabiniere sceglie di essere Carabiniere, come sicuramente avviene nel 99,9% delle varie esigenze operative, ecco che scattano i guai se qualcosa non va come vorrebbe il mainstream.
E quello che non torna però è il provvedimento adottato nei confronti del Comandante della Scuola da parte del Comando Generale poiché reo di aver parlato a braccio ai Suoi Allievi Carabinieri, senza a mio giudizio aver violato alcuna norma etica e istituzionale, che mi ha lasciato sgomento.
Perché? … e perché sul caso Ramy il silenzio assoluto è stata la costante, mentre sul caso di un discorso da padre di Famiglia di un Generale è avvenuto un terremoto?
Il Generale Oresta è stato considerato reo sol per aver salutato quella Famiglia di uomini forgiati al sacrificio, anche dal suo esempio di Comandante, senza aver ulteriormente ricordato loro, in quel particolare, significativo e finale momento di servizio presso la Scuola di Firenze, la sintesi dei valori seminati in quell’istituto di formazione nei duri anni di corso, trascorsi negli studi professionali e nelle fasi di addestramento operativo, in cui ogni giorno ogni allievo è stato pungolato dagli istruttori della scala gerarchica a fare propri e, quindi, a sedimentare i due valori secolari e fondamentali della tradizione dell’Arma dei Carabinieri, propedeutici per affrontare con alto senso del dovere gli impegnativi compiti del servizio attivo, ovvero:
- sentirsi parte di quella Famiglia, costituita ormai da decenni da oltre 100 mila uomini e donne che si prenderà cura del benessere psichico di ogni suo appartenente, che valorizzerà i suoi valori morali, che salvaguarderà le sue aspettative e lo motiverà a crescere, a vivere, a lavorare in ambienti mai conosciuti che diverranno quasi immediatamente familiari come se fossero da sempre parte della vita personale, grazie ai colleghi e ai superiori che lo accoglieranno in ogni sede di servizio come se fosse un figlio o un fratello;
- non dimenticare mai che, per perpetuare la grandezza, l’efficienza, la considerazione guadagnata dall’Arma, in oltre due secoli di storia, ogni Carabiniere di questo terzo millennio avrebbe dovuto agire come i predecessori del 19 esimo e 20 esimo secolo, sentendo l’onere di sentirsi in servizio 24 ore al giorno e non solo per le ore contrattualizzate.
Se ci si è dimenticati di questi due basilari valori fondanti la dedizione, il sacrificio e persino l’eroismo spinto fino al supremo sacrificio della vita, che è stato instillato in ciascun carabiniere, perseguendo il “Regista pro tempore” della formazione istituzionale dell’Allievo Carabiniere Maresciallo di ultima generazione, che non ha fatto altro, nel momento in cui è stato censurato, da perfetto militare, che uniformarsi, ad un altro storico motto dei Carabinieri: “uso ad obbedir tacendo”, come si è potuto constatare, scattando sugli attenti e assecondando il provvedimento adottato nei suoi confronti, rimango esterrefatto nel constatare, invece, il silenzio e l’immobilismo del Comando Generale per il caso Ramy, come in tutti quei casi in cui sarebbe da considerarsi atto dovuto, per i noti e richiamati valori etici, difendere, senza se e senza ma, l’operato del personale che sulla strada per dimostrare di essere un perfetto Carabiniere, come da addestramento ricevuto, rischia la propria vita per affermare che lo Stato vigila sulla sicurezza dei cittadini.
Ma il “ma” esiste e lo abbiamo constatato.
E allora io posso solo dire che quel generale, il Generale Pietro Oresta l’ho conosciuto nel 1972 quando era un ragazzino e io ero un giovane tenente di 22 anni appena uscito dalla Scuola di Applicazione (oggi Scuola Ufficiali) e presi servizio al mitico Battaglione Carabinieri Paracadutisti oggi 1^ Reggimento Carabinieri paracadutisti “Tuscania” e suo padre, col grado di Maggiore, ne era il Comandante.
Ebbene questo ragazzo, oggi generale, ha messo in atto l’arte del comando nei confronti di quegli Uomini speciali e oggi anche di quelle Donne speciali che sono i “Carabinieri”, sulla base dell’educazione e dell’esempio ricevuti dal Padre, il Generale di C.A t.SG Vincenzo Oresta, che assurgerà a Capo di Stato Maggiore del Comando Generale e che, da Maggiore, è stato il mio primo Comandante operativo ed era considerato dai tutti noi Carabinieri Paracadutisti non solo il Comandante con la “C” Maiuscola, ma anche un secondo padre.
Dorma sonni tranquilli, Signor Generale Pietro Oresta, rimarrà nei cuori di tutti i Suoi Allievi Marescialli e in tutti coloro che hanno avuto l’onore di conoscerla ed apprezzarla.
Di Gianfranco Petricca, generale dei Carabinieri in congedo e Senatore della Repubblica della XII Legislatura