Lavoro, continuano le Grandi Dimissioni: nel 2024 in circa 2 milioni hanno lasciato il proprio impiego, 2022 erano 2,2 mln, nel 2021 1,9 mln
Rosario De Luca, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro: “Non è un segnale negativo, anzi. I giovani oggi difendono il proprio benessere. Prima si entrava in un’azienda e ci si restava fino alla pensione. Ora non è più così. Non torneremo indietro”
Il fenomeno delle “Grandi dimissioni”, esploso a livello globale dopo la pandemia, continua a farsi sentire con forza anche in Italia. Secondo le elaborazioni della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro su dati INPS, nei primi mesi del 2024 oltre 1,2 milioni di lavoratori a tempo indeterminato hanno rassegnato volontariamente le dimissioni, mentre le dimissioni totali raggiungerebbero circa 2 milioni. Il trend rimane stabile dal periodo post Covid, con 1,9 milioni registrate nel 2021 e 2,2 milioni registrate nel 2022. Si registra una lieve flessione rispetto al 2023, (2 milioni e 152mila) ma i numeri restano alti, segno che non si tratta più di un'eccezione, bensì di una tendenza strutturale.
Lavoro, continuano le Grandi Dimissioni: nel 2024 in circa 2 milioni hanno lasciato il proprio impiego, 2022 erano 2,2 mln, nel 2021 1,9 mln
Un tempo il traguardo era il “posto fisso”, oggi il desiderio è un’esistenza più equilibrata. Si tratta di un cambiamento culturale profondo, come osserva Rosario De Luca, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro: “Non è un segnale negativo, anzi. I giovani oggi difendono il proprio benessere. Prima si entrava in un’azienda e ci si restava fino alla pensione. Ora non è più così. Non torneremo indietro”.
Le nuove generazioni mettono in cima alle priorità la conciliazione tra lavoro e vita privata, la salute mentale, e condizioni ambientali e organizzative più sostenibili. Cambiare azienda non è più vissuto come un rischio, ma come una scelta ponderata per migliorare la qualità della vita. E non si tratta solo di stipendi più alti: contano anche il tempo libero, la facilità nel parcheggiare, benefit aziendali come una polizza sanitaria o la possibilità di lavorare in smart working.
Anche il mercato del lavoro si sta trasformando. In settori considerati “stabili”, come l’informatica o la metalmeccanica, i lavoratori non esitano più a voltare pagina. Lo conferma Marino Mazzini della Cisl di Bologna:
“Le imprese ti formano e dopo un anno e mezzo te ne vai. I giovani guardano anche alla formazione offerta, oltre allo stipendio”.
Ma il cambiamento ha anche un lato oscuro. Solo il 10% dei lavoratori italiani si dichiara soddisfatto del proprio ambiente di lavoro, secondo un’indagine del Politecnico di Milano. È in crescita anche il numero dei quiet quitter, ossia coloro che si limitano a svolgere il minimo indispensabile. Un atteggiamento che ha ripercussioni sulla produttività, già storicamente bassa nel nostro Paese rispetto alla media europea.
I settori più colpiti da questa “fuga” sono commercio e turismo, dove si sommano turni irregolari, festività lavorate e retribuzioni modeste. Diego Lorenzi della Fisascat Cisl parla apertamente di una “Grande Fuga”: “C’è chi è disposto a guadagnare meno pur di vivere meglio. Si fugge da modelli organizzativi ingestibili”.
Ancora più critica è la situazione nella sanità pubblica. Ogni anno circa 3.000 medici ospedalieri lasciano volontariamente il Servizio Sanitario Nazionale. Le cause principali sono carichi di lavoro insostenibili, turni pesanti e assenza di equilibrio tra vita e lavoro. E il presidente Carlo Palermo è netto: “Non si vede, al momento, nessuna inversione di tendenza”.