Il lavoro schiacciato tra i referendum e l’intelligenza artificiale, tra le lotte interne nel Pd e la Rerum Novarum aggiornata da Leone XIV
Il lavoro sarà la più grande prova che il governo dovrà affrontare perché è il caleidoscopio di luci e ombre, di riformismi traditi e precariato indegno, trasformazioni e incrostazioni.
Per far parlare del referendum ogni polemica va benissimo e quindi capisco benissimo l’attacco che il fronte referendario composto dal trio Schlein, Landini e Conte ha sferrato contro il presidente del Senato Ignazio La Russa, il quale - da buon politico navigato - ha regalato uno spot elettorale in vista del voto dell’8 e del 9 giugno.
Lo sapeva benissimo, il “vecchio” Ignazio che le sue parole circa l’impegno contro il raggiungimento del quorum avrebbe provocato la solita cascata di reazioni e quindi una paginata di politica dove si sarebbero richiamati i cinque quesiti. Così come sapeva che il dibattito si sarebbe infuocato soprattutto nel campo del centrosinistra, con la profonda spaccatura tra i riformisti o quel che ne rimane e la leadership del partito. Tant’è che Renzi si è infilato nel solco e ha evidenziato la cosa.
Domenica sera, partecipando alla trasmissione condotta dalla Barra e da Poletti, ho evidenziato che “giocare” sul quorum fa parte della partita referendaria in quanto i referendum abrogativi - e solo in quei casi - sono l’unica tornata elettorale dove la mancata partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto più uno inficia il test. Lo ripeto, sono stati i padri costituenti all’articolo 75 a prevedere questa particolarità. E c’è un motivo: abrogare una legge è compito del potere legislativo, cioé di quel Parlamento dove il popolo sovrano si esprime attraverso i propri rappresentanti. Tuttavia con i referendum abrogativi si fornisce al popolo sovrano una ulteriore leva, con la eccezionalità di renderlo valido solo se vi partecipa la maggioranza degli aventi diritto al voto più uno e i sì alla modifica raccolgono la maggioranza.
E qui arriviamo quindi alla direi esplicita modalità di battaglia referendaria attraverso il non raggiungimento del quorum, cioé l’astensione che in tal caso diventa una terza opzione di voto, per non dire la seconda. Se infatti il quesito non scalda animare una campagna elettorale sul No è fatica inutile; diversi sono i casi in cui il tema ha grande presa sull’opinione pubblica e allora le posizioni diventano esplicite. Giocare sull’astensionismo è anche un rischio, perché laddove la partecipazione fosse da standard costituzionali e non hai contrastato i promotori ecco che perdi. Il famoso “Andate al mare” di Craxi rispetto al quesito Segni sulle preferenze segnò l’inizio della fine della Prima Repubblica. Mentre lo stesso Craxi vinse il referendum sulla scala mobile esattamente trent’anni fa mettendoci la faccia.
Veniamo così al merito delle questioni condensate nei quesiti di giugno. Sempre durante la trasmissione di domenica Marco Revelli, sociologo di profonda cultura sindacale, richiamava la delicatezza del momento rispetto ai salari, alle morti sul lavoro e altri temi di indubbia rilevanza. Quel che non mi convinceva affatto - e gliel’ho detto - era l’impatto dei referendum rispetto ai punti deboli delle politiche del lavoro degli ultimi anni. Sono d’accordo che la questione dei salari è il vero elefante nella stanza ma non è nei referendum che si trova la pars costruens.
Il lavoro sarà la più grande prova che il governo dovrà affrontare perché è il caleidoscopio di luci e ombre, di riformismi traditi e precariato indegno, trasformazioni e incrostazioni. Al di là delle stime per quanto va attribuito a questo governo il merito di aver allineato dei buonissimi dati sull’occupazione, nelle viscere del paese si vive uno stress crescente: figli che non trovano lavoro, adulti che hanno paura di perderlo, salari e stipendi offensivi, imprenditori che cercano invano manodopera specializzata, stranieri che servono in fabbrica ma che non si vogliono quando le fabbriche chiudono. Poi le partite iva, un campionario di creatività che si scontra con la stabilità minima. E poi ancora le banche che ballano sui prestiti concessi attraverso prestiti che paiono un set di fuochi artificiali, nel senso che aumentano silenziosamente coloro che stanno saltando perché non ricrescono a stare dietro alle rate.
In mezzo a tutto questo l’altro macigno, quello di cui ha parlato papa Leone XIV: l’intelligenza artificiale. "Papa Leone XIII, infatti, con la storica Enciclica Rerum Novarum affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”. Quando finiranno gli innamoramenti per Musk e torneremo a comprendere le potenzialità dell’innovazione e tecnologica ma anche la pesante minaccia di controllare mercato e società, non sarebbe male se si discutesse a lungo e in ogni aspetto della questione.
di Gianluigi Paragone