09 Maggio 2025
Prevost (fonte LaPresse)
Altro che Spirito Santo. Il Conclave che ha eletto Robert Prevost è stato una guerra fredda a colpi di sorrisi finti, pizzini diplomatici e telefonate "pastorali" degne di un film di Sorrentino.
Nella prima votazione, era evidente che il nome forte era Parolin: papabile dai giornali e con dietro buona parte dell’apparato sinodale. Ma appena le schede hanno cominciato a impilarsi sul suo nome, è partita la controffensiva. Colpito e affondato.
Nel frattempo, i sostenitori di Tagle si sono resi conto che il filippino non spostava più voti: troppo emotivo, troppo francescano, troppo... debole. Non un capo, ma un’icona. Affondato pure lui.
È in quel vuoto che ha iniziato a salire il nome di Prevost. Sussurrato, mai imposto. Profilo basso, ma curriculum curiale impeccabile. Americano, ma con pedigree latino. Gesuita inside, ma agostiniano in abito. E soprattutto: non faceva paura a nessuno. Un “papa parcheggio”? Forse. Ma in Vaticano, anche i parcheggi hanno sorprese.
Decisiva – dicono le malelingue – una cena riservata la scorsa settimana a casa di un cardinale tedesco influente, dove tre blocchi (curiali, americani e qualche africano stanco di essere ignorato) hanno trovato l’accordo: “Meglio Prevost oggi che una guerra aperta domani”. Tanto che già sabato scorso potevamo anticipare: "Bruciato Parolin sarà la volta di Prevost".
Il resto è andato da solo. Zuppi ha tenuto i suoi, ma non ha più sfondato. Tagle si è ritirato con eleganza. E Prevost, il cardinale che nessuno odiava, è diventato papa.
In Curia, qualcuno già scommette: “Non durerà dieci anni, ma farà in tempo a blindare la linea Bergoglio in salsa più tiepida”. E mentre si levava la fumata bianca, in un angolo del cortile di San Damaso, un monsignore con voce rauca ha commentato a denti stretti: “Abbiamo eletto un amministratore delegato, non un visionario. Ma almeno stavolta non ci scappa il terremoto”.
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