Morte Walter Ascari 27 aprile 1945, partigiani lo sequestrano, lo seviziano appeso ad un albero e lo tagliano in 2 da vivo con motosega
Portato in aperta campagna, Ascari venne pestato selvaggiamente con bastoni e seviziato con strumenti improvvisati. Il suo corpo fu infine gettato in una porcilaia
Sono passati 80 anni, ma alcune ferite restano aperte, silenziate dalla narrazione ufficiale. Tra le ombre più tragiche della Resistenza, spicca la vicenda brutale di Walter Ascari, cittadino benestante, né fascista né comunista, che cadde vittima della violenza incontrollata nei giorni successivi alla Liberazione la notte del 27 aprile. Alcuni partigiani appartenenti alla Brigata Garibaldi si introdussero nella sua abitazione, lo derubarono e portarono via viveri e salumi. Ascari fu poi sequestrato e condotto in aperta campagna, nei pressi di Montefiorino, dove iniziò per lui un calvario disumano culminato con il taglio in 2 del corpo da vivo con una motosega da boscaiolo.
Walter Ascari morto il 27 aprile 1945, sequestrato, seviziato e tagliato in 2 da vivo dai partigiani
In una delle tante notti che avrebbero dovuto segnare la rinascita dell’Italia libera, si consumò invece un crimine agghiacciante, rimasto sepolto nella memoria negata della nostra storia. La vittima fu Walter Ascari, un cittadino benestante, estraneo alla militanza politica, ma colpevole – agli occhi di chi impugnava la giustizia come vendetta – di non essere comunista.
Quella sera, un gruppo di partigiani appartenenti alla Brigata Garibaldi si introdusse nella sua abitazione. Razziarono viveri, denaro e salumi, quindi lo sequestrarono. Non era un gerarca fascista, né un collaborazionista. Era un uomo agiato, e ciò bastava a identificarlo come “nemico di classe” nella logica sanguinaria che accompagnò, in molte aree dell’Emilia e della Toscana, le cosiddette “epurazioni popolari”.
Portato in aperta campagna, Ascari venne pestato selvaggiamente con bastoni e seviziato con strumenti improvvisati. Le ferite riportate furono devastanti. Ma la sua agonia non era ancora finita. In una scena che sembra uscita da un incubo, fu legato mani e piedi, sospeso tra un ramo e il terreno, e infine tagliato in 2 con una sega da boscaiolo. Da vivo.
Il suo corpo fu infine gettato in una porcilaia. Quando fu ritrovato, era ormai irriconoscibile. Nessun processo. Nessuna responsabilità accertata. Nessuna memoria ufficiale. Solo l’oblio.
Questa vicenda, come tante altre rimaste taciute o minimizzate, solleva interrogativi scomodi sul dopoguerra italiano. La Resistenza, spesso celebrata in maniera univoca, fu anche teatro di atrocità commesse in nome di un’ideologia che, in certi casi, si trasformò in odio cieco. Non si tratta di revisionismo, ma di verità: la storia non può essere scritta solo dai vincitori.