Omicidio Saman Abbas, in appello confermato ergastolo per i genitori, pena aumentata per i cugini ora in carcere a vita e 22 anni per lo zio
Ergastolo per i genitori e i cugini, precedentemente assolti in primo grado, di Saman Abbas. Aumentata la pena anche per lo zio Danish, da 14 a 22 anni di reclusione
La Corte d’appello ha confermato l’ergastolo ai genitori di Saman, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, già condannati in primo grado. Ma la vera svolta arriva per i 2 cugini Nomanulhaq Nomanulhaq e Ikram Ijaz: assolti in primo grado, ora sono stati condannati all’ergastolo. Lo zio Danish Hasnain, ritenuto il principale esecutore materiale del delitto, ha visto la sua pena aumentare da 14 a 22 anni di reclusione.
Ergastolo a genitori e cugini, 22 anni allo zio Danish, la decisione della Corte sull’omicidio di Saman Abbas
La Corte d’Assise d’Appello di Bologna ha scritto un capitolo definitivo nell’omicidio di Saman Abbas, la 18enne pachistana uccisa nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 2021 a Novellara, in provincia di Reggio Emilia. Il verdetto recita: 4 ergastoli e una condanna a 22 anni di carcere, con il riconoscimento delle aggravanti di premeditazione e futili motivi.
La Corte d’Appello ha quindi accolto le richieste della Procura generale, che aveva invocato la massima pena per tutti gli imputati, ritenendoli corresponsabili del brutale assassinio della giovane, colpevole – secondo i familiari – di voler vivere liberamente, rifiutando un matrimonio combinato.
"La sentenza di condanna emessa dalla Corte d'Assise d'Appello di Bologna segna un momento di svolta, non solo dal punto di vista giuridico, ma soprattutto sul piano sociale. Con questa decisione, la Corte riforma radicalmente la pronuncia di primo grado, riconoscendo la responsabilità di tutti i familiari imputati per il femminicidio di Saman Abbas e compie un atto di giustizia atteso e necessario", ha dichiarato l'avvocata Maria Teresa Manente, responsabile dell’Ufficio Legale dell’associazione Differenza Donna.
"È una sentenza che ripara, almeno in parte, alla profonda vittimizzazione secondaria subita da Saman Abbas. In primo grado, infatti, nonostante fosse lei la vittima di un delitto brutale, è stata la sua vita a essere messa sotto processo: le sue scelte, il desiderio di libertà, la determinazione ad autodeterminarsi fuori dalle regole imposte da una cultura patriarcale sono state interrogate, distorte, svuotate di legittimità", ha aggiunto Manente.
Il verdetto è giunto al termine di una lunga udienza durante la quale ha preso la parola Sheila Foti, avvocata difensore di Shabbar Abbas. I legali della difesa avevano chiesto l’assoluzione, puntando sulla mancanza di prove dirette, ma la Corte ha ritenuto sufficienti gli elementi raccolti nel corso dell’indagine.