Genova, scommesse clandestine e usura ai giocatori indebitati, Dda chiede 31 anni per i boss della gang
Tra le vittime agganciate nelle sale scommesse regolari, spunta il caso di tre fratelli proprietari di diversi locali in Liguria: in mano agli strozzini si sono rovinati
Trentuno anni e sei mesi. È la richiesta di condanna complessiva emessa dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia, Federico Manotti, nel processo che vede alla sbarra - con il rito immediato - Roberto (detto Chicco) Sechi, Giovanni Bizzarro e Fabio Praticò. I tre sono accusati di aver organizzato, e gestito, un giro di scommesse clandestine attraverso Telegram e Whatsapp, e di aver applicato tassi usurari (anche del 150%) a chi puntava su incontri di calcio e tennis, secondo le quote che gli venivano comunicate in privato sui social. Ma poi perdeva tutto. Manotti ha chiesto 13 anni e 6 mesi per Bizzarro, 12 anni per Sechi e 6 anni per Praticò (la sua posizione è più defilata). La sentenza è attesa per il 19 maggio.
L’indagine della Dda, resa difficile dalla scarsa collaborazione delle vittime (solo una persona si è costituita parte civile), è partita dopo la scoperta da parte degli inquirenti di una famiglia di ristoratori che era stata rovinata dal vizio del gioco di uno dei fratelli (socio dell’attività). Nonostante gli imprenditori inizialmente si fossero trincerati dietro a “non so” e “non ricordo”, la squadra mobile era riuscita a risalire a Sechi, che nella banda si era ritagliato un ruolo centrale grazie alle sue conoscenze nella malavita. Anche se il leader era Bizzarro, come testimoniano i capi di imputazione che gli vengono contestati, Sechi era quello che doveva spaventare i giocatori quando questi non riuscivano più a pagare i debiti. Lo faceva sbandierando la sua amicizia con Gaetano Fiandaca, pregiudicato per mafia che, dal 2019, si trova in semilibertà. In particolare l’interesse di Sechi si era concentrato sui circoli, dove voleva prendere il controllo delle bische. Oppure incassare una percentuale cospicua dei proventi. L’unico vincolo era di non infastidire gli amici mafiosi. Durante la requisitoria il pm ha svelato che sono decine i genovesi che si sono rovinati giocando nelle due chat chiamate “Biz-Ste” e “Tranzillo”, della cui esistenza gli scommettitori venivano a conoscenza frequentando i centri autorizzati. Il vantaggio di puntare di nascosto era quello di utilizzare soldi da riciclare (come quelli non dichiarati al Fisco) e, nel caso di vincita, incassare somme che potevano essere occultate. Nei conti all’estero, per esempio. Tra le vittime agganciate nelle sale scommesse regolari, lampante è il caso di tre fratelli ristoratori, proprietari di diversi locali a Genova e provincia. Uno di loro, ludopatico al punto da essere costretto ad andare in una clinica in Veneto per disintossicarsi dal gioco, aveva accumulato un debito di centomila euro. Quelli del clan, non trovandolo più, erano andati a battere cassa dai familiari. Terrorizzandoli. Altro caso: il gestore di un ristorante del Levante, con dehors su uno degli scorci più suggestivi della città. Nel locale era praticamente uno di casa quello che la Direzione distrettuale antimafia ritiene essere la figura di spicco dell’organizzazione dedita all’usura: cioè Bizzarro.