Savona, bombe sulla petroliera Seajevel, dopo i sommozzatori adesso interviene anche l'antiterrorismo
Tra le piste seguite quella di un’offensiva legata all’embargo sul petrolio russo a seguito della guerra. Più che un attentato però sembra un avvertimento
Dietro le esplosioni avvenute sulla petroliera Seajewel, in rada fra Savona e Vado, probabilmente c'è un attacco volontario. «Forse un avvertimento», più che un vero e proprio attentato finalizzato all’affondamento dello scafo. E prende corpo la pista d’un fatto legato in qualche modo all’embargo sul petrolio russo, conseguenza dell’occupazione dell’Ucraina. L’inchiesta sulle deflagrazioni verificatesi nella notte fra venerdì e sabato, che hanno aperto uno squarcio d’un metro e mezzo sullo scafo e causato una moria di pesci nelle acque circostanti, registra in primis aggiornamenti sul fronte giudiziario. Al fascicolo aperto dal procuratore capo di Savona Ubaldo Pelosi, che ipotizza allo stato l’addebito di «naufragio», si è aggiunto quello per ora conoscitivo iscritto da Nicola Piacente, che guida i pubblici m ministeri a Genova, mentre del coordinamento fra le diverse città si occuperà il procuratore generale Mario Pinelli.
Non è un passo casuale, quello mosso nel capoluogo ligure. Perché Genova è titolata a indagare laddove si profilino aggravanti di mafia e terrorismo, e gli inquirenti non escludono che la verità sui fatti di Savona possa trovarsi in a qualche modo a metà strada. Non solo. Sul caso da giorni lavora pure la nostra intelligence: gli 007 hanno visionato alcune registrazioni subacquee, realizzate durante le immersioni svolte prima da specialisti privati incaricati dalla compagnia armatrice, quindi dai militari del Comsubin. E ritengono che lo squarcio sia tropo piccolo per essere stato provocato da un ordigno ad alto potenziale, finalizzato al compimento d’un disastro.
Seguendo la pista del gesto doloso ci si chiede ora se l’ordigno sia stato posizionato dal porto di partenza oppure a Savona, quando la nave ha attraccato alle boe Sarpom. La seconda ipotesi parrebbe più probabile e si sta verificando la presenza di videocamere, anche private, al fine di rintracciare movimenti sospetti successivi all’ingresso della petroliera in rada. L’imbarcazione, pur non risultando formalmente sotto sequestro, è ancora in mare e il petrolio non è stato scaricato: sarà analizzato dagli inquirenti, per capire di quale prodotto si tratti e focalizzarne al meglio la provenienza. Si sta lavorando alla messa in sicurezza e lo scafo sarà poi portato a secco, per intervenire con ulteriori riparazioni e rilievi utili alle indagini.