Genova, in tribunale il frate perseguitato da 10 anni dalla ex parrocchiana racconta la sua vita da incubo
La chiesa di Albaro, dove era stato costretto a trasferirsi dopo Padova e Bologna, aveva messo il blocco alle chiamate. Tra i testimoni l'arcivescovo Tasca
Un incubo senza fine quello del frate di 55 anni che ha raccontato in aula i dieci anni di persecuzioni da parte della parrocchiana che si era invaghita di lui. Neppure una misura cautelare e una condanna per stalking da parte del tribunale di Padova hanno fermato la settantunenne in questi anni. Per questo il religioso da Padova si era trasferito a Bologna e poi a Genova. Ma anche qui la donna, nel 2021 ha trovato il recapito e ha cominciato a chiamare insistentemente, “dalle 12 alle due di notte ogni giorno” ha raccontato un testimone oltre a essersi presentata in parrocchia per incontrarlo. I frati si sono trovati infine costretti a installare un centralino con un blocco delle chiamate in entrata nel convento di San Francesco di Albaro, a Genova.
“Lo abbiamo messo nell’ottobre del 2023 – ha spiegato padre Leopoldo – e via via abbiamo dovuto chiamare gli operatori per aggiungere i numeri da cui la donna chiamava. Quest’ottobre appena è scaduto il contratto sono ricominciate le chiamate senza sosta finché non lo abbiamo rinnovato quest’autunno”. Anni di persecuzioni senza sosta, con telefonate ma anche con messaggi su fb con i quali accusava il frate di averla violentata. Addirittura aveva creato due profili falsi su Facebook con il nome del diacono dove lui diceva di essere un pedofilo e di violentare le donne. Calunnie che hanno portato alla donna già a una precedente condanna, ma che ha sconvolto profondamente la vita del religioso che ha anche pianto davanti al giudice. “Sono anche finito diverse volte al pronto soccorso per i tremori e gli stati d’ansia – ha spiegato ricordando questi dieci anni – e ora ogni volta che ho una crisi devo prendere il cortisone. Praticamente non esco più dal convento, se non talvolta per fare la spesa, ma ho paura anche per la mia vita perché penso che se non è riuscita nel suo obiettivo prima con le telefonate e poi con le diffamazioni sui social, quale sarà il prossimo passo per distruggermi?”.
La parrocchiana, di nazionalità belga ma da tempo trasferitasi in Germania, si era presentata per la prima volta a Padova nella chiesa di Sant’Ambrogio insieme al marito. Aveva falsamente raccontato di essere malata terminale, di avere 4 mesi di vita. Aveva chiesto il numero del frate per “cercare conforto” per la sua malattia. E quel punto era iniziato l’inferno. “Ti distruggo” lo aveva minacciato dopo il suo rifiuto. E da allora non si è più fermata, nonostante le denunce e le condanne. In aula si è presentato come testimone nel processo anche l’arcivescovo Marco Tasca che vive anche lui nel convento dei frati Cappuccini di Albaro: “Io sono arrivato a Genova luglio 2020 e da allora ho scelto di abitare in convento”, ha spiegato. Tasca ha saputo dal frate stesso di questa donna. Poi sono cominciate le telefonate: “Mi ricordo che a pranzo e a cena si parlava di cosa fare per bloccare queste telefonate”. Due volontarie della parrocchia di Albaro, chiamate a testimoniare hanno raccontato della visita della settantunenne al convento, all’inizio del 2022. Avendo intuito dall’accento che potesse trattarsi della signora che perseguitava il diacono, non l’avevano fatta passare dicendogli che il frate non c’era. “Era da sola – ha ricordato una volontaria – e quando se ne è andata ha detto di dire al frate che era passata la ‘belva‘”. Poi non si era più fatta vedere a Genova, dove era stata denunciata di nuovo con le indagini affidate alla polizia postale.