Sanremo, settantacinquenne condannato all'ergastolo per un cold case irrisolto da 29 anni in Svezia

Salvatore Aldobrandi era accusato di aver ucciso e soppresso il cadavere di una ragazza di 21 anni. In Svezia senza il corpo non era stato possibile giudicarlo

Ergastolo per Salvatore Aldobrandi, l'uomo di 75 anni residente a Sanremo, originario di Sosti, in provincia di Cosenza, condannato per aver ucciso Sargonia Dankha, 21 anni, che il 13 novembre 1995 era sparita nella città svedese di Linköping, dove viveva. La corte ha accolto le richieste dei pm Maria Paola Marrali e Matteo Gobbi che avevano chiesto per Aldobrandi l'ergastolo per omicidio volontario. Il caso è rimasto irrisolto per molti anni, poi la svolta e l'arresto di Aldobrandi nel 2023 grazie alle tracce di sangue della giovane trovate in un'auto appartenuta al 75enne. Il delitto era stato riaperto a sorpresa nel 2023 con l’arresto del settantenne che era tornato a vivere a Sanremo da molto tempo. Un compagno di cella aveva anche riferito alla polizia di una confessione ricevuta dal sospettato nel dicembre scorso.

Aldrobrandi era stato arrestato a Sanremo il 17 giugno dello scorso anno. Sposato con due figli - ma ne aveva avuto anche un terzo dalla prima moglie, che vive in Francia - lavorava come pizzaiolo in un locale della città dei fiori. Per arrivare all’ordinanza di custodia cautelare, i pm hanno lavorato oltre un anno in stretta collaborazione con la polizia svedese, che già nel 1995 aveva fermato Aldobrandi per le stesse accuse. Ma in Svezia, senza il cadavere di Sargonia, non era stato possibile processarlo. Anche un secondo tentativo di arrivare alla verità sulla scomparsa della studentessa, nel 2001, si era scontrato con il mancato ritrovamento del corpo. Ma tutti le prove, le testimonianze raccolte, per la magistratura italiana, sono diventate una certezza dalla quale ripartire, tre anni e mezzo fa. Quando la madre e il fratello di Sargonia si recarono nello studio dell’avvocato Rubino e gli fecero una sola domanda: «È possibile ottenere in Italia la giustizia che non abbiamo avuto in Svezia?». Le stesse prove, che prima non erano bastate, si sono rivelate sufficienti a ottenere la misura cautelare. Dalle tracce del sangue della ragazza trovate allora sulla parete della camera da letto di Aldobrandi, a quelle sull’auto utilizzata dall’uomo - avuta in prestito da una donna, gliela riportò sporca di fango e con 250 chilometri in più fatti in meno di 24 ore - fino al racconto delle tante amiche che nell’anno e mezzo di quella relazione ascoltarono dalla vice di Sargonia le minacce, le botte, le persecuzioni subite dal pizzaiolo. Il pm Paola Marrali, nella sua requisitoria, venerdì scorso, ha descritto queste azioni come quelle tipiche «che precedono un femminicidio». Come il movente. Sargonia è stata uccisa perché «aveva trovato la forza, il coraggio, di lasciare Salvatore Aldobrandi e iniziare una nuova vita, con un ragazzo al suo fianco».

L’accusa, nel chiedere la pena dell’ergastolo di Aldobrandi, ha ricordato la vicenda di Roberta Ragusa. Anche di lei, scomparsa nel 2012, non si è più saputo nulla. Ma l’assenza di un corpo non ha impedito di condannare il marito, Antonio Logli, a 20 anni di carcere, in via definitiva. Per arrivare al verdetto la Corte d’Assise, formata dai giudici togati Carlo Indellicati ed Eleonora Billeri, e dai sei giudici popolari, ha riesaminato testimonianze, prove, atti di indagine. Decidendo per l’ergastolo. Alla madre e al fratello è stato anche riconosciuto  un risarcimento provvisionale di 400 mila euro. Aldobrandi è stata invece assolto per la soppressione del cadavere, per intervenuta prescrizione