A Torino 20 poliziotti all'ospedale per il "no Meloni day" che sostituisce i venerdì di Greta. E il governo dei vittimisti? Frigna
Il Paese sempre più fuori controllo, ogni settimana va in scena una guerriglia senza i presupposti degli anni '70: la destra al governo piagnucola, la sinistra di opposizione ridacchia. Per questa strada la sensibilità democrazia lascia posto alla voglia di regime.
Da quanto tempo vado ripetendo che si aspetta il morto, si accetta il morto? Lo ripeto come quei maniaci che girano col cartello che annuncia la fine del mondo, ma la fine del mondo arriva a Torino dove per poco il morto non ci scappa davvero: un manipolo di teppistoidi da centro sociale frammisti a fannulloni in età scolastica tira un ordigno contro la prefettura, istituzione di polizia che dovrebbe garantire dalle escandescenze e invece le subisce. Con la destra che piagnucola, implora la sinistra di prendere le distanze e la sinistra che le ride in faccia: per forza, li ha sguinzagliati lei, domani si vota e ieri c'era il venerdì “anti Meloni”, come dire Raimo al posto di Greta. E se anche la sinistra si dissocia? Alla destra basta questa pantomima, o, per definirla più onestamente, questa presa per i fondelli? È segreto di Pulcinella quello che mi confidano poliziotti sconsolati: “Dai piani alti abbiamo l'ordine di subire e non reagire, sono terrorizzati dalle reazioni a sinistra, ma noi rischiamo la pelle e per cosa?”. Sì, è chiaro, la Meloni che gli studentelli imbrattano di sangue vuol durare ed è disposta a qualsiasi piroetta, contraddirsi, rinnegarsi non la spaventa, ma trasformarsi in caratterista a suon di battute e smorfiette non pare la strategia migliore. La premier farebbe meglio a mantenere quello che aveva promesso, non certo la repressione poliziesca, non il regime sbirresco – quello lo abbiamo avuto ai tempi del Covid e nessun teppistoide ha mai osato sfilare, allora la sinistra gli teneva il guinzaglio corto – ma un normale, decente ordine sociale in tutela dei cittadini.
Come si possa accettare che un Paese europeo, industriale, anche se di industria c'è rimasto niente, comunque inserito nella tradizione democratica e consumistica possa restare ostaggio di balordi e caricature terroristiche senza reagire, è un mistero che forse andrebbe chiesto all'Europa o forse al ministro Piantedosi che più i suoi gendarmi le prendono e più si congratula “per il senso di responsabilità”. Responsabilità farsi pestare dai mocciosi, sputacchiare dalle maestrine alcolizzate? Qualcosa di impensabile, di non riscontrabile in nessun Paese di questa Europa pure destabilizzata, infiltrata; diciamo che, come al solito, l'Italia si rivela laboratorio del peggio, dal controllo sanitario alla resa sociale. Tirare una bomba alla prefettura non ricorda tanto le manovre dei Servizi negli anni Settanta che incaricavano un oscuro trafficone come Bertoli, sedicente anarchico, in realtà ordinovista e spia, della strage alla questura di Milano, ha più del grottesco, una sorta di terrorismo da influencer o da trapper. Liquido ma pericoloso ugualmente. Tra i protagonisti, quelli dell'immancabile centro sociale Askatasuna, feudo dell'euronorevole Ilaria Salis, che tutti vorrebbero chiudere ma nessuno osa perché dietro ci stanno i soliti coi quali bisogna andare d'accordo se si vuole durare. Mi racconta un altro sbirro, vecchio amico di quando facevo l'imberbe cronista giudiziario: “Ma dai, lo sappiamo tutti anche i neoreclutati che la sinistra questi focolai terroristici li sovvenziona, li protegge, gli garantisce le sedi, gli fornisce i soldi anche tramite intermediari loschi, che stanno nel traffico della droga e peggio”. E la “ultradestra” piagnucola, dice che non si tirano le bombe in prefettura.
Affiora come un cupio dissolvi, un “muoia Sansone” per dire un compiacersi generale dell'incapacità generale, dello sfascio generale: lavoratori dei treni picchiati e accoltellati, ragazzini zombie che si divorano, immigrazione feroce, perfino gli esaltati del clima che rivendicano i vandalismi. E a Torino le bombette alla prefettura da quattro scalmanati che basterebbe un nucleo di agenti scelti a ridurre a più miti consigli. Invece il ruolo dei poliziotti sembra diventato quello dello sfogatoio, dei bersagli fissi o mobili, senza reagire. All'inizio pensavo alle solite tattiche penose, ma sì, che la sinistra autolesionista li lasci pur liberi di devastare, di attentare, che noi ci passiamo da responsabili e la gente ci vota; a questo punto mi pare tutto più surreale, più deprimente, come a dire: il vaso di Pandora è scoperchiato e non ha senso cercare di richiuderlo, meglio mettersi l'anima in pace. Tanto più che il nostro Mattarella, in questi giorni in grande spolvero tra Musk invasivo e governo “divisivo”, non trova una parola per denunciare la deriva neppure dopo che sindacalisti, carrieristi, parassiti vari la annunciano gagliardi. Al ministro Tajani, che come spauracchio nessuno potrebbe prendere sul serio, arriva una lettera in cui si annunciano disordini, attacchi allo Stato: lui la sbandiera, se ne vanta come un martire di Belfiore. Poi i casini arrivano per davvero, Torino nel controllo dei pazzoidi, in venti poliziotti all'ospedale, e il cosiddetto mondo politico che o ridacchia compiaciuto o piagnucola come non toccasse a lui porre un freno. E non si capisce chi stia davvero dalla parte di chi. Una cosa è certa, le smorfiette, le false indignazioni, il populismo novecentesco, da balconcino o da diretta social, non servono a niente ovvero tradiscono tutta l'impotenza di chi formalmente comanda. E questo è molto pericoloso non solo per ovvie prospettive di disastro sociale ma anche perché le forze dell'ordine stanno cominciando davvero a non poterne più e quando si arriva a questo punto trovare un qualche aspirante golpista che le eccita, le raggruma, è un attimo. A far paura non sono i Vannacci che vendono libri e vanno a Bruxelles uniformandosi volente o nolente all'andazzo corrente, sono quelli che restano nell'ombra e se c'è una cosa che in Italia non manca mai sono le ombre, di tutti i colori, pronte a combinarne di tutti i colori.