Bergamini, dopo 35 anni giustizia sembra fatta. E oggi a Cosenza c'è chi piange per la commozione
Un tempo infinito per mettere l'ultima parola su un delitto chiaro, ma c'era chi a suo tempo già lo aveva affermato. Come l'ex calciatore Carlo Petrini, collega del giocatore calabrese, che ci aveva scritto su un libro, nel quadro del più vasto malaffare pallonaro.
L'hanno condannata, alla fine l'hanno condannata, ci sono voluti 35 anni perché in terra di mafia le cose vanno così, impastoiate, lentissime, ma alla fine la Isabella, la fidanzata del Denis, il calciatore, ha preso i suoi 16 anni per averlo fatto ammazzare “con la complicità di ignoti” per motivi mai definitivamente chiariti. Lei continua a professarsi innocente e “lo giuro davanti a Dio mio testimone”. A Cosenza oggi c'è chi piange, di rabbia, di sollievo. Denis, a proposito. Un altro morto precoce, ma, una volta tanto, non per i sortilegi del doping. Sono passati 35 anni, ma in Calabria la storia scotta ancora come il primo giorno. Quella del “calciatore suicidato” Denis Bergamini, il giocatore del Cosenza trovato morto il il 18 novembre 1989, ufficialmente investito da un camion sulla strada statale 106, a Roseto Capo Spulico. “Suicidio”, così venne archiviata la faccenda. Ma ancora oggi, perfino oggi, a parlarne in Calabria, può capitare di ricevere consigli e conigli sulla soglia, telefonate, avvertimenti anche pesanti. Chi non ci cascava era Carlo Petrini, l'attaccante di serie A per i decenni '60 e '70 che, gravemente ammalato a causa del doping assunto per tutta la carriera, aveva preso a sviscerare tutte le nefandezze del pallone, un libro dopo l'altro. Puntualmente ignorati, mai denunciati. Ma le cose che raccontava erano spaventose. Tra queste il calciatore suicidato, titolo di uno dei suoi volumi. Petrini non aveva mai creduto alla storia di Bergamini gettatosi sotto un camion e allora era sceso in Calabria, aveva chiesto in giro, poi aveva scritto un libro nel quale ipotizzava il ruolo della criminalità organizzata. Uno fra i tanti volumi in cui demoliva quel mondo pallonaro a lungo frequentato come attaccante dalle mille squadre ma “senza maglia e senza bandiera”, per citare un altro suo testo. Nel 2013 la Procura di Castrovillari riprende in mano il fascicolo chiamando in causa l'ex fidanzata del giocatore e una serie di loschi figuri. Mai visto un suicida travolto da un camion di mandarini con l'orologio ancora intatto al polso e tutto il resto in ordine. Una messinscena, ma cosa nel calcio non è messinscena?
Alla fine aveva ragione Carlo. Ci sono voluti solo 35 anni per stabilirlo, salvi ulteriori gradi di giudizio. Se aveva ragione su questa storia di ndrangheta e di miseria, non ce l'aveva sul resto? Ma io che gli ero amico ricordo i suoi giudizi, duri, spietati, su chiunque – nessuno sconto, nessuna eccezione, e ricordo le profezie: “Oggi li drogano in un modo che fa impallidire il nostro e noi già eravamo pieni, eravamo bombardati. Io dopo una partita continuavo ad agitarmi per tre giorni, non potevo fermarmi, non potevo dormire. Ma adesso è infinitamente peggio”. Difatti sarebbero cascati come mosche. Petrini fu squalificato nel primo calcioscandalo e diceva che “la connivenza c'è sempre stata, le partite truccate fanno parte del calcio, dai campionati amatoriali ai Mondiali, è un fenomeno che non può finire perché è parte stessa di questo sport, parte integrante. Finirà se mai per potenziarsi, per allargarsi, sia per mentalità che per le possibilità che la tecnologia sempre più offrirà”. Eccoci. L'inchiesta del pm milanese Storari porta a galla una fogna che non risparmia nessuno: boss mafiosi, curve, manovalanza, gli stessi calciatori, le dirigenze, la malavita comune a supporto, perfino questi rapper o trapper per sordi, per balordi. Tutti stretti in una palude che si allarga come un blob, che trasforma Milano in Chicago. “Ci prendiamo Roma, arriviamo fino a Gravina”, il vertice delle istituzioni pallonare, quello che per campare tranquillo assume in Fgci i figli di politici e allenatori e manager sportivi. Con dentro anche le donne, femmine di malavita dei giri laidi che concatenano musica da hinterland e tifo mascalzone.
Volendo, la morte di Bergamini per mano della fidanzata, secondo quanto stabilito dalla procura di Castrovillari, può essere vista come un prodromo, una profezia destinata ad avverarsi. Sullo sfondo, il controllo dello spaccio, forse una ritorsione contro chi non si faceva i fatti suoi, forse cose di famiglia, la punizione contro certi ficcanaso parenti di Bergamini, forse la femmina fatale, pericolosa e infida, se ne sono dette tante, se ne diranno ancora tante. A Cosenza oggi c'è chi piange e il sostegno popolare per Denis non è mai mancato, ma quanto sincero? Quanto disinteressato? Sta di fatto che Petrini aveva ragione, ovviamente inascoltato. Come gli ripeteva puntualmente il manager faccendiere Luciano Moggi, detto “big Luciano” o “Lucky Luciano”: “Però, i tuoi libri...”. Erano conterranei e ciascuno conosceva dell'altro, splendori e miserie, pochissimi gli splendori. Petrini sapeva di cosa era capace Moggi, in seguito radiato dal calcio dove però continua ovviamente a contare, ma non lo odiava, ne parlava come di una essenza davanti alla quale non resta che rassegnarsi. Sapeva che scaricare tutto lo sdegno su Big Luciano era troppo facile, che il mondo pallonaro era criminale da testa a piedi e non poteva che peggiorare, tutte le chiacchiere sulla bonifica, sulla moralità, i calciatori che entrano in campo per mano ai bambini erano chiacchiere, sono farse e di quelle oscene. Calciatori e rapper che vanno alle liturgie dei preti sociali, magari coinvolti pure loro, vanno a celebrare le case strappate ai boss e ci vanno scortati da altri boss. Non si salva nessuno e Petrini, che andava in Calabria a indagare su Bergamini, tornandosene con grande scorta di minacce, lo sapeva. E lo scriveva.