Genova, prima lo accusa di stalking e minacce e poi ritratta, lui finisce in carcere e viene licenziato

Davanti al giudice la donna ha ammesso di aver detto quelle cose perché era gelosa. L'uomo ora chiede il risarcimento allo Stato per ingiusta detenzione

La compagna lo accusava di minacce, parole che lo avevano portato in carcere: «Ti butto dalla finestra, ti sciolgo nell’acido, se mi metti in galera faccio una telefonata e ti faccio sparire». Poi la pistola e un coltello puntata in gola. Le botte nella loro abitazione di Genova, ad Albaro, e le ferite provocate con i pallini di un’arma ad aria compressa. L’uomo aveva affrontato due mesi di detenzione cautelare in cella e per questo era stato licenziato. Faceva il cuoco in un ospedale cittadino. Poi era arrivato il processo e, nelle scorse settimane, il tribunale lo ha assolto da ogni accusa. Perché già il giudice per l’udienza preliminare aveva evidenziato la contraddittorietà della donna, trasmettendo alla Procura gli atti per valutare nei suoi confronti l’accusa di falsa testimonianza. Mentre in aula sempre lei ha ritrattato tutto, negando ciò che aveva raccontato alla polizia giudiziaria. Ritirando anche la denuncia che aveva rappresentato l’inizio dell’indagine.

Ora l’uomo, un cittadino albanese di 38 anni, ha depositato un’istanza di riparazione per ingiusta detenzione assieme al suo difensore, l’avocato Michele Ispodamia. Procedimento che può portare a un risarcimento di natura economica. E nelle prossime ore l’uomo chiederà anche il reintegro nel posto di lavoro. Così come ha avanzato la domanda per ottenere nuovamente il permesso di soggiorno, visto che in seguito all’arresto gli era stato revocato. Il trentottenne è stato iscritto nel registro degli indagati per stalking, lesioni personali, furto e minacce aggravate. Ed è proprio per il primo reato, procedibile d’ufficio e quindi rimasto in piedi anche dopo il ritiro della querela della compagna, che è stato rinviato a giudizio nel giugno del 2023. Come detto gli erano stati contestati diversi episodi violenti. Dalle minacce di morte a un caso in cui avrebbe preso la donna per la gola. Arrivando addirittura a infilarle la canna della pistola in bocca. E portandole via il telefono, per impedirle di chiedere aiuto. Un racconto, quello della vittima, ritenuto choccante per gli investigatori. Dopo il quale l’inchiesta aveva subito una forte accelerazione. Durante l’udienza preliminare però la versione della donna era cambiata. E nelle sue parole il giudice aveva individuato alcuni elementi dissonanti. Contraddizioni che lo avevano spinto a chiedere un approfondimento investigativo proprio sulle parole della teste, ipotizzando potesse essere accusata di falsa testimonianza.

Davanti al giudice del processo, Lorenzo Magnani, la donna ha spiegato di aver avuto diversi contrasti con il trentottenne, dovuti a problemi personali o di gelosia. Rispetto alle minacce, ha escluso quelle di morte. Così come di essere stata ferita a una gamba con i pallini esplosi da una pistola ad aria compressa. «Voleva sparare a dei cinghiali, non vedeva bene e aveva colpito me», ha detto.