Che spettacolo le Olimpiadi queer di Macron: tutti supervaccinati ma immersi nella merda della Senna

I giochi francesi del conformismo woke, omologante e dalla inclusività autoritaria, presentano continue contraddizioni: grandeur sciovinista e pessima organizzazione, blasfemia pop e bigottismo, vaccinismo integrale e obbligo di immersione in acque malsane.

Attualmente giro, quando mi chiamano, i pochi temerari che si azzardano, a proporre una conferenza dal titolo programmatico “Vaccini e potere”. Ma credo che la aggiornerò in “Olimpiadi e potere” o, meglio ancora, “Vaccini e Olimpiadi”. Ecco alcuni spunti su faccende che, in merito, non tornano. La sceneggiata oscena, nel senso beniano di “fuori di scena”, fuori dal senso compiuto, della cerimonia di apertura era chiaramente ispirata alla blasfemia anticristiana a tutto vantaggio del progressismo filoislamista; hanno tentato di dire che no, non abbiamo capito niente, il mondo non ha capito niente, “non l’Ultima cena ma Dioniso”, solo che il mondo ha visto benissimo e ha intuito altrettanto precisamente cosa si voleva dire, dove si andava a parare, tanto più che alcuni coinvolti, non il regista Thomas Jolly che sta nel giro queer protetto da Macron, ma altri più decenti hanno sinceramente ammesso: tanto è stato concepito, in due anni di confabulazioni, per attaccare la religione che ha fondato l’Europa. Del resto, anche da noi qualche sociologo di servizio ha teorizzato, mentendo, che era giusto sputtanare Cristo ma giammai toccare l’Islam in quanto minoritario. Qui si mente per la gola in quanto Maometto non è affatto minoritario, non più, in Europa, laddove un discorso di questo genere resta di suo strampalato al limite del cialtronesco: a che pro coprire di fogna una religione, quale che sia, nel contesto globale dei giochi sportivi? La cerimonia serviva a sancire il predominio dell’Islam politico, punto. Poi le questioni sui simboli più o meno demoniaci, sull’empio satanico, lasciano il tempo che trovano: sì, certo, c’erano, erano evidenti solo a volerli vedere, ma la questione qui è politica, legata al cambio di scenario per un’Europa non più tale, controllata, egemonizzata dal falso laicismo unionista che ha spalancato le porte a invasori politici e predatori. I simboli comunque c’erano, simboli satanici non si contavano non solo nell’esasperazione sessuale, anche, per dirne uno, nella celebrazione roboante del Vitello d’Oro che nel tradizionalismo cristiano simboleggia l’idolatria, la surroga per altre forme di venerazione, empie: il patto col diavolo, il ripudio del Dio biblico in favore delle lusinghe ottenute dall’Anticristo in cambio dell’anima. E il Vitello d’Oro stava alto, potente, nelle celebrazioni del demiurgo queer Jolly.

Queste Olimpiadi senza Olimpo, questo sport senza sport in una Parigi senza Parigi, dentro una Francia non più francese, stanno offrendo anche la dimostrazione di una resa nazionale ed europea in termini di organizzazione e di sicurezza: la Capitale falcidiata da attentati, disservizi, disastri, i cittadini chiusi in casa, terrorizzati, sottoposti a una militarizzazione forsennata e disperata, che si riconosce impotente e dunque di pura facciata. Con la somma contraddizione che segue: dopo anni di ossessione, di psicosi pandemica, l’Europa sottomessa al gioco delle restrizioni, alle schiavitù respiratoria delle mascherine, della igienizzazione paranoide all’amuchina, del distanziamento sociale, della sterilizzazione dei corpi e delle menti, vediamo atleti costretti a gareggiare in una Senna fognaria, coacervo di ogni genere di batteri e dunque di contagi. E l’informazione prostituita non dice niente, non rileva la contraddizione grottesca, totale: in Italia il giornale unico è tornato a spingere sulle vaccinazioni spericolate, con argomenti deliranti o criminali: sì, possono determinare la rottura del cuore, specie nei più piccoli, ma sempre meglio che rischiare un raffreddore da Covid; sì, possono ammazzare gli anziani, ma meglio farli morire mondati dal virus. Tutto come prima, nell’eterna operazione propagandistica affidata a scriba che intervistano scienziati finanziati dai produttori di mele avvelenate. Dopodiché si mandano gli atleti ad infettarsi in un fiume marcio, che lo spocchioso presidente immerso fino al collo nella subcultura queer non sa ripulire. C’è un campione o meglio ex campione di scherma, il già olimpionico Daniele Garozzo, che ci avrebbe riprovato proprio a Parigi e invece si è dovuto ritirare a 30 anni per problemi cardiaci. Lui tace sulle dosi ricevute e nessuna testata gliene chiede conto. Io stesso non smetto di raccogliere testimonianze, di sportivi come di sedentari, da amici comuni come da sconosciuti che mi cercano, circa gli effetti perversi accusati dopo una o più mele avvelenate. Cuori che si mettono a ballare, che fanno le capriole, danno i numeri, si gonfiano, si aprono, perdono il ritmo: a volte, raramente, più o meno tutto rientra, in altri casi il cuore resta così. Rotto. Inaffidabile: ecco un altro invalido, uno che non avrà più la vita di prima, quella che gli resta non sarà vita, saranno giorni di cristallo nell’eterna paura. Il Vitello d’Oro, al di là delle sofisticate interpretazioni nelle religioni comparate, è passato al volgo con questo significato preciso: il culto della ricchezza, che oggi si declina, con tronfio orgoglio, nell’aver venduto l’umanità, la scienza, la salute collettiva al Lucifero del guadagno e dell’onnipotenza del potere. I corifei di questo potere autoritario e melassoso, tra loro purtroppo anche qualche senile Arlecchino senza alcun bisogno di padroni, ma ormai abituato a dipenderne, hanno potuto dire che chi non ha colto la ricchezza estetica della cerimonia queer è solo un becero, un troglodita digiuno di cultura pop. Però non sanno spiegare come mai, nella pop culture del Cristo orgiastico, venga vietato a un surfista di gareggiare con la tavola dove sta dipinto un Cristo protettore. Chissà se nella cultura pop sta anche il fiume di merda della Senna dove gli atleti supervaccinati vengono immersi a sicuro esito di salmonellosi, per dire solo lo scenario migliore.