Fine vita, Marco Cappato indagato per reato di aiuto al suicidio, i casi di Elena e Romano rinviati alla Consulta dal Gip di Milano
Il gip di Milano, Sara Cipolla, ha trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale per valutare la legittimità del reato di aiuto al suicidio, di cui Marco Cappato è accusato per aver accompagnato due persone a morire in una clinica svizzera. Cappato, noto attivista per il diritto al fine vita, si era autodenunciato nel capoluogo lombardo per questi episodi.
Romano, 82 anni, era un ex giornalista e pubblicitario, affetto da una grave forma di Parkinson che lo costringeva a letto. Elena, 69 anni, una donna veneta malata terminale di cancro, che aveva lasciato un messaggio video prima di morire. Entrambi, avevano deciso di porre fine alle sofferenze recandosi in Svizzera, dove il suicidio assistito è legale.
Cappato, politico, attivista e tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni, come già fatto in precedenza accompagnò i due e, successivamente, si era autodenunciato a Milano. La Procura, inizialmente si era dichiarata propensa per l'archiviazione, sostenendo che Cappato avesse agito nel rispetto della volontà delle persone coinvolte - "entrambe capaci di intendere e volere, nel rispetto delle procedure equivalenti a quelle della legge italiana sul consenso informato".
Adesso però, il caso finisce dinanzi ai giudici costituzionali, ritenendo necessaria la questione di legittimità relativa all’articolo 580 del codice penale, laddove prevede la punibilità della condotta di chi agevola l'aiuto al suicidio di chi non è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria decisione, formatasi in modo libero e consapevole, di porre fine alla propria vita.
La posizione della Procura di Milano
Lo scorso settembre, il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gagli, avevano chiesto l'archiviazione del caso o in alternativa, l'invio degli atti alla Corte Costituzionale. Secondo i magistrati, infatti, Cappato avrebbe aiutato due persone affette da patologie irreversibili e destinate a morire in breve tempo. Cappato, avrebbe agito per evitare sofferenze fisiche e psicologiche insopportabili. La Procura ha sottolineato che i due avevano rifiutato trattamenti di sostegno vitale, che avrebbero rappresentato un accanimento terapeutico. In caso di mancata accettazione dell'archiviazione, la Procura ha aveva suggerito di rimettere la questione alla Corte Costituzionale, al fine di valutare il contrasto tra il requisito della malattia terminale e il principio di uguaglianza di fronte alla legge sancito dall'articolo 3 della Costituzione italiana.
Marco Cappato, il caso di Elena
Il caso di Elena, dunque, rappresenta una nuova forma di disobbedienza civile per Cappato. La donna, infatti, non era tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, condizione necessaria, secondo la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, come nel caso di Dj Fabo, per accedere al suicidio assistito in Italia. Elena, supportata dalla sua famiglia però, aveva deciso di recarsi in Svizzera per evitare ulteriori sofferenze dovute al progresso della malattia.