Genova, processo immediato per la banda di narcotrafficanti, il boss stava per essere scarcerato

L'uomo era stato liberato per un errore di notifica dell'interrogatorio, ma la Dda è corsa ai ripari. Il clan aveva sequestrato un complice e voleva ucciderlo

Ardian Sufaj, cittadino di origine albanese di 40 anni, era stato scarcerato per un cavillo (la mancata notifica al suo difensore dell’interrogatorio davanti al gip di Roma): dopo essere stato messo nuovamente in cella con un decreto di fermo, firmato dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia Federico Manotti, impugnato senza successo dai suoi avvocati Nicola Giribaldi e Riccardo Caramello, ora finisce a processo con giudizio immediato insieme agli altri componenti della banda di narcotrafficanti smantellata dalla Dda di Genova. I due filoni (la posizione di Sufaj era stata stralciata perché in attesa di estradizione) sono stati riuniti all’inizio di giugno e l’udienza è stata fissata il 22 ottobre per la discussione davanti al gip Caterina Lungaro. Gli altri imputati sono Andioli Xhindoli, Nevian e Andrea Vasaj, Joel de Jesus e Francisco Jose Castillo Tapia, Ernesto Holger Wila Quinonez e Hane Sufaj. Alcuni chiederanno il rito abbreviato, ma questo è condizionato allo svolgimento di alcune attività istruttorie in programma a settembre.

La Direzione distrettuale antimafia per incastrare il cartello albanese-sudamericano aveva dovuto infiltrare un suo uomo nell’organizzazione, grazie a un “gancio”. Un finanziere. Il militare aveva operato sotto copertura recuperando un carico di cento chilogrammi di cocaina arrivato nel porto di Genova. Ma quando la banda non ha trovato lo stupefacente che stava aspettando da Guayaquil (in Ecuador), dove un complice lo aveva nascosto all’interno di un container pieno di caffè, se l’è presa con il gancio - un tecnico dell’Università di Pisa -, sequestrandolo con l’intenzione di portarlo in un garage a Sestri Ponente dove - era questa la minaccia - sarebbe stato picchiato a morte. Il rapimento, però, era stato sventato dalle forze dell’ordine, che stavano monitorando i movimenti del tecnico universitario. Con un finto posto di blocco gli agenti gli avevano salvato la vita, arrestando tre componenti del clan: Joel de Jesus Castillo Tapia, Ernesto Holger Wila Quinonez e Nevia Vasaj, che armato di pistola era partito dalla Toscana e stava raggiungendo i complici in Liguria. Secondo Manotti, era stato Ardian Sufaj a ordinare il sequestro dell’impiegato quando la coca partita dal porto ecuadoriano era svanita. Un evento imprevisto per i trafficanti, che credevano di aver studiato il piano in ogni particolare. Per questo il clan aveva chiesto all’impiegato universitario di trovare un portuale che, in cambio di tanti soldi (duecentomila euro solo per il primo carico), avrebbe dovuto portare lo stupefacente fuori dal terminal di Pra’. Invece di un complice, però, l’uomo gli aveva presentato il finanziere che operava per conto della Dda. Nome in codice del militare infiltrato: Gian. Per gli investigatori, dopo lo sgarro subito, le intenzioni di Sufaj erano palesi. Ci sono le intercettazioni a dimostrarlo: il boss aveva dato ordini precisi ai suoi sottoposti, dopo che il tizio che gli avevano presentato era sparito. E con lui i cento chili di droga: «Portami la merce perché qua si rischia grosso - aveva urlato al “professore” -. Facciamo con le cattive? Se non hai la mia merce devi darmi i soldi, fino all’ultimo centesimo».