Genova, il pm non si accontenta dei domiciliari concessi dal gip, stupratori finiscono in carcere

La vittima durante la violenza ha subito lesioni permanenti. Dopo la decisione del giudice, il magistrato ha chiesto al Riesame di inasprire la misura cautelare

Gli arresti domiciliari per uno stupro così brutale da provocare lesioni permanenti alla vittima per il pubblico ministero non erano sufficienti. Il sostituto procuratore Federico Panichi, per questo motivo, ha impugnato la decisione del gip Silvia Carpanini davanti al Riesame. E ha ottenuto che i due uomini accusati di stupro di gruppo e lesioni gravissime - due cittadini di origine sudamericana di 30 e 47 anni - finissero in carcere. I giudici hanno motivato l’inasprimento della misura di custodia cautelare con il rischio di reiterazione del reato: «Potrebbero commettere altre violenze». Ieri i carabinieri sono andati a casa dei due indagati, li hanno prelevati e trasferiti nella casa circondariale di Pontedecimo.
Lo stupro, ha raccontato la vittima, è avvenuto nel settembre scorso. La donna, 35 anni, aveva trascorso la serata in un locale di Sampierdarena, dove aveva incontrato i due uomini. Agli inquirenti ha detto di avere bevuto qualcosa con loro e di avere chiacchierato per qualche minuto. Di quello che è successo dopo non ricorda nulla, però. A parte il risveglio in un appartamento che non aveva mai visto prima di allora e un dolore forte al basso ventre. Quattro giorni dopo aveva deciso di presentarsi all’ospedale Galliera per sottoporsi a una visita, e considerato l’esito degli esami era subito scattato il protocollo previsto in caso di sospetta violenza sessuale. Un iter che prevede anche analisi specifiche per individuare la presenza nel sangue di eventuali tracce della droga dello stupro. A occuparsi delle indagini erano stati i carabinieri, che erano riusciti ad acquisire le immagini di alcune telecamere di videosorveglianza in cui si vede uno dei due indagati entrare e uscire dall’appartamento. Entrambi gli uomini erano stati identificati e inizialmente denunciati. Ma gli ulteriori accertamenti medici a cui era stata sottoposta la vittima avevano confermato le lesioni permanenti «derivanti dalla violenza». Danno a cui si erano aggiunte le minacce che uno degli aguzzini aveva rivolto alla trentacinquenne presentandosi sul suo posto di lavoro. Per convincerla a ritirare la querela, con le buone o le cattive.
Forte di questi ulteriori elementi, il sostituto procuratore aveva chiesto l’arresto della coppia, invocando espressamente il carcere. Il gip Carpanini, nell’ordinanza che disponeva la custodia cautelare, ha ritenuto fondato il pericolo sociale rappresentato dagli indagati e indicato dal pm. «Hanno agito con istinti brutali compiendo atti di inaudita violenza. E potrebbero avere nuovi comportamenti incontrollabili». Nonostante la gravità della condotta evidenziata anche dal giudice, lo stesso aveva giudicato sufficienti i domiciliari. Una conclusione che il pm, però, non ha condiviso, impugnando l’ordinanza.
I giudici del Riesame, vagliando il ricorso presentato dall’accusa, a inizio aprile hanno deciso che i domiciliari erano effettivamente una misura non sufficiente per i reati che vengono contestati agli indagati. E dopo poco più di un mese i carabinieri hanno dato corso all’inasprimento della misura. Sono soprattutto le lesioni che la ragazza si porterà dietro per il resto della sua vita a far intuire la brutalità dell’abuso. Ed evidenziare come la vittima quel giorno fosse in balia dei suoi aguzzini. Il perché non è ancora chiaro. Potrebbe essere stato l’alcol, che ha ammesso di aver consumato, o l’effetto di qualche droga. —