Genova, doppio sconto di pena per il camallo che ha ucciso ex militante di Casapound a colpi di pistola
Dopo aver ottenuto una condanna con la riduzione di un terzo per il rito abbreviato è arrivata la legge Cartabia: il pm aveva chiesto 24 anni, lui ne farà 15
Uno sconto di tre anni dalla condanna a 18 anni. Lo ha ottenuto Filippo Giribaldi, il camallo genovese che il 25 aprile dell’anno scorso uccise Manuel Di Palo, ex esponente di Casapound, al Carmine con un colpo di pistola.
La riduzione è scattata per l'effetto della riforma dell'allora ministra della Giustizia Marta Cartabia, che prevede una riduzione di un sesto della pena per le sentenze con rito abbreviato che non siano state impugnate dalle parti e quindi diventate definitive.
Il pubblico ministero Eugenia Menichetti al termine del dibattimento aveva chiesto la condanna dell’imputato a 24 anni e 10 mesi per omicidio volontario, aggravato dai futili motivi. Per i legali del portuale ed ex esponente dei No vax, gli avvocati Chiara Antola e Paolo Scovazzi, invece i futili motivi non sussistevano e così avevano chiesto sin da subito il processo con rito alternativo. I giudici della corte d'assise (presidente Massimo Cusatti) al momento della sentenza avevano escluso i futili motivi accogliendo la richiesta di rito abbreviato.
Applicando la prima riduzione di un terzo della pena, con conseguente condanna di Giribaldi a 18 anni: 13 anni e 4 mesi per l’omicidio, con l’aggiunta di due anni e quattro mesi per il porto abusivo di arma, un anno e otto mesi per la ricettazione (sempre legato alla pistola) e otto mesi per la detenzione di armi da fuoco. Prima della sentenza il camallo si era dichiarato pentito per quanto aveva fatto: «Ho sparato un colpo e ho distrutto due vite, la mia e la sua. Il crack mi ha affondato. In quel periodo spendevo anche 300 euro alla settimana per farmi, e anche quel giorno avevo fatto uso di droghe», aveva detto.
Nelle motivazioni, i giudici avevano spiegato come Giribaldi avesse «capito l'errore fatto», e hanno riconosciuto che «è stato da subito collaborativo, e ha mostrato una forte critica verso il contesto di degrado per l'abuso di droga». Non solo: «È stato un omicidio con dolo d'impeto. I futili motivi non ci sono - hanno scritto nelle motivazioni - perché Giribaldi stava scappando ed è stata la vittima a inseguirlo con intenzioni non pacifiche. L'azione dell'imputato, senza alcun dubbio sproporzionata e riprovevole, era collegata soltanto all'ultimo comportamento della vittima. L'omicidio non ci sarebbe stato se l'imputato non fosse stato inseguito e raggiunto dalla vittima».