Eredità Agnelli, la posta in gioco tra denari, opere d’arte e immobili: ma soprattutto il controllo del Gruppo Finanziario e Industriale di famiglia

Tra i principali d'Europa. Ecco gli oggetti della contesa della lunga querelle

La disfida ereditaria a colpi di carte bollate tra una madre (Margherita Agnelli) e i tre suoi figli di primo letto (John Jaki, Lapo e Ginevra Elkann) a seguito del passaggio dal piano civile a quello penale si arricchisce ogni giorno di nuovi dettagli emergenti dalle carte dell’inchiesta.

La lettura dei documenti con i quali i giudici hanno disposto le recenti perquisizioni presso società e residenze degli indagati (tra i quali anche i professionisti di famiglia, il commercialista torinese Gianluca Ferrero e il notaio svizzero Urs Robert con Grueningen) consente di comprendere alcuni dettagli di peso che (se comprovati nel prosieguo del procedimento) risulterebbero gravidi di implicazioni tutt’altro che banali. 

I magistrati, tra l’altro, ritengono le sottoscrizioni di Marella Caracciolo, moglie di Gianni Agnelli e deceduta nel 2019, su alcuni documenti (addendum del proprio testamento e contratti di locazione e comodato di immobili di pregio: peraltro tutti stranamente prodotti in copia e non in originale) “di natura ragionevolmente apocrifa” (espressione criptica per  dire che appaiono verosimilmente false). 

Come pure ritengono che gli stipendi di alcuni collaboratori domestici della vedova dell’Avvocato siano stati irregolarmente posti a carico di Stellantis; che le rendite riconosciutele dalla figlia Margherita per parecchi milioni l’anno siano state occultate al Fisco con enormi risparmi di imposta e che le cessioni delle quote tra la medesima e il nipote Jaki siano simulate.

Le implicazioni dell’indagine che ha ad oggetto i rilievi citati non risultano interessanti per i risvolti economico, finanziari e patrimoniali (certamente di peso) bensì per quelli più direttamente afferenti la sfera professionale di John Elkann, attualmente presidente di Exor (la holding quotata di controllo dell’impero di famiglia), di Ferrari Auto e di Stellantis. 

I reati per i quali è sotto indagine non sono certo di quelli per i quali vi sia da temere per l’entità delle condanne (per quanto una volta eventualmente cumulate…) o per le spese legali di una difesa lunga, complessa, articolata. 

Piuttosto, il rampollo di casa Agnelli potrebbe perdere il sonno al pensiero delle conseguenze reputazionali in parte già dispiegate) (e di onorabilità (formalmente decorrenti solo con una sentenza sfavorevole ma che, soprattutto in ambito internazionale, sollevano questioni di opportunità non trascurabili) connesse alla vicenda. Può una persona accusata di “verosimili” falsificazioni a proprio vantaggio, concorso in evasione fiscale internazionale, simulazione di contratti e occultamento di beni patrimoniali a fini di arricchimento personale ricoprire il ruolo di massimo esponente di Gruppi quotati sui mercati internazionali che necessitano di riscuotere la fiducia di migliaia di investitori, istituzioni finanziarie e politiche? E può, anche in ambito più domestico, rappresentare una famiglia divisa in ormai molteplici ramificazioni e annoverante oltre un centinaio di  esponenti? Ne avrebbe ancora i requisiti, formali e morali? Accetterò lo Stato francese (grande azionista di Stellantis) di rinnovargli la fiducia? Avrà ancora la possibilità di alzare il telefono e farsi ricevere da Capi di Stato e di Governo e negoziare cospicui aiuti di stato?

Pochi mesi fa, fu proprio Jaki a rimuovere il cugino Andrea dalla presidenza della Juventus prima ancora che qualsivoglia procedimento giudiziario si configurasse: le vicende gestorie della squadra emerse durante le indagini della Procura sportiva (prima) e della Repubblica (poi) rendevano insostenibile il rilancio societario (e comunque un capro espiatorio ha evitato ulteriori imbarazzanti domande sulla notorietà a livello di compagine sociale delle condotte censurabili messe in atto dai vertici della squadra torinese). La situazione ora non è dissimile se non per il protagonista, questa volta diretto e non più indiretto, identificato dagli inquirenti in John Elkann.

Le difese abbozzate sulla stampa dai legali del nipote dell’Avvocato appaiono di circostanza e alquanto deboli. Certamente prive di pregio giuridico. Ma, si desidera ripeterlo, saranno i giudici ad esprimersi nel merito. 

L’ arrocco reggerà senza dubbio quanto meno fino ad un eventuale rinvio a giudizio: qualora la Procura, as esito delle prime indagini in corso, si pronunciasse per l’archiviazione, gli eredi Elkann potranno tirare un sospiro di sollievo e, tra essi, John non sentirà alcun dovere di fare passi indietro dai propri molteplici ruoli di comando. 

In caso contrario, e ben prima di eventuali sentenze, la posizione così verticistica e, proprio per questo, sovraesposta di Jaki diventerebbe  - realisticamente – insostenibile. E ciò aprirebbe un gigantesco problema di leadership su numerosi fronti, sia interni (con riferimento alla rappresentanza della famiglia allargata) sia esterni (in relazione alle cariche ricoperte nelle Societa del Gruppo: Exor, Ferrari, Stellantis su tutte). Anche perché preludio di un possibile cambio di controllo azionario del Gruppo finanziario e industriale a favore di Margherita Agnelli (che certamente, orienterebbe al di fuori della progenie Elkann la sua eventuale scelta di manager che la rappresentino nelle “provincie dell’impero”).

Una banale (se non per le cifre) vicenda di vile denaro sta diventando questione “dinastica” e geo-politica (dati gli interessi industriali, occupazionali, tecnologici e di sviluppo industrial-economico coinvolti: Stellantis è comunque un Gruppo da 200 miliardi di fatturato). 

Ancora una volta, questioni troppo grandi per le deboli (e, scopriamo ora, forse anche indegne) spalle di un erede designato di risulta.

Di Gianluigi Rossi.