Acca Larentia, ritorno del fascismo? No, colpa di quella sinistra dei salotti che preferisce Viale Parioli al Trullo

Il 7 gennaio un numero impressionante di persone si sono radunate sotto la storica sede del MSI per ricordare la tragedia del 1978

Come intonava il classicone di Al Bano e Romina? Ah sì, nostalgia, nostalgia canaglia… Vien da chiedersi se le centinaia di malinconici amanti del fascismo che fu, tra un urlatissimo presente e un saluto romano, l’abbiano ricordata in cuor proprio. Come ogni anno, in quel di Via Acca Larentia a Roma, giovani e meno giovani si sono ritrovati di fronte la storica sede del disciolto MSI (Movimento Sociale Italiano) per ricordare la strage del 1978 in cui persero la vita Franco BigonzettiFrancesco Ciavatta e Stefano Recchioni: i primi due uccisi da un gruppo di estrema sinistra, il terzo dalle forze dell’ordine.

Orbene, chi non è di Roma non lo può sapere, ma per chi abita la Capitale questo evento è un classico, un po’ come il panino dallo zozzone dopo una serata di bagordi. Ciò premesso, questa volta vale la pena soffermarsi sulle dinamiche, perché le cose sono andate in modo leggermente diverso. Mentre negli scorsi anni si vedevano giusto poco più di una decina di persone, il 7 gennaio a Via Acca Larentia c’era una folla oceanica, termine che calza a pennello se proporzioniamo il numero delle presenze con l’anzianità e la circoscrizione dei fatti storici.

Puntualmente, una certa sinistra ha parlato di pericolo fascista, accompagnata dai commenti di politologi, psicologi, sociologi e via così, mancava solo una parola di Crepet ed eravamo a posto. Certo, saremmo sciocchi se non prendessimo atto che un tal numero di presenze debba far riflettere, ma in senso critico e autocritico, non distruttivo. Siamo onesti, il problema non sono gli over 40, ma i sopra citati giovani e giovanissimi, ragazzini di appena 18 anni. Sono tutti nipoti e pronipoti di camerati del ventennio? I comunisti gli hanno rubato le caramelle da piccoli? Cosa li spinge verso una passione fascista?

La risposta è semplice. Se ieri si era fascisti per discendenza familiare, per ceto sociale o per il sadico piacere del sopruso verso il diverso, oggi è diverso. Come la destra politica ha colmato il tradimento della sinistra verso la classe operaia e i lavoratori tutti, così un certo fascismo popolare, quello de core, quello delle strade e dei gruppetti autogestiti che vivono nelle periferie, è riuscito a regalare un’identità ai giovani lasciati soli e che volevano essere parte attiva di un cambiamento. Questa è la ragione. Il Governo Meloni, il busto di Mussolini di La Russa e le altre sciocchezze non c’entrano niente.

Il 7 gennaio è figlio di quella sinistra dei salotti che preferisce Viale Parioli al Trullo, che fa le cene a casa di Baglioni e dimentica gli ultimi perché prima viene la finanza, che parla come il Conte Mascetti e snobba le parole semplici. Una sinistra che non ascolta più proprio i giovani, quelli che vogliono essere protagonisti di un sogno, che vogliono parlare di lavoro, casa, famiglia, e non di politicamente corretto e omosessualità come stile di vita. In definitiva, un pericolo fascista esiste? Sì, se come pericolo fascista intendiamo qualche amante della nostalgia, non certo della possibile nascita di un nuovo regime, ma la grande paura di tutti deve essere un’altra: l’assenza di un’alternativa.