Maurizio Landini, il capopopolo ostile alle problematiche sindacali e propenso ad uscire dalla comfort zone

Il nostro Maurizio ha iniziato a fare battaglie di ogni genere dimenticandosi gli argomenti più attinenti direttamente alle problematiche sindacali, tipo l’uscita dall’Italia del gruppo Stellantis, con sede legale ad Amsterdam, sede operativa a Parigi ed attività prevalente in Francia

Dopo tanti anni, il principale sindacato italiano è guidato da un capopopolo: Maurizio Landini.

Il suo curriculum non è particolarmente brillante.

Arrivato rocambolescamente al vertice della FIOM, il sindacato dei metalmeccanici, era stato talmente asfaltato da Sergio Marchionne, l’indimenticato Leader della Fiat Chrysler, al punto da essere estromesso da tutte le riunioni e da tutti gli accordi sindacali siglati in quegli anni. Lui era sempre fuori dalla porta ad attendere le decisioni prese da altri.

Dialogavano e facevano accordi infatti, nel silenzio generale, con il principale gruppo industriale italiano, soltanto la CISL, la UIL e la UGL.

Per paura di incorrere in infortuni umilianti, il populista non si azzardava nemmeno a indire scioperi, per timore che si risolvessero in un sonoro flop.

Scomparso Marchionne, il mondo industriale è stato rappresentato, ahimè sempre di più, da personaggi di peso assai modesto, alla Carlo Bonomi, tanto per intenderci, quel Presidente di Confindustria che, complessato dal fatto di non essere laureato, il che non è certo un disonore, ha firmato di sottecchi alcuni documenti, facendosi precedere dal titolo di dottore.

Con personaggi di questo livello anche un populista come Landini è riuscito ad emergere, al vertice della CGIL, in sostituzione di un’altra speranza mancata: Susanna Camusso, più propensa ai soggiorni a Santa Margherita Ligure, rispetto alle fabbriche di Termini Imerese.

Il nostro Maurizio invece, libero da competitors degni di questo nome, ha iniziato a fare battaglie di ogni genere: l’Europa, il salario minimo, la legge di bilancio, gli immigrati, la giustizia, dimenticandosi gli argomenti più attinenti direttamente alle problematiche sindacali, tipo l’uscita dall’Italia del gruppo Stellantis, con sede legale ad Amsterdam, sede operativa a Parigi ed attività prevalente in Francia.

Ciò ha significato, per il nostro paese, la perdita di centinaia di migliaia di auto costruite in Italia ed i conseguenti posti di lavoro ed un incremento costante della cassa integrazione, pagata dai nostri cittadini. Il tutto nonostante che l’azionista di maggioranza relativa sia un certo John Elkann, residente a Torino.

Tali argomenti sono risultati poco appetitosi per il nostro capopopolo, che poi si è specializzato in dichiarazioni appassionate a favore della Costituzione e contro tutti coloro che, con un passato, a suo dire, assai discutibile, la vorrebbero riformare.

Nel rispetto e nell’attuazione morbosa della “Carta”, il leader dimentica però di ricordare due articoli base della Costituzione stessa, da sempre inattuati dal Parlamento, per l’opposizione continua ed oserei dire appassionata dei sindacati, con in testa la CGIL, dalla sua entrata in funzione in poi, cioè quelli riguardanti gli articoli 39 e 40. L’articolo 40 dice infatti testualmente: “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. A parte i servizi pubblici, nulla è stato legiferato in proposito.

L’articolo 39, a sua volta, recita: “I sindacati hanno personalità giuridica”, il che significa che devono, tra l’altro, presentare i bilanci annuali e devono quindi essere sottoposti a tutti gli organismi di controllo, sia contabile che amministrativo, che le leggi prevedono.

Perché il populista Landini non si batte per questa grave lacuna che dal 1948 rappresenta una vera e propria ferita, nei dettati della nostra Costituzione?

Ciò permetterebbe anche la CGIL di farci conoscere dettagliatamente come viene spesa la sua ampia quota parte di quei due miliardi di euro, che ogni anno i lavoratori italiani sottraggono ai propri stipendi, per devolverli per legge alle casse dei sindacati dei lavoratori.

Ma ormai la moda “gesuita”, al di fuori della cupola di San Pietro, sembra stia intaccando un po’ tutta la nostra società.

Di Pierfranco Faletti.