Indi Gregory, una riflessione sul caso della bimba morta: i diritti dei minori, la potestà genitoriale e l'ingerenza dello Stato

"... di chi è la "proprietà" dei bambini? Vede Prof. Remuzzi, DI NESSUNO!"

Il continuo abuso e svilimento del linguaggio incide anche sulla realtà che descrive.

Già la tragica e, per molti versi inaccettabile, vicenda della povera Indi Gregory si presta ad una amplissima gamma di considerazioni relativamente al preteso ruolo di organi dello Stato, quello Britannico nel caso, nel pretendere di individuare “il migliore interesse di un bambino” nella morte, anche contro la volontà dei genitori.

E tuttavia, non siamo riusciti a farci mancare i commenti italioti, non solo e non tanto di pseudo esperti un tanto al chilo, abituali frequentatori di pomeriggi dell’orrore televisivo, ma anche di documentati professionisti del settore medico del tutto indifferenti al fatto che, forse, avrebbero ben altre questioni da affrontare, alla luce della totale perdita di fiducia nella sanità italiana che i loro comportamenti in questo triennio abbondante sono stati capaci di determinare.

Ecco, ad esempio, il titolato Prof. Dott. Giuseppe Remuzzi da Pavia accettare di fornire la propria opinione su quanto avvenuto nel Regno Unito e, secondo i virgolettati riportati da numerose pubblicazioni on Line, affermare, tra l’altro che: 

“il destino della bambina era segnato da una malattia terribile, senza alcuna speranza di cura. Quello che hanno fatto i medici e i giudici è pensare esclusivamente all’interesse della bambina” 

“I bambini non sono proprietà dei genitori. L’interesse dei più piccoli va messo sopra ad ogni cosa”

Mi perdonerà Prof. Remuzzi se non riporto tutte le considerazioni effettuate sul tema, che comunque non mi appaiono lontane dai concerti sopra riportati, quando, piuttosto, preferisco evidenziare la barbarie semantica e dialettica che essi denotano, ancora una volta, aver ormai invaso il dibattito pubblico ai livelli più alti, anche scientifici, in barba a qualsiasi, per me necessaria, enorme attenzione che occorrerebbe nel trattare simili temi da posizioni come quella da lei rivestita.

Vede Prof. Remuzzi, le sue affermazioni si prestano, per loro grossolanità ed insipienza, a rappresentare a tutti gli effetti un’istigazione all’omicidio di cui, sono sicuro, lei è probabilmente anche inconsapevole. 

Partendo dalla prima affermazione, non può mancare di osservarsi, banalmente, che tutti noi possiamo dirci affetti da una malattia terribile senza alcuna possibilità di cura, direi meglio: guarigione, la vita, e che nonostante questo l’uomo da qualche millennio cerca di superare l’indiscutibile limite della mortalità in mille modi diversi che, nel nostro caso, vanno ben oltre il semplice istinto dì sopravvivenza, per distinguersi nelle opere delle intelletto che non sono solo dei geni, ma di tutti noi, comuni mortali, appunto, e che spesso si realizzano molto semplicemente anche per amore dei nostri simili.

Eppure, Prof. Remuzzi, con quella frase, molto più banale della mia considerazione di cui sopra, lei ha sdoganato un inesistente potere di autorità dello Stato di decidere della morte di un essere umano come suo “migliore interesse”.

Ci ha pensato prima di dirlo, o le e’ uscita così di sfuggita?

Anche se nel primo caso sarebbe più grave, la seconda ipotesi denoterebbe comunque l’assurda leggerezza con cui oggi si pretende di “parlar facile” di argomenti che non possono e non devono essere ridotti così.

Questo perché il “diritto” di uccidere non esiste, anche laddove previsto. 

Un soggetto terzo, per di più contro la volontà di chi la legge riconosce abilitato a prendere posizione per quell’individuo che non può esprimere la sua volontà, potrà al massimo essere autorizzato a commettere un “omicidio di Stato” e solo così quella scelta potrà essere chiamata, fondamentalmente per ragioni di carattere economico e di risparmio, ma mai si potrà seriamente riconoscere che abbia curato gli interessi dell’ucciso.

Pensi, Prof. Remuzzi, quanto sono importanti le parole, se ufficialmente quanto avvenuto in Gran Bretagna fosse chiamato per quello che è, “un omicidio di Stato” potrebbe essere certo che tutta la procedura che lo riguarda avrebbe un’attenzione maggiore da parte di ognuno dei soggetti coinvolti. Quella attenzione che effettivamente meriterebbe e che non si può accettare sia paludata dall’infimo simulacro retorico del “migliore interesse”.

Purtroppo per lei, Prof. Remuzzi, nella seconda frase riportata lei si avventura in concetti giuridici che le appaiono del tutto alieni peggiorando, se possibile la sua posizione.

Questo è palese quando afferma che "i bambini non sono proprietà dei genitori".

E allora, di grazia, verrebbe da chiedere, di chi è la "proprietà" dei bambini?

Vede Prof. Remuzzi, DI NESSUNO! Perché la proprietà è un diritto che riguarda le cose, i BENI!

Mentre, in quello che rimane dell’ormai sempre più cosiddetto mondo civile, decine di articoli di leggi e convenzioni riconoscono con forza e nei dettagli al fanciullo di vivere con i propri genitori e di ricevere da essi istruzione, educazione e CURA senza che nessun altro, laddove non ricorrano fattispecie penalmente rilevanti, possa arrogarsi di esercitare tali diritti che, si ripete, nulla hanno a che fare con il diritto di Proprietà.

Ecco perché, in conclusione, suggerisco che affermare che “il miglior interesse di un essere umano, per di più minore e totalmente indifeso" in qualsiasi circostanza e, ancor di più, da parte di un osservatore esterno di una vicenda, è la sua MORTE, potrebbe a mio parere meritare di essere oggetto di indagine quale forma di ISTIGAZIONE ALL'OMICIDIO (nell’ambito dell’istigazione a delinquere ART. 414 C.P.).

Sarebbe quanto mai ora che il linguaggio, almeno quello pubblico e condiviso, rientrasse nei canoni della civiltà che, evidentemente, stiamo abbandonando anche tramite la esecrazione artatamente selettiva che caratterizza questi anni infelici.

Perché vede, Prof. Remuzzi, a lei è tranquillamente permesso dire quello che ha detto, così come ad altri, per esempio, riconoscere le ragioni di qualcuno di uccidere civili, nella asserita ricerca di inseguire terroristi, mentre ad altri, diversamente, lamentare l’uccisione di quei civili è subito bollato come appoggio ai terroristi e condannato pubblicamente.

Prof. Avv. Gianfrancesco Vecchio (docente di Diritto privato e Diritto della famiglia all'Università degli Studi di Cassino).

Di Gianfrancesco Vecchio.