Genova, falsifica la sentenza per farsi pagare dal cliente, avvocato condannato a 5 anni per truffa
Il legale aveva fatto credere al suo assistito di avere ottenuto un risarcimento di diecimila euro per l'ingiusto licenziamento e il mobbing che aveva subito
Era stato incaricato da un cliente di assisterlo in una causa di lavoro, lamentando d’aver subito un licenziamento ingiusto. L’avvocato Giampaolo Naronte, 58 anni, però secondo il tribunale di Genova che lo ha condannato, ha truccato le carte e ha offerto al proprio assistito provvedimenti e sentenze sempre fabbricate a tavolino. L’obiettivo? Aggiornarlo in modo del tutto fantasioso sul processo e farsi così pagare una parcella agli occhi dei magistrati indebita. Naronte è stato condannato a una pena di 5 anni dal giudice Filippo Pisaturo, per i reati di falso, truffa ed esercizio abusivo della professione. Quest’ultimo addebito, in particolare, gli era stato mosso poiché uno dei documenti fasulli che ha fornito all’assistito in corso d’opera, era stato realizzato in una fase in cui risultava sospeso dall’ordine professionale genovese. Oggi invece risulta iscritto e - perlomeno sulla carta - può esercitare.
La vicenda inizia nel settembre 2018. In quel periodo il cliente, un trentatreenne genovese, presenta tramite il legale Ricardo Savi una denuncia alla Procura, nella quale descrive il suo contenzioso con il datore di lavoro, una cooperativa di facchinaggio. Per ottenere assistenza si rivolge a una onlus cattolica con sede nel centro di Genova, che di fatto fa da intermediaria con Naronte, ma viene ritenuta estranea a ogni contestazione. L’incontro avviene proprio nella sede della onlus: il legale prospetta al cliente la possibilità di agire contro la società per cui prestava servizio sia per il licenziamento illegittimo, sia per quella che il professionista definisce una forma di mobbing legata alle insalubri condizioni dell’ambiente lavorativo, e in generale per i comportamenti assunti dai soggetti che avevano cariche dirigenziali.
È da quel momento, secondo il sostituto procuratore Filippo Givri titolare degli accertamenti sul caso, che si materializzano i depistaggi del legale. Il quale, insiste il pubblico ministero nel formalizzare il capo d’imputazione, raggira il cliente «omettendo di depositare, una volta firmato il mandato, il ricorso dopo il tentativo di conciliazione». E davanti alle ripetute richieste del lavoratore di conoscere l’esito del procedimento «dapprima firmava la falsa attestazione di un assistente giudiziario sul deposito del ricorso» e in seguito siglava «il falso provvedimento con cui il presidente della sezione lavoro del tribunale di Genova assegnava la causa a un giudice», e l’altrettanto fasullo carteggio «con cui il giudice designato fissava un’udienza per la discussione». Ancora: a seguito di ulteriori richieste dell’assistito «formava la falsa sentenza apparentemente emessa dal giudice istruttore», in cui si facevano risultare la condanna della cooperativa e un risarcimento di oltre diecimila euro. Carta straccia, hanno dimostrato le indagini, perché la causa di fatto non è mai partita e men che meno le toghe s’erano pronunciati in senso favorevole del lavoratore
Dopo l’iscrizione al registro degli indagati Giampaolo Naronte viene rinviato a giudizio, e fra le prove sono acquisiti purei numerosi messaggi WhatsApp con i quali aveva rincuorato il cliente. Spuntano altre vicende sospette delle quali è stato protagonista e gli stessi responsabili della onlus con cui collaborava si smarcano, sostenendo che più occasioni aveva creato problemi. Per il giudice Pisaturo il suo era un inganno per farsi pagare e scatta una pesante condanna, avendo commesso un altro fatto analogo nel quinquennio precedente.