Eredità Agnelli, 630 quadri da 1mld di euro accumulati all'estero mentre la Fiat colava a picco: ecco il capitalismo italiano della scarsità di idee senza meritocrazia
Dopo la morte del presidente Antonio Valletta, il successore Gianni Agnelli, nipote del fondatore, lasciava un’azienda praticamente tecnicamente fallita, partecipata da un gruppo americano, la General Motors e con il titolo a pezzi in Borsa. Fortunatamente in Italia c’è anche un altro tipo di capitalismo, quello che rappresenta l’orgoglio e lo sviluppo del nostro paese, quello che non chiede, ma dà soldi allo Stato, che ha la sede delle proprie attività e paga le tasse in Italia
I media nazionali ci hanno raccontato, nei giorni scorsi, un nuovo episodio, avvenuto nell’ambito della saga familiare, che vede contrapposti nei tribunali italiani e svizzeri, la madre ed i figli di primo letto, per l’eredità dell’avvocato Gianni Agnelli.
Si tratta di 630 tele di famosi pittori, del valore stimato, a detta dei media, di un miliardo di euro.
È tutta questa una mesta vicenda, che mette ancora una volta in risalto, le profonde differenze che esistono all’interno del capitalismo italiano.
Nel 1966 Vittorio Valletta, Presidente della Fiat, per volontà del fondatore Giovanni Agnelli, lasciava l’incarico al giovane Avvocato Gianni Agnelli, insieme ad un’azienda vincente, potente, ricca ed in pieno sviluppo.
Era il primo produttore di autoveicoli in Europa, il quarto nel mondo, costruiva, anche per la NATO, il famoso aereo G91. Il modernissimo elettrotreno, chiamato Settebello, era Leader nel settore ferroviario e così i grandi motori marini, montati sui transatlantici che attraversavano l’Oceano Atlantico.
Ai lati delle autostrade italiane, enormi cartelli pubblicizzavano: Fiat-terra, mare, cielo.
Importanti gli utili di bilancio ed alta la capitalizzazione del titolo alla Borsa di Milano. Il gruppo era presente poi in altri settori, quali quello bancario, assicurativo, dell’engineering e delle costruzioni, dando lavoro ad oltre trecentomila persone. Fiat era, senza confronti, la principale azienda italiana!
La proprietà poi era saldamente nelle mani della famiglia Agnelli.
Nel 2003, alla sua morte, il successore di Valletta, Gianni Agnelli, nipote del fondatore, lasciava invece un’azienda praticamente tecnicamente fallita, partecipata da un gruppo americano, la General Motors e con il titolo a pezzi in Borsa.
Dopo l’allontanamento, alcuni anni prima, di uno dei maggiori esperti mondiali di automotive, l’ing. Vittorio Ghidella, voluto dall’Amministratore Delegato Cesare Romiti, l’azienda ha perso infatti progressivamente in qualità, in creatività ed in competitività. Ha perso soprattutto in strategia, diversificando ed investendo nei settori più disparati, al di fuori del core business, quello dell’automobile e mortificando così successo, leadership ed eccellenza.
La grande sorpresa però, è stata quella di venire a sapere, durante le penose vicende giudiziarie, promosse all’interno della famiglia che, mentre il gruppo Fiat si dibatteva in una situazione sempre più drammatica, l’Avvocato Agnelli accumulava all’estero ingenti beni, secondo le dichiarazioni stesse dei familiari, valutate in alcuni miliardi di euro.
Erano gli stessi anni, in cui lo Stato Italiano elargiva alla Fiat ingenti somme di danaro per casse integrazioni, per finanziamenti alla ricerca, per contributi vari e per leggi e leggine confezionate su misura.
Assai sorprendente è stata pertanto in quella occasione, la partecipazione del nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, del Sindaco di Torino Piero Fassino, del Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti, alla solenne e grandiosa commemorazione, avvenuta nel decennale della scomparsa dell’Avvocato, nella Cattedrale di Torino e celebrata dall’Arcivescovo Cesare Nosiglia.
Oggi la Fiat si è ridotta ad un marchio, all’interno dei tanti, posseduti da un gruppo multinazionale, che ha sede a Parigi.
Fortunatamente in Italia c’è anche un altro tipo di capitalismo, quello che rappresenta l’orgoglio e lo sviluppo del nostro paese, quello che non appare, che non fa lezioni di etica degli affari, che non chiede, ma dà soldi allo Stato, che ha la sede delle proprie attività e paga le tasse in Italia.
Il confronto tra questi due capitalismi è il confronto tra il coraggio, la creatività, il rischio, la meritocrazia, contrapposti all’assistenza, al favoritismo ed alla scarsità delle idee.
Di Pierfranco Faletti